di Alessandro Coltré e Daniele Di Stefano
“Se l’iter processuale è stato avviato lo si deve soprattutto alla mobilitazione del basso. Ancora oggi per loro presidiare le sedi della democrazia è un atto necessario. Sanno che la loro presenza fisica è fondamentale per rendere visibile l’inquinamento che stanno ancora subendo. Le loro vite sono state violate. Sono la prova tangibile di quello he è successo. I loro corpi, insieme a quelli dei loro figli, hanno filtrato i PFAS per anni e ancora oggi ne trattengono ingenti quantità. Devono continuare a ricordalo ovunque e in ogni occasione finché giustizia non sarà fatta”. Così nel suo libro (PFAS, gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua. Storie di diritti negati e cittadinanza attiva) Giuseppe Ungherese ha scritto del processo di Vicenza per accertare le responsabilità di uno dei più gravi casi di inquinamento da PFAS in Europa, quello legato alle attività della Miteni, e il protagonismo, loro malgrado, delle cittadine e dei cittadini “violati” dalle attività illegali dell’industria di Trissino. Torniamo da lui ora che il tribunale di Vicenza ha condannato 11 manager delle diverse gestioni dell’azienda al risarcimento per oltre 300 parti civili.
Per capire il valore di questa sentenza, ci può indicare alcune di queste parti di civili?
Quello appena conclusosi a Vicenza è uno dei processi ambientali più grandi della storia italiana, che ha visto coinvolte centinaia di parti civili per far fronte a quello che è stato uno dei più gravi casi di inquinamento della storia del Paese. Hanno partecipato al processo numerosi enti pubblici, a partire dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, a vari enti locali del Veneto – la Regione, la Provincia – ma anche i gestori delle acque potabili, fino alla cittadinanza attiva, non solo con organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente, ma anche associazioni di medici che si battono per la tutela della salute come Isde – Medici per l’Ambiente, fino a decine di persone e residenti che sono state vittime inconsapevoli per decenni di questa contaminazione.
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Durante il processo di Vicenza, un’altra giudice ha riconosciuto un “elevato grado di probabilità” che il tumore che ha ucciso un ex operario Miteni (Pasquale Zenere) sia stato provocato dai PFAS coi quali era venuto a contatto sul luogo di lavoro. Che peso ha avuto questa sentenza?
Proprio poche settimane prima della chiusura del processo di Vicenza lo stesso tribunale si era espresso riconoscendo come queste sostanze erano la causa dell’insorgenza di una patologia tumorale di un ex operaio dell’azienda Miteni, venuto a mancare diversi anni fa. Quella è stata la prima sentenza ad aver fatto luce sulla relazione causa-effetto tra l’esposizione a queste sostanze e l’insorgenza di alcune malattie. È stata la prima sentenza che nel nostro Paese di fatto apre le porte alla giustizia sociale e ambientale legata all’esposizione a queste sostanze. E’ verosimile che nel prossimo futuro assisteremo a molti casi simili percorrendo la parabola già vissuta con l’amianto.
Cosa significa la condanna dei manager Miteni per il futuro dei PFAS, per le imprese che li producono e impiegano?
Più in generale la sentenza che ha condannato 11 ex manager dell’azienda chimica Miteni ha segnato un cambio di passo, perché di fatto chi inquina con queste sostanze non resterà più impunito. Oggi sappiamo che ci sono vari casi, più o meno gravi, in varie aree del nostro paese, per i quali questa sentenza può segnare una svolta. Certo è un po’ paradossale che su queste tipologie di inquinamento alla fine debba intervenire per forza di cose la magistratura: perché andando al ritroso nella storia, quando nel 2013 la Miteni fu riconosciuta dagli enti pubblici come la principale fonte di contaminazione da PFAS per l’area contaminata del Veneto, poco dopo gli stessi enti pubblici rinnovarono le autorizzazioni ambientali e garantirono all’azienda di continuare ad operare.
Gli enti pubblici devono intervenire, non ci sono ragioni perché tutto ciò venga rimandato alla magistratura: dovrebbero farlo prima, con gli strumenti che il nostro ordinamento mette a disposizione.
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E cosa significa la condanna per il territori che lottano con gli stessi drammatici problemi?
Oggi i tanti territori che vivono situazioni di inquinamento da PFAS guardano alla sentenza di Vicenza come una svolta storica. Pensiamo ad esempio ad Alessandria, dove ancora è presente l’unico stabilimento in Italia che produce queste sostanze: lì c’è un inquinamento diffuso che per fortuna non tocca in modo così pesante le acque potabili, ma riguarda l’aria. L’aria che respirano le comunità alessandrine è contaminata da PFAS e purtroppo ancora oggi non sono stati posti rimedi per impedire il porpagarsi della contaminazione. Anche a Alessandria dovrebbe partire un processo a breve, anche se lì i reati contestati sono un po’ differenti rispetto a quelli per cui ci sono state le condanne in Vicenza.
Si aspetta altri processi sui PFAS in Italia?
La sentenza di Vicenza potrebbe fare da preludio, potrebbe portare a nuove vertenze nelle corti di giustizia. Penso ad esempio ad alcune zone della Toscana dove è nota questa contaminazione, numerose altre aree del Piemonte, una su tutte la Val di Susa dove periodicamente i PFAS vengono ritrovati nell’acqua potabile. Ma anche la stessa città di Torino o Milano. Perché se queste sostanze si trovano nell’acqua vuol dire che da qualche altra parte c’è una massiccia dispersione dell’ambiente, che qualcuno ha sversato queste sostanze nell’ambiente. Per cui sì, credo che presto potrebbero iniziare nuovi processi in Italia.
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La sentenza di Vicenza potrà secondo lei influenzare il lavoro in corso in Europa sulla richiesta di bando avanzata da cinque Paesi?
Anche questo verdetto potrebbe, e me lo auguro, influenzare il processo che vuole bandire queste sostanze a livello comunitario, che negli ultimi anni, anche grazie alla spinta delle lobby, ha subito parecchi rallentamenti e battute d’arresto. Mi auguro che questa sentenza sia da stimolo al nostro governo per intervenire su una regolamentazione rigorosa dei PFAS, perché ci sono decine di migliaia di persone contaminate e non c’è ragione che vengano ancora sacrificate per garantire il profitto di pochi.
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