In discussione dal 2019, la proposta di legge sulla rigenerazione urbana rischia di non vedere la luce. Pur essendo tra i lavori all’ordine del giorno delle Commissioni Ambiente e Agricoltura del Senato e avendo concluso un lungo elenco di audizioni tra gli esperti del settore, quasi certamente la legge non riuscirà a concludere l’iter parlamentare entro la fine della legislatura. Tuttavia, l’invito a non disperare arriva tra le righe della relazione tecnica e del parere negativo che la Ragioneria Generale dello Stato ha dato al testo in discussione. Infatti, il tema della rigenerazione urbana è uno degli obiettivi contenuti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che prevede nella Missione 5c2 “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” e nell’investimento 4 “progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale” per i quali è previsto uno stanziamento pari a 2,8 miliardi di euro, ai quali si sommano 20 milioni derivanti da residui del 2019 e del 2020 del PinQua, il Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare.
Rigenerazione urbana: una legge complessa
Ma cosa prevede la proposta di legge attualmente in discussione? Il testo, fermo in prima lettura al Senato, si compone di 14 articoli che vanno dalla definizione di rigenerazione urbana, al coinvolgimento degli enti locali, fino a una serie di benefici fiscali come l’abolizione della Tari e dell’Imu per gli edifici recuperati. Una legge complessa, come complessa è in fondo la materia, che si muove in un contesto in cui ancora non esiste una definizione ufficiale di “rigenerazione urbana”.
Alla base dell’iniziativa c’è l’obiettivo europeo di arrivare entro il 2050 al consumo zero di suolo, target che impone un radicale cambio di passo nelle politiche urbanistiche delle nostre città. Concetto ben espresso anche in un passaggio della relazione illustrativa che denuncia “siamo in presenza di ‘città deliranti’, ovvero città all’interno delle quali si assiste da un lato alla loro continua espansione senza limiti di consumo del suolo (cosiddetto greenfield) e dall’altro all’aumento delle aree urbane dismesse (cosiddetto brownfield) all’interno delle città stesse, le quali versano in totale stato di abbandono e degrado sia nei centri storici, che nei centri urbani, che nelle periferie”.
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Tra riuso edilizio e riqualificazione
Obiettivo che si può raggiungere, elenca l’articolo 1, favorendo il riuso edilizio di aree già urbanizzate e di aree produttive; incentivando la riqualificazione fisico-funzionale; costruendo infrastrutture strategiche per lo sviluppo ecosostenibile; applicando il criterio del “saldo zero” del consumo di suolo o integrando i sistemi di mobilità sostenibile.
L’articolo 3 della proposta affida al Comitato interministeriale per le politiche urbane l’indirizzo e il coordinamento delle politiche della rigenerazione urbana, anche definendo gli obiettivi del relativo Programma nazionale e promuovendo il coordinamento dei fondi pubblici disponibili per l’attuazione degli interventi in materia di rigenerazione urbana. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano identificano le priorità di intervento nell’ambito degli strumenti regionali di pianificazione del territorio, individuano le risorse di propria competenza, gli incentivi e le semplificazioni per favorire gli interventi di rigenerazione pubblica e privata, promuovono specifici programmi di rigenerazione urbana nelle aree di edilizia residenziale pubblica (ERP). L’articolo in esame prevede che i comuni, nel termine di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, provvedano alla perimetrazione delle aree prioritarie per gli interventi di rigenerazione urbana. Gli interventi prevedrebbero un Programma sulla rigenerazione urbana da adottare ogni tre anni, che dovrebbe definire obiettivi, criteri, tipologie di interventi ammessi, risorse e infine sistema di valutazione.
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Partecipazione diretta e informazione
Tra le misure più innovative c’è quella che prevede una partecipazione diretta, a livello locale, dei cittadini nella definizione degli obiettivi dei piani di rigenerazione urbana, garantendogli, peraltro, la piena informazione sui contenuti dei progetti, anche attraverso la predisposizione di portali web informativi e forme di dibattito pubblico. Delle fasi relative alle procedure di partecipazione previste, i comuni saranno chiamati a dare conto nei provvedimenti approvativi dei Piani comunali di rigenerazione urbana.
La proposta inoltre contempla un lauto stanziamento fino al 2036, per dar vita a un Fondo così suddiviso: 50 milioni per il 2022, 100 milioni l’anno per il 2023-2024 e 300 milioni di euro per ciascun anno dal 2025 al 2036. Stanziamenti che però, rilevano i tecnici della Ragioneria generale dello Stato, sono stati bocciati nell’ambito dell’esame della legge di Bilancio e che oggi provano a rientrare in partita grazie a questa legge.
Uno spiraglio, al quale si sta lavorando, potrebbe arrivare se Parlamento e Governo riuscissero a individuare le coperture per questo Fondo nazionale per la rigenerazione urbana previsto dalla proposta di legge. Intanto il Pnrr non ammette ritardi o perdite di tempo, per cui se non si vorrà perdere il treno dei finanziamenti europei entro il 2026, governo ed enti locali dovranno presentare progetti concreti per non perdere queste importanti risorse che possono mettere ordine in quelle che i parlamentari hanno chiamato “città deliranti”.
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