Da quando la ricerca sta migliorando le metodologie per misurare la presenza di micro e nano plastiche nell’ambiente (EconomiaCircolare.com sta raccontando questo percorso), si moltiplicano i lavori scientifici che ne osservano le conseguenze sulla vita. Due diversi studi (uno pubblicato su Plant Physiology and Biochemistry, l’altro su Science of The Total Environment) condotti da ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza hanno puntato i riflettori sulle piante (in particolare la lattuga: Lactuca sativa), osservando come, a seconda della dimensione dei frammenti e della concentrazione nel terreno, il loro metabolismo viene alterato: “La presenza di microplastiche (MP) e nanoplastiche (NP) nel suolo può indurre alterazioni morfologiche, fisiologiche e biochimiche nelle piante”, si legge su Plant Physiology and Biochemistry.
Leggi anche: Tutte le microplastiche che ingeriamo
Gli studi precedenti su microplastiche e piante
Negli articoli citati, i ricercatori di Piacenza elencano ricerche sulle interazioni tra microplastiche e piante. Ricerche che, scrivono, “hanno evidenziato gli effetti dannosi dell’inquinamento da plastica su diverse specie vegetali. Questi risultati hanno riportato diversi effetti sulle prestazioni delle piante, tra cui crescita ridotta, alterazione dell’assorbimento dei nutrienti, stress ossidativo e cambiamenti nell’espressione genica”.
Perché la lattuga
Tra le colture, la lattuga è un organismo modello utile per studiare gli effetti degli inquinanti plastici sulle piante. Ha un ciclo di vita relativamente breve, che la rende adatta a esperimenti controllati, e le sue parti commestibili fuori terra (le foglie) consentono di valutare i potenziali rischi associati all’accumulo di plastica nelle colture alimentari. Lo studio Plant Physiology and Biochemistry si è concentrato su quattro diverse dimensioni delle particelle di micro e nanoplastiche di polietilene e su quattro concentrazioni. Sono stati analizzati l’attività fotosintetica, i cambiamenti morfologici delle piante e gli spostamenti metabolici nelle radici e nelle foglie.
Leggi anche: (Micro)plastiche e salute: una questione (solo) femminile?
La variabile dimensionale
I ricercatori rilevano che la dimensione delle particelle gioca “un ruolo fondamentale” nell’influenzare vari tratti di crescita della lattuga (biomassa, segmentazione del colore, indice di inverdimento, area fogliare e attività fotosintetica), parametri fisiologici e metabolici.
“In tutti i casi – scrivono – abbiamo notato disturbi che interessano un ampio spettro di metaboliti, suggerendo che la risposta della pianta alle micro e nanoplastiche è intricata e sfaccettata. Tuttavia, questi effetti dannosi sono stati osservati solo per determinate concentrazioni e dimensioni delle particelle, indicando che questi contaminanti possono agire come fattori di stress in condizioni particolari”.
Curiosamente, le dimensioni più piccole dei frammenti di plastica hanno dimostrato un impatto positivo sulle foglie della lattuga, “con conseguente stimolo complessivo dei processi biosintetici”.
Ci spiega Luigi Lucini, docente del Dipartimento Sustainable Food Process della Cattolica, nonché uno degli autori dello studio: “Nel caso della lattuga, che è una coltura a ciclo breve e quindi sta a contatto con la plastica per un tempo relativamente limitato, per concentrazioni della plastica più alte e dimensioni più grandi dei frammenti, c’è stato un effetto di crescita: le foglie crescono di più”.
Ma al cambiare della dimensione dei frammenti cambiano gli effetti: “Con le nanoplastiche, che sono quelle di dimensioni minori (milionesimo di millimetro), abbiamo visto invece un effetto di stress: una ridotta crescita, una minore superficie delle radici, i peli radicali – che sono la parte più attiva della radice – meno sviluppati”.
Gli effetti sui microrganismi
Il secondo studio, quello pubblicato su Science of The Total Environment, si è focalizzato sui microrganismi che abitano il suolo a contatto con le radici della pianta, osservando, anche in questo caso, delle modifiche.
“Le micro- e nano-plastiche nel suolo – si legge infatti – possono avere un impatto sulla diversità microbica all’interno delle rizosfere (la parte del suolo attorno alle radici, ndr) e indurre modifiche nei parametri morfologici, fisiologici e biochimici delle piante”. “Quello che abbiamo visto – ci dice ancora Lucini – è che quando siamo in presenza di microplastiche cambia la popolazione microbica legata alla radice”. Queste modifiche “contribuiscono a spiegare l’effetto anche sulla parte epigea, sulla parte fogliare che non è direttamente a contatto col suolo e le plastiche”. I batteri hanno infatti varie funzioni: “Dalla difesa verso i patogeni alla crescita. E, come per l’uomo, certi microrganismi sono positivi, quindi promuovono uno stato di salute, certi altri sono negativi, con effetti di stress”.
Leggi anche: La plastica che beviamo
Ne sappiamo ancora poco
“C’è ancora molto da studiare”, ammette Lucini. Sugli effetti a lungo termine, ad esempio, su altri altri tipi di polimeri e di piante. “Ad esempio, da altri lavori che stiamo pubblicando, con nuovi esperimenti più a lungo termine, risulta che gli affetti sono legati anche alla variabile tempo. Nel lungo termine abbiamo visto effetti importanti, anche negativi, sulla fotosintesi”.
Insomma, secondo il ricercatori, “siamo all’inizio di un percorso: non bisogna mai essere catastrofisti, ma quello che stiamo osservano secondo me è un campanello d’allarme che non va trascurato”.
“Particolare attenzione” secondo gli autori degli studi deve essere prestata all’agricoltura convenzionale, “a causa dell’ampio impiego di fanghi di depurazione e compost o dell’uso di acque reflue” che possono contenere microplastiche.
© Riproduzione riservata