Partiamo dai dati. L’industria della bellezza è promotrice di iperconsumo e contribuisce per un terzo alla produzione di rifiuti in discarica, con 120 miliardi di imballaggi annui. È un mercato in cui abbondano articoli usa e getta, come salviette e maschere. Ogni anno si producono globalmente 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, metà usa e getta e 11 miliardi di salviette per il viso sono responsabili dell’inquinamento idrico e dell’ostruzione delle fognature, impiegando fino a 100 anni per decomporsi. Un oceano di rifiuti galleggia sotto i nostri piedi.
Per cercare di rispondere a questo problema e per intercettare anche nuove linee di mercato, una generazione di prodotti è stata progettata per dissolversi quasi istantaneamente nello scarico. Almeno così afferma il marchio australiano Conserving Beauty che ha creato InstaMelt fabric, salviette detergenti oleose igieniche che si dissolvono in 60 secondi in acqua o che si biodegradano in 7 giorni.
La fondatrice dell’azienda, Natassia Grace, intervistata da Fast Company, una delle più importanti riviste a livello mondiale che si occupa di tecnologia, design e business, afferma di aver realizzato 15 versioni del prodotto prima di arrivare al risultato attuale.
Certificazioni attendibili?
L’esperta di cosmetici green Barbara Olioso, sulle sue pubblicazioni e durante seminari internazionali sul tema, invita a valutare i prodotti solubili considerando la loro sostenibilità, poiché non tutti i materiali dissolvibili sono uguali. “Non è una questione semplice, alcuni materiali sono più ecologici di altri”, dichiara sempre a Fast Company Olioso. Avverte anche che le dichiarazioni di biodegradabilità dei marchi vanno analizzate con cautela, poiché test e standard specifici spesso mancano. Dato il numero di variabili coinvolte nella valutazione della biodegradabilità e la mancanza di test particolari per alcuni tipi di prodotti (come i polimeri), tali affermazioni possono essere semplificate e percepite come greenwashing.
Olioso consiglia di attenersi a certificazioni come Cosmos e Natrue, che garantiscono l’assenza di ingredienti non biodegradabili.
Conserving Beauty sostiene, attraverso test effettuati da terze parti, che il tessuto dissolvibile utilizzato nei loro prodotti sia biodegradabile e privo di impatti negativi sull’ambiente. Tuttavia, l’utilizzo di materiali come il PVA (alcol polivinilico), un polimero sintetico derivato dalla plastica, rimane oggetto di controversia. La degradazione di tali materiali dipende infatti da molteplici variabili ambientali, tra cui temperatura, presenza di microrganismi ed enzimi specifici, rendendo incerta la loro effettiva compatibilità ambientale. Prodotti solubili in acqua sono spesso visti come ecologici perché si disintegrano rapidamente, ma ciò non garantisce la biodegradabilità. Lorraine Dallmeier, biologa e CEO di Formula Botanica, sottolinea che la solubilità non indica necessariamente un impatto ambientale positivo.
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Imballaggi che si dissolvono
Anche il packaging dei prodotti di bellezza segue la strada degli scarichi in acqua: SmartSolve, un’azienda statunitense specializzata in imballaggi solubili, ha sviluppato bustine composte al 75% da materiali bio-based come fibre di legno e cellulosa. Queste si disintegrano in acqua in meno di 30 secondi e si biodegradano al 90% entro sette giorni. L’azienda prevede inoltre di lanciare, entro il 2025, nuove versioni completamente biodegradabili e prive di PVA.
L’azienda inglese Notpla, vincitrice dell’Earthshot Prize, ha invece sviluppato un materiale biodegradabile a base di alghe e piante. Questo materiale, ancora in fase di sviluppo, è utilizzato per prototipi di prodotti come oli e polveri da bagno che si dissolvono in acqua. Notpla ha già sostituito oltre 15 milioni di articoli in plastica monouso con soluzioni a base di alghe, che si degradano naturalmente in poche settimane.
Altre sperimentazioni
Altro settore in fase di sperimentazione è quello delle maschere di bellezza. Quelle in tessuto, dall’effetto rilassante sono molto apprezzate, basta vedere i numeri: il mercato globale conta circa 250-300 milioni di vendite annuali. Questi prodotti generano un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili perché sono spesso realizzati con materiali sintetici e plastica e confezionati in imballaggi multistrato.
Conserving Beauty ha introdotto una maschera in tessuto dissolvibile in bustine compostabili, mentre marchi come Clean Circle e True Botanicals propongono patch occhi dissolvibili. True Botanicals utilizza una tecnologia idrogel a base di alghe irlandesi, garantendo standard rigorosi come la certificazione Made Safe, che valuta l’impatto ambientale e sulla salute.
Clean Circle esplora anche imballaggi ricaricabili per ridurre l’uso di plastica. Gli esperti vedono un grande potenziale nei prodotti dissolvibili, ma avvertono che il loro utilizzo su larga scala potrebbe avere impatti ambientali inattesi. Lorraine Dallmeier si chiede se l’adozione globale di queste soluzioni sia sostenibile e invita a una riflessione approfondita sugli effetti a lungo termine.
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Profitto ed espansione
Le innovazioni introdotte sono indubbiamente significative e possono rappresentare un passo avanti nella riduzione degli impatti ambientali del settore beauty. Tuttavia, sebbene lo sviluppo di prodotti biodegradabili e compostabili sia cruciale per limitare l’impatto ecologico, l’idea di scaricare negli ecosistemi idrici globali milioni di salviette, bustine e maschere in tessuto, anche se compostabili e biodegradabili, solleva interrogativi sulla sostenibilità reale di questa pratica.
La transizione ecologica deve necessariamente orientarsi verso la riduzione strutturale dei rifiuti alla fonte, ma ciò si scontra con un modello di mercato che, intrinsecamente, privilegia l’espansione produttiva e il profitto piuttosto che l’autolimitazione.
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