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lunedì, Dicembre 16, 2024

Greenwashing, anche gli Usa ci provano: nuove norme per contrastarlo

Con l’aumento della sensibilità dei consumatori verso prodotti sostenibili, si moltiplicano le proteste per l’utilizzo spregiudicato e fuorviante di termini green da parte delle aziende. Adesso la Federal Trade Commission degli Stati Uniti è pronta ad aggiornare le norme per limitare il greenwashing

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Il greenwashing diventa un problema anche nei liberisti Stati Uniti. Del resto, in un’economia di mercato, affermazioni green non corrispondenti al vero rappresentano una turbativa della concorrenza, oltre che una frode verso i consumatori. Sono stati proprio loro, coadiuvati dalle associazioni ambientaliste, a fare pressioni sull’agenzia governativa a tutela dei consumatori, la Federal Trade Commission, perché aggiornasse le Green Guides, il codice anti-greenwashing, con un focus particolare sull’economia circolare.

Grandi società petrolifere e del settore agroalimentare, di fronte al crescente interesse ecologico della popolazione stufa di subire le conseguenze negative delle loro attività, da tempo investono fiumi di denaro in comunicazione e marketing per “ripulire” la loro immagine e sfruttare economicamente l’interesse commerciale verso la sostenibilità. Il problema, come ha dimostrato una ricerca dell’università di Harvard del 2022, è che solo guardando la comunicazione sui social, il 72% dei post condivisi dalle aziende petrolifere e del gas conteneva informazioni false.

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Dove si concentra il greenwashing

I temi in cui sono più comuni queste pratiche di greenwashing sono relative alla neutralità climatica, il riciclo della plastica, l’uso di definizioni fuorvianti come gas “naturale”, l’abuso della parola “organico” nell’industria alimentare anche quando non vi è ragione o sarebbe superfluo e tutti i termini vaghi che richiamano a una responsabilità ambientale senza una chiara prova scientifica, come “pulito”, “sostenibile”, “naturale”, “rinnovabile”.

“Un numero crescente di consumatori americani – spiega la FTC in una nota – sta cercando di acquistare prodotti ecologici e ‘green’, dalla carta riciclata ai sacchetti della spazzatura biodegradabili. Le aziende hanno risposto con un green marketing che pubblicizza i vantaggi ambientali di ciò che stanno vendendo. Ma a volte ciò che le aziende pensano che significhino le loro affermazioni ecologiche e ciò che i consumatori capiscono veramente sono due cose diverse”. Per essere più diretti: si prendono gioco dei consumatori con informazioni non corrispondenti al vero.

Le modifiche alle Green Guides

Già nel 1992 l’agenzia statunitense aveva stilato le cosiddette Green Guides per avere una sorta di impalcatura normativa di riferimento per contrastare il greenwashing. Le norme contenute all’interno non sono vincolanti, ma possono dare più peso ai casi legali che coinvolgono aziende accusate di fare affermazioni green false o fuorvianti. Ad esempio, i colossi Walmart e Kohl’s sono stati multati nel 2021 per aver etichettato erroneamente il rayon come “bambù sostenibile”.

Con l’ingigantirsi del fenomeno del greenwashing, tuttavia, erano necessari degli aggiornamenti, che, invece, mancavano dal 2012. Quelli previsti adesso dalla FTC potrebbero impedire alle aziende di dichiarare che gli imballaggi o i prodotti sono riciclati senza indicare la percentuale di contenuto riciclato. Le aziende possono anche essere incoraggiate a fornire informazioni più dettagliate su come, esattamente, riciclano un prodotto o un imballaggio.

La prima risposta delle associazioni di categoria e del mondo delle imprese, è stata di resistenza. La National Federation of Independent Business ravvisa una possibile violazione dei diritti di libertà di espressione per le aziende e sostiene che le Green Guides si spingono oltre al necessario. Anche chi si dice d’accordo con le Green Guides, come la multinazionale svizzera Nestlé, non vuole l’aggiunta di nuove regole. In sostanza, le aziende temono un’impennata di cause civili e penali.

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Greenwashing sul riciclo della plastica

La lotta al greenwashing, invece, è fondamentale. Tutte le politiche ambientali e legate all’economia circolare perdono la loro efficacia se non si contrasta il pericolo greenwashing. Emblematico il caso della plastica riciclata. La narrativa dietro al riciclo della plastica è, infatti, tra quelle più contestate dalle associazioni ambientaliste per l’infondatezza delle informazioni che ricevono i consumatori.

Le aziende del settore petrolifero e della plastica, ad esempio, sostengono che tutta la plastica è riciclabile. Le recenti inchieste fatte negli Stati Uniti sul loro territorio nazionale hanno dimostrato che non è così e che la maggior parte della plastica invece di essere riciclata finisce ancora negli inceneritori o addirittura nelle discariche.

L’aggiornamento delle Green Guides, perciò, va più nel dettaglio sulle tipologie di plastica che possono essere riciclate: si è scoperto, infatti, che negli Stati Uniti mancano persino gli stabilimenti per il riciclo di alcuni tipi di plastica. Eppure, a leggere le etichette, tutti mettono in commercio prodotti in plastica riciclata. Adesso le aziende dovranno dimostrarlo in maniera precisa: dove i rifiuti in plastica sono raccolti, dove smistati e come vengono riciclati.

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Greenwashing sulle emissioni: obbligo di trasparenza

Lo stesso discorso per un’altra affermazione onnipresente in tutte le aziende: l’impegno nel ridurre le emissioni di CO2 e la neutralità degli impatti ambientali. Una coalizione di associazioni ambientaliste ha rivolto un appello alla FTC per migliorare la trasparenza richiedendo alle società di dimostrare con prove “verificabili e misurabili” gli impatti ambientali per sostenere le loro affermazioni di “emissioni nette zero”.

“Sfortunatamente, numerose aziende stanno utilizzando affermazioni di zero emissioni nette e di neutralità carbonica per commercializzare i loro prodotti senza comprovare adeguatamente i loro impegni”, afferma la nota. In pratica, si chiede a chi dichiara di contribuire alla lotta al cambiamento climatico utilizzando il gas fossile, di dimostrare quanto afferma. Invece, quasi sempre manca persino un link di rimando per provare le affermazioni green.

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Lotta al greenwashing nella finanza

Senza contare il mondo ancora più ampio dell’economia finanziaria. Allo stesso modo, gli investimenti Esg, ovvero gli investimenti sostenibili, sono in crescita costante ovunque e inevitabilmente si assiste allo stesso fenomeno di greenwashing. Le disclosure fatte da banche e gestori di fondi di investimento sulla sostenibilità degli stessi fondi e altri servizi finanziari non sempre sono fedeli o nascondono parte della verità.

Perciò anche la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti sta scrivendo regole separate per contrastare il greenwashing nel settore finanziario. L’anno scorso, l’agenzia ha proposto di inasprire la regolamentazione dei nomi dei prodotti finanziari, in particolare quelli dei fondi di investimento con temi sostenibili. Le società finanziarie a parole sono d’accordo, ma chiedono profonde modifiche nella direzione opposta: la lotta al greenwashing prosegue, quasi fosse una partita di guardie e ladri.

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