Sono passati tre anni dalla riforma della Costituzione che, come si è detto in maniera un po’ semplicistica, avrebbe dovuto portare a una maggiore attenzione all’ambiente, alla sostenibilità e al clima da parte delle istituzioni pubbliche. Approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 febbraio 2022, la decisione del Parlamento ha introdotto importanti modifiche agli articoli 9 e 41 della Carta. Ma cosa è cambiato in questo arco temporale? Cosa è stato fatto realmente e cosa si potrebbe fare?
A porsi queste domande da tempo sono l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ed ECCO, il think tank italiano per il clima. Tale lavoro comune ha portato alla realizzazione di un paper congiunto, dal titolo Il clima in Costituzione – Le implicazioni per le politiche pubbliche. Lo studio è stato simbolicamente consegnato a Maria Elisabetta Alberti Casellati, minista per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, da parte del fondatore e direttore scientifico di ASviS Enrico Giovannini e dal cofondatore e direttore di ECCO Matteo Leonardi.
Secondo Enrico Giovannini, cofondatore e direttore scientifico dell’ASviS, “la riforma costituzionale che ha introdotto la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, tra i principi fondamentali della Repubblica rappresenta un passo fondamentale verso un modello di sviluppo sostenibile ed è per questo che l’ASviS l’ha proposta fin dalla sua nascita, nel 2016. Ma affinché questo principio non resti una mera enunciazione è necessario un profondo cambiamento nel modo in cui le politiche pubbliche vengono disegnate, nelle strategie delle imprese e nei comportamenti dei cittadini”.
Per Matteo Leonardi, cofondotare e direttore di ECCO, “la trasformazione richiesta dalla lotta al cambiamento climatico è profonda. Questa richiede una volontà politica e sociale ispirata ai valori costituzionali, in un processo che travalica i confini della Repubblica, investendo l’Europa e le relazioni con un mondo che cambia rapidamente. I principi della Costituzione riportano l’attenzione sul perché e sul come tutelare l’ambiente in quanto bene comune. Le sfide collettive devono quindi conciliarsi con la dimensione individuale”.

Lo studio di ASviS ed ECCO è importante perché oltre a tracciare un quadro d’analisi offre anche delle proposte concrete per fare in modo che l’agenda climatica non sia estemporanea ma programmatica. Andiamo a vedere come.
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Cambia il clima, cambia la Costituzione ma non cambia l’Italia?
ECCO e ASviS hanno intrapreso un percorso di approfondimento, avviato nel febbraio 2024 e culminato con la presentazione di un ventaglio di proposte per la definizione delle politiche climatiche. Attraverso i contributi di diversi autori, tra i quali Anna Finocchiaro, Cesare Pinelli, Andrea Ferrazzi, Francesco Tomasone e Lorenzo Carrozza, viene affrontato il tema da prospettive diverse, inquadrando le implicazioni della riforma costituzionale per la governance climatica italiana.
“Le modifiche costituzionali – scrivono ASviS ed ECCO – riconoscono l’importanza di bilanciare progresso economico e sociale con la salvaguardia dell’ambiente, nell’interesse delle future generazioni. Il filo conduttore che accomuna i diversi contributi si rintraccia nell’intenzione di offrire una riscoperta del “senso” dei nuovi principi fondamentali. La Costituzione offre, infatti, un saldo riferimento ideale e un orizzonte politico di lungo periodo al quale ispirare l’azione collettiva. In questo la forza e l’attualità della Costituzione. Dallo studio emerge come ai principi sia ora necessario affiancare un percorso di attuazione normativa che permetta la loro piena realizzazione”
“In particolare – si legge ancora – si evidenzia la complessità oggettiva nella traduzione a livello nazionale di un processo globale, accresciuta dall’indebolimento dei processi multilaterali. Si sottolinea positivamente la presenza di un quadro giuridico internazionale preciso, basato sul principio di responsabilità comune ma differenziata tra gli stati e sull’identificazione da parte di tutti i paesi aderenti all’Accordo di Parigi di azioni concrete per contenere l’aumento delle temperature al di sotto dei due gradi entro la fine del secolo. Allo stesso modo, l’introduzione dell’articolo 9 della Costituzione, volto a integrare il concetto di giustizia intergenerazionale nel diritto costituzionale, senza una volontà politica ben definita, corre il rischio di tradursi in uno sterile adempimento formale”.

A tale complessità si aggiunge l’assenza di efficaci regole di garanzia per assicurare l’indipendenza del Parlamento rispetto a interessi particolari legati alla convenienza di ritardare la transizione e l’uscita dai combustibili fossili, come abbiamo denunciato con la campagna Clean the Cop. Secondo lo studio, quindi, “la migliore evidenza della presa in carico da parte del legislatore dell’attuazione dei nuovi principi sarebbe l’approvazione di una legge sul clima, quale strumento normativo per la definizione del processo di decarbonizzazione”.
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Una legge sul clima, ma non solo
Di una legge quadro sul clima si parla di tempo, e attualmente al Senato è depositata pure una proposta di disegno di legge (si può leggere qui) che definisce “disposizioni per la definizione e l’adozione di strumenti necessari al raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica”. Il testo di 40 pagine prevede 14 articoli di legge, oltre che alla sintesi della discussione parlamentare e alla descrizione dell’iter che ha portato all’attuale fase.
Se è vero che, data la maggioranza parlamentare in corso e la scarsa sensibilità ambientale del governo, è difficile aspettarsi che il ddl faccia molta strada, è innegabile che nei 14 articoli ci sono aspetti interessanti: all’art.11, ad esempio, si prevede un “Consiglio nazionale dei cittadini” che dovrebbe essere un “organo di partecipazione permanente delle associazioni e dei cittadini al processo decisionale sul cambiamento climatico” mentre all’art.13 si prevede l’istituzione del “fondo sociale per il clima”, che dovrebbe essere lo strumento col quale “compensare gli impatti della transizione ecologica con una progressiva eliminazione dei SAD, nella logica di sostenere i redditi più bassi e promuovere le imprese nel processo di riconversione industriale”.
In ogni caso quel che è certo è che da sola una legge quadro sul clima, qualunque essa sia, non può bastare. “Ad un quadro normativo di riferimento – scrivono ASviS ed ECCO – deve affiancarsi la costruzione di un sistema fiscale e para-fiscale coerente rispetto agli obiettivi climatici, con regole efficaci di condizionalità della spesa pubblica. Occorre inoltre individuare le risorse per i mercati verdi, costruire i nessi con la finanza privata e definire le regole per ridurre i rischi di costi residui (stranded costs – ovvero investimenti che perdono valore a causa di nuove regolamentazioni o evoluzioni del mercato) negli investimenti pubblici e nella regolazione delle infrastrutture energetiche. Infine un ultimo elemento riguarda l’adozione di strumenti di monitoraggio, accountability, indipendenza e partecipazione nella definizione delle politiche climatiche per assicurare la coerenza delle stesse con una visione di sostenibilità sociale ed economica della transizione. Le politiche pubbliche devono partire dai bisogni concreti delle persone per declinare la decarbonizzazione nella casa, nei trasporti e nel lavoro”.
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