Dallo scorso 8 agosto è pienamente operativo l’European Media Freedom Act (EMFA): entrato in vigore il 7 maggio 2024, impone agli Stati membri di proteggere l’indipendenza delle testate e delle fonti giornalistiche, di tutelare i media dagli spyware, di rendere più trasparente la proprietà delle testate giornalistiche e l’assegnazione della pubblicità statale. Dal febbraio scorso è poi operativo il Media Board, organismo consultivo indipendente istituito dall’EMFA composto da rappresentanti delle autorità nazionali di regolamentazione dei settori dei media e dell’audiovisivo: il suo compito è fare da garante nella difesa della democrazia e nella tutela dei diritti fondamentali, inclusa la libertà di espressione.
Disinformazione dilagante
Compito difficile quanto necessario in questa fase storica: il Global Risks Report 2025 del World Economic Forum indica misinformazione e disinformazione tra i principali rischi globali a breve termine, nel breve termine percepiti perfino come più urgenti delle emergenze ambientali.
Nel suo Digital News Report 2024, il Reuters Institute rileva che il 59% degli intervistati teme sempre più di non riuscire a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso online – con un incremento di 5 punti percentuali rispetto a due anni prima. Nel contesto europeo, l’Italia e la Francia sono fortemente vulnerabili alla diffusione di fake news ideologiche o a scopo di profitto, anche se il loro impatto sembra in termini di interazioni limitato rispetto ai grandi media mainstream. D’altro canto, da una survey del Parlamento Europeo realizzata a inizio anno emergeva che il 76% dei giovani europei aveva incontrato fake news nell’ultima settimana; il 15% “spesso” e il 32% “qualche volta”. Piattaforme come TikTok vengono segnalate come particolarmente problematiche: il 27% degli utenti ha difficoltà a verificare l’attendibilità dei contenuti.

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La politica delle fake news
Disinformazione organizzata, repressione della critica e un’informazione funzionale al potere sono temi sfidanti non soltanto per i governi ma anche per chi opera a diverso titolo nei media. E Reporters senza frontiere (RSF) dubita comprensibilmente che l’EMFA sarà effettivamente attuato in tutti i Paesi membri dell’Unione europea, sia per il clima politico dominante sia perché troppe sue parti non sono vincolanti.
A proposito di clima politico, gli Stati Uniti sono ormai la patria delle scelte basate sulle fake news e sulla lettura distorta di dati ed eventi. Dal giorno della sua rielezione, il rapporto del presidente Trump con i media è stato segnato da una strategia sistematica di delegittimazione, pressione regolatoria e – in più casi documentati – promozione o legittimazione di informazioni false o distorte: lo ha denunciato esplicitamente Anna Gomez, commissaria della Federal Communications Commission (FCC) parlando di una “campagna di censura e controllo” del governo sulle istituzioni mediatiche. Tra i casi più rilevanti emerge il pagamento di 16 milioni di dollari da parte di Paramount per chiudere la causa intentata da Trump su un servizio di “60 Minutes”, circostanza messa in relazione con l’approvazione, lo scorso luglio da parte della FCC, della fusione da 8,4 miliardi di dollari tra la società madre della CBS Paramount Global e Skydance Media, dopo che Skydance ha accettato di garantire che la programmazione di notizie e intrattenimento della CBS sia priva di pregiudizi, di assumere un difensore civico per almeno due anni per esaminare i reclami e di porre fine ai programmi sulla diversità.
Ancora, lo scorso maggio l’Amministrazione ha emanato un ordine esecutivo per cessare il finanziamento federale a PBS (Public Broadcasting Service) e NPR (National Public Radio), due importanti reti di radiodiffusione pubblica statunitensi, decisione immediatamente impugnata in tribunale dalle stesse emittenti come atto di ingerenza politica sulle infrastrutture dell’informazione pubblica.
L’assalto all’ambiente e alla scienza
In tema di ambiente e scienza la presidenza del “Drill baby drill” ha promosso revisioni, rimozioni di dati e report alternativi facendo disinformazione in diverse occasioni. È stato documentato che pagine e dossier del National Climate Assessment e di altri archivi federali sono stati in più casi rimossi o resi meno accessibili dai siti governativi, costringendo università, archivisti e ONG a scaricare in fretta copie e a ricorrere a strumenti di archiviazione digitale per preservare i materiali. Parallelamente, organizzazioni come l’Environmental Defense Fund hanno denunciato recenti cancellazioni e l’“azzeramento” di risorse scientifiche pubbliche, osservando come gruppi informali di ricercatori e “data citizens” si stiano mobilitando per mantenere l’accesso ai dataset climatici essenziali. Alcuni giornali hanno inoltre ricostruito la pubblicazione di report governativi alternativi – ad esempio documenti del Dipartimento dell’Energia e note amministrative che ridimensionano l’impatto dei gas serra o mettono in discussione valutazioni consolidate.
Sul fronte delle materie plastiche, in linea con pressioni delle industrie petrolifere e della plastica, il governo ha sollecitato le delegazioni internazionali a non accettare limiti vincolanti alla produzione di plastica nell’ambito del negoziato ONU sul trattato globale contro l’inquinamento da plastica.
Un giornalismo all’altezza della sfida
Questo mix di cancellazioni o oscuramenti di risorse pubbliche, diffusione di report alternativi e sostegno alle lobby inquinanti crea un vuoto informativo che favorisce la diffusione di narrazioni distorte sulla crisi climatica e sull’inquinamento, con impatti diretti su pianificazione locale, legiferazione e capacità di adattamento delle comunità.
La minaccia della disinformazione – amplificata da social media pervasivi, strumenti digitali distorsivi e politiche ostili – richiede un giornalismo sempre più attrezzato per interpretare e gestire la complessità, consapevole e reattivo, in grado da una parte di trovare un assetto economico che ne garantisca l’indipendenza e dall’altro di “attrezzarsi” per contrastare le disinformazione e rendere riconoscibile la propria autorevolezza senza perdere lettrici e lettori. Per questo è sempre più indispensabile – e non soltanto a beneficio di chi si affaccia alla professione – poter contare su una formazione mirata, capace di coniugare rigore investigativo, capacità di analisi e di fact-checking e pratica del solution journalism.

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Il corso di giornalismo d’inchiesta ambientale
EconomiaCircolare.com e A Sud provano a offrire il loro contributo e quello di una autorevole rete di professioniste e professionisti del settore, promuovendo la decima edizione del Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale. Con un’alternanza di lezioni frontali e intensi momenti laboratoriali, il corso promuove esattamente questo approccio: districarsi nell’analisi dei dati, ricorrere al supporto dell’intelligenza artificiale conoscendone i limiti, riconoscere e “smontare” le fake news con attività di debunking, mappare le dinamiche delle lobby inquinanti e proporre narrazioni che presentino soluzioni concrete e replicabili, partendo dal lavoro sul campo e dal contatto diretto con le comunità, aggiungendo all’inchiesta il racconto del vissuto delle persone e l’individuazione delle possibili vie d’uscita in applicazione dei dettami del giornalismo costruttivo.
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