Non è un buon periodo per il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrebbe contribuire alla ripresa post-Covid dell’Italia. In pochi giorni sono state numerose le bocciature in merito al metodo e all’utilizzo dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Unione Europea. Dopo una prima bocciatura della Corte dei Conti europea sono arrivati il rapporto sulla competitività che l’ex premier Mario Draghi ha stilato per la Commissione UE e il monitoraggio del Forum Ambrosetti, per il quale il Piano italiano è in linea con gli obiettivi ma in ritardo con le spese, che ammontano a 51,4 miliardi di euro, ossia pari al 26% dell’importo totale – e abbiamo superato la boa di metà percorso.
A parziale consolazione dell’Italia si può comunque affermare che nella maggior parte delle analisi le criticità sono più a livello comunitario che nazionale. È quel che emerge anche dalle conclusioni di una nuova relazione della Corte dei conti europea, che analizza l’intero dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF). Sappiamo bene che il perno principale del Next Generation EU dovrebbe essere costituito dalla transizione verde e dall’azione per il clima. Ma si tratta di un apporto che secondo i giudici amministrativi non è chiaro.
La Corte avverte che i contributi green potrebbero essere sovrastimati di almeno 34,5 miliardi di euro, oltre a presentare ulteriori problematiche. La Corte ha inoltre rilevato debolezze nei traguardi e obiettivi delle azioni pertinenti per il clima, nella rendicontazione delle spese effettivamente sostenute e nella compatibilità ambientale di alcuni progetti etichettati come “verdi”.
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Non è tutto green quel che luccica
Diversamente da altre precedenti forme di spesa dell’UE, i fondi dell’RRF sono erogati sulla base dell’avvenuto raggiungimento di traguardi e obiettivi, invece che in risposta alle spese effettivamente sostenute. Oltre ad altre debolezze, la Corte ha constatato che questo modello di finanziamento e il relativamente breve calendario di attuazione dell’RRF hanno fatto sorgere dubbi sul fatto che tutte le somme pianificate per l’azione per il clima vi contribuiscano effettivamente.
“L’RRF costituisce un grande investimento in tutta l’UE e, se appropriatamente attuato, dovrebbe grandemente accelerare il conseguimento degli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE”, ha affermato Joëlle Elvinger, membro della Corte responsabile della relazione. “Tuttavia soffre attualmente di un elevato livello di approssimazione nei relativi piani, nonché di discrepanze tra la pianificazione e la pratica, e in ultima analisi fornisce poche indicazioni circa la misura in cui il denaro sia impiegato direttamente per la transizione verde”.
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Azioni per il clima che non lo erano (o solo in parte)
In pratica, sottolinea la Corte, il contributo all’azione per il clima delle misure dell’RRF non è sempre individuato con precisione. Per calcolare la percentuale dei fondi pianificati per l’azione per il clima, la Commissione europea utilizza la formula del “coefficiente climatico”. Alle azioni che sono giudicate apportare un contributo sostanziale all’azione contro i cambiamenti climatici viene attribuito un coefficiente climatico del 100%; alle azioni che apporterebbero un contributo positivo, non marginale, viene attribuito un coefficiente del 40%, e ai fondi che apportano un contributo nullo o insignificante un coefficiente dello 0%.
Tuttavia per molte misure non si aveva una netta distinzione e gli auditor della Corte hanno constatato che, in alcuni casi, i rispettivi contributi agli obiettivi climatici sono stati sovrastimati. Per di più è emerso che alcuni progetti etichettati come verdi mancavano, a ben guardare, di un nesso diretto alla transizione verde. Ad esempio ad una misura volta a migliorare la gestione delle risorse idriche è stato assegnato un coefficiente climatico del 40%. In realtà, i fondi sono stati spesi per soluzioni informatiche pubbliche per digitalizzare il sistema di approvvigionamento idrico; in altre parole, un coefficiente dello 0% sarebbe stato più appropriato. Per evitare tali casi, la Corte raccomanda, nel futuro, di valutare più dettagliatamente e precisamente i progetti pertinenti per il clima.
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Per un PNRR davvero all’avanguardia
Come al solito il lavoro dei giudici europei è molto approfondito e lungimirante. “La Corte si attende che le risultanze del proprio lavoro contribuiscano al dibattito sulle modalità di concezione e di attuazione di futuri strumenti aventi obiettivi climatici e ambientali – si legge in un passaggio significativo – Si attende inoltre che il proprio lavoro contribuisca a migliorare l’efficacia dei fondi UE per l’azione per il clima e la transizione verde nel contesto degli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE all’orizzonte 2030 e 2050”.
Come al solito la Corte dei Conti europea non si limita a individuare i punti deboli ma suggerisce pure come affrontarli e superarli. Tra le raccomandazioni che ci appaiono più notevoli c’è il suggerimento rivolto alla Commissione sul DNSH, con quest’ultima che “dovrebbe adottare misure per ovviare alle incoerenze nell’applicazione del principio non arrecare un danno significativo da parte degli Stati membri quando questi ultimi utilizzano l’approccio semplificato”. Inoltre “la Commissione dovrebbe compilare e pubblicare le informazioni già fornite dagli Stati membri sui costi effettivi delle misure connesse al clima, compararle ai costi stimati nei piani nazionali e ricalcolare l’effettivo contributo all’azione per il clima rispetto al valore-obiettivo del 37%”.
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