Che il monouso sia uno specchio fedele dell’insostenibilità del modello di sviluppo attuale è una constatazione difficile da contestare. Quando però al principio bisogna dare seguito ecco che nascono difficoltà e resistenze. Specie quando gli ostacoli nascono proprio dagli enti locali più vicini alle persone. Lo sa bene l’Associazione Nazionale Comuni Italiani dell’Emilia-Romagna che – nell’ambito del progetto MEDfreeSUP, cofinanziato da EIT Climate-KIC e coordinato dal Dipartimento di Ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell’Università di Bologna – nel settembre 2020 ha lanciato il manifesto #moNOuso per stimolare strategie di riduzione dell’usa e getta e consolidare i modelli del riuso.
A distanza di due anni e mezzo da quell’enunciazione di principi, che intendeva dare concreta attuazione alla direttiva SUP sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (e la cui applicazione è stata criticata e osteggiata nel nostro Paese), al manifesto #moNOuso sono seguiti il vademecum per i Comuni “Ridurre i rifiuti da prodotti in plastica monouso…e non solo in plastica“ e la guida “Oltre il #moNOuso: i modelli del riuso“. Attualmente all’iniziativa hanno aderito 11 Comuni dell’Emilia-Romagna, mentre a fine febbraio, grazie al voto in consiglio comunale, Brescia è stato il primo Comune al di fuori dell’Emilia-Romagna ad aderire formalmente all’iniziativa #moNOuso.
“L’adesione – si legge in un post su LinkedIn che annunciava l’adesione del Comune lombardo – impegna la Giunta a tradurre la visione rappresentata nel manifesto in un percorso di progressivo contrasto al monouso sia all’interno che all’esterno del perimetro di diretta competenza dell’amministrazione. La delibera di consiglio e il relativo allegato sono basati sul format originale predisposto da ANCI-Emilia Romagna e adattato al contesto della Regione Lombardia”.
Lo scorso 14 marzo, inoltre, è stata diffusa una nuova guida, realizzata da ANCI-ER e ATERSIR, dedicata specificatamente agli eventi: qui vengono delineate “le soluzioni organizzative e operative per ridurre i rifiuti negli eventi, in particolare l’utilizzo dei prodotti monouso per la somministrazione di alimenti e bevande e l’accesso all’acqua di rete in alternativa all’acqua confezionata”. Per favorire l’adesione al Manifesto #moNOuso da parte dei Comuni, ANCI-ER mette a disposizione un modello di delibera di consiglio che evidenzia come i cinque principi del manifesto siano profondamente radicati e coerenti con il quadro di riferimento delineato sia a livello scientifico sia a livello istituzionale: dal livello internazionale, a quello europeo, nazionale e regionale.
Insomma: l’adesione dei Comuni al modello #moNOuso è e sarà un’esigenza sempre più diffusa, specie dopo l’approvazione dei criteri ambientali minimi nel settore culturale. Per saperne di più abbiamo intervistato l’esperto Paolo Azzurro, responsabile dell’area economia circolare per ANCI Emilia-Romagna.
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Come far diventare mainstream il #moNOuso
“Abbiamo pensato di aumentare i contributi specifici nell’ottica monouso vs riuso, spiegando come le concettualizzazioni di carattere generale si possono declinare nella pratica nei diversi campi di intervento. Ogni ambito di applicazione ha infatti le sue prerogative e le sue soluzioni”: così Paolo Azzurro spiega il senso delle iniziative promosse in questi mesi.
Nel manifesto #moNOuso di settembre 2020 si elencavano cinque principi generali:
- il problema non è la plastica ma il monouso
- la differenziata non basta
- accompagnare la prevenzione
- favorire il riuso
- testimoniare il cambiamento
Nel frattempo in questi anni molti Comuni si sono dichiarati plastic-free: non c’è il rischio che le amministrazioni locali possano scegliere di fermarsi a questa etichetta? “Lo abbiamo detto mille volte: la narrazione plastic-free può essere fuorviante perché contribuisce a consolidare l’erronea percezione che basti sostituire la plastica con altri materiali per rendere sostenibile l’usa e getta – riflette ancora l’esperto – È essenziale concentrare l’attenzione sulla necessità e l’urgenza di ridurre l’impatto dei nostri consumi, a partire dall’eliminazione dei prodotti inutili o non necessari e dalla sostituzione del monouso con soluzioni basate sull’impiego di prodotti riutilizzabili ed effettivamente inseriti in circuiti di riutilizzo. Riteniamo che il passaggio dal plastic-free al #moNOuso possa essere stimolato e accelerato da una crescente narrazione in grado di spostare l’attenzione di consumatori, imprese e istituzioni locali dalla semplice sostituzione dei materiali alla prevenzione e riuso. Il cambiamento richiede in primo luogo una percezione condivisa e diffusa dell’obiettivo verso il quale tendere. È un po’ lo stesso percorso che si è avuto con lo spreco alimentare, un tema che fino a qualche anno fa era fuori dai radar e che oggi è diventato di pubblico dominio, con conseguente attenzione dei media e di tutti i livelli istituzionali”.
Allo stesso tempo anche l’etichetta plastic-free è diventata mainstream, grazie alla campagna di sensibilizzazione di qualche anno fa che è partita dal ministero dell’Ambiente e che poi si è diffusa in tutta Italia grazie anche a un’azione capillare sui territori da parte della società civile. Il passaggio al riuso, invece, fa finora fatica ad attecchire, a livello sociale così come a quello istituzionale ed economico. “I cambi di percezione che presuppongono un cambio di mentalità e richiedono un cambiamento nei modelli di business ci mettono un po’ ad arrivare, perché bisogna andare oltre la superficialità e affrontare la complessità dei problemi” osserva l’esperto di ANCI Emilia-Romagna.
In questo senso un ulteriore freno è stato certamente il Covid: la diffusione del monouso, soprattutto nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, è stata disciplinata per legge. Contribuendo a rafforzare la percezione che l’imballaggio è sinonimo di sano e il riuso invece un ricettacolo di germi. Lo ha dimostrato anche il recente test effettuato da Greenpeace nei supermercati italiani, in cui i contenitori riutilizzabili portati dagli utenti sono stati spesso respinti dalle addette e dagli addetti alla vendita, nonostante il loro uso sia consentito dal cosiddetto “decreto Clima” del 2019.
“Adesso che è scemato il rischio della pandemia – afferma Azzurro – dobbiamo costruire le condizioni affinché si mettano in piedi sistemi di riutilizzo che garantiscano, nel caso specifico degli imballaggi a contatto con alimenti, le adeguate condizioni di sicurezza igienico-sanitaria. Proprio per questo noi chiediamo un coinvolgimento delle aziende sanitarie locali, in modo da dare anche certezze agli operatori del settore ed evitare il rischio di possibili sanzioni”.
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