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sabato, Dicembre 14, 2024

C’è ancora uno spazio “sicuro e giusto” per il pianeta? Ecco cosa dice la scienza

Lo spazio “sicuro e giusto” per il pianeta si sta riducendo a causa del consumo eccessivo di risorse da parte di una minoranza di Paesi. L’unico modo per provvedere a tutti e garantire che le società e le economie prosperino senza destabilizzare l’ambiente è cambiare rotta e ridurre le disuguaglianze

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet Planetary Health dimostra che in futuro il pianeta sarà in grado di fornire a tutte e tutti uno standard di vita di base solo se i sistemi economici e le tecnologie saranno radicalmente trasformati e le risorse critiche saranno utilizzate, gestite e condivise in modo più equo. Gli autori hanno identificato uno “spazio sicuro e giusto” per l’umanità al cui interno i danni agli esseri umani e alla natura possono essere ridotti al minimo e tutti i bisogni possono essere soddisfatti.

Tuttavia l’unico modo per provvedere a tutti e garantire che le società, le imprese e le economie prosperino senza destabilizzare il pianeta è ridurre le disuguaglianze nelle modalità di accesso e di utilizzo delle risorse critiche del sistema Terra, parallelamente a una trasformazione economica e tecnologica che supporti il percorso. Le città e le imprese possono svolgere un ruolo cruciale e diventare custodi dei nostri sistemi terrestri critici: perciò nello studio una sezione è dedicata a come ridurre il loro impatto sul pianeta.

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La ricerca è stata redatta da oltre 60 scienziate e scienziati naturali e sociali della Commissione per la Terra, una commissione scientifica internazionale all’interno di Future Earth, la più grande rete mondiale di scienziati esperti di sostenibilità. Il rapporto è guidato dai professori Joyeeta Gupta e Xuemei Bai, dalla professoressaDiana Liverman e vi ha partecipato Johan Rockström, co-presidente della Commissione per la Terra e direttore dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, noto per il suo lavoro scientifico sui planetary boundaries, i nove confini planetari che descrivono i limiti agli impatti delle attività umane sul sistema Terra e che, se sforati, non permetterebbero più all’ambiente di autoregolarsi.

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Lo spazio sicuro per l’umanità si sta comprimendo

È ancora possibile per tutti gli esseri umani sfuggire alla povertà e mettersi al sicuro dai danni causati dai cambiamenti del sistema Terra, ma la capacità di sopportazione del pianeta si sta spingendo oltre i suoi limiti. Gli scienziati hanno identificato questo “spazio sicuro e giusto” – l’unico in cui è ancora possibile soddisfare i bisogni delle persone senza mettere in pericolo l’ambiente – ma le proiezioni future al 2050 mostrano che questo spazio si ridurrà nel tempo, a meno che non avvengano trasformazioni urgenti.

Un anno fa nel precedente studio “Safe and just Earth system boundaries” gli stessi ricercatori avevano individuato e aggiornati i limiti planetari, che possono essere visti come il “tetto” per l’estrazione delle risorse naturali e l’inquinamento da parte dell’uomo, entro il quale i sistemi terrestri possono rimanere stabili e resilienti e le persone possono essere al sicuro dai danni dei rivolgimenti ambientali. Adesso hanno aggiunto una “base”, mostrando ciò di cui la popolazione globale ha bisogno dal sistema Terra per vivere una vita senza povertà. “Per la prima volta – ha commentato Johan Rockström – gli scienziati hanno quantificato la sicurezza (un pianeta stabile) e la giustizia (protezione delle persone dai danni) utilizzando le stesse unità di misura, al fine di determinare il percorso da seguire per un futuro stabile e resiliente in cui tutti noi possiamo prosperare”.

Tuttavia dalle proiezioni fatte dai ricercatori è emerso un dato preoccupante: se entro il 2050 tutti gli abitanti del pianeta avessero accesso alle risorse necessarie per garantire uno standard di vita al di fuori della povertà, ci troveremmo al di fuori anche dei limiti climatici. Perciò, se non verranno adottati cambiamenti significativi a livello globale nei sistemi energetici, alimentari e urbani, entro il 2050 i sistemi terrestri oltrepasserebbero pericolosi punti critici che causerebbero ulteriori danni significativi a miliardi di persone sulla Terra, mettendo nuovamente a rischio il loro benessere o gettandole nuovamente in uno stato di bisogno.

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Una minoranza di persone mette in pericolo la maggioranza

La strada da percorrere non è certo quella di limitare l’accesso alle risorse a chi ne è privo. Non solo per evidenti ragioni etiche, ma scientifiche: fornire risorse minime a coloro che attualmente non ne hanno a sufficienza aggiungerebbe, infatti, al sistema Terra una pressione molto minore di quella attualmente causata dalla minoranza che utilizza risorse di gran lunga superiori. Insomma: lo studio dimostra che la giustizia climatica e una distribuzione equa delle risorse è il prerequisito per la sicurezza del pianeta e delle persone.

I ricercatori hanno analizzato i punti del pianeta in cui sono stati violati i confini “sicuri e giusti” e hanno individuato le persone che vivono in condizioni di povertà e che sono esposte ai danni del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, dell’inquinamento e della scarsità d’acqua. I risultati mostrano che le comunità già vulnerabili diventeranno ancora più esposte alla rottura dell’argine rappresentato dai planetary boundaries ma tutti, indipendentemente dal reddito, sono a rischio.

Solo per fare alcuni esempi: in India circa 1 miliardo di persone vive su terreni con una ridotta capacità di fornire servizi ecosistemici. La popolazione del Bangladesh sarà tra le più colpite dall’innalzamento del livello del mare, con circa 30 milioni di persone coinvolte se verrà mantenuto solo l’obiettivo di stabilizzare la temperatura di 2 °C nel 2100. In Indonesia circa 194 e 140 milioni di persone sono esposte a livelli non sicuri rispettivamente di azoto e fosforo in eccesso. In Brasile intorno a 79 milioni di persone sono esposte a livelli non sicuri (e ingiustamente distribuiti tra la popolazione) di inquinamento atmosferico dovuto al particolato fine (il cosiddetto PM 2.5).

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“Stiamo iniziando a renderci conto dei danni che la disuguaglianza sta causando alla Terra”, ha spigato Joyeeta Gupta, ex co-presidente della Commissione per la Terra e professore di Ambiente e sviluppo nel Sud globale presso l’Università di Amsterdam. “Più continuiamo ad allargare il divario tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, più estreme saranno le conseguenze per tutti, poiché i sistemi di supporto che sono alla base del nostro stile di vita, dei nostri mercati e delle nostre economie inizieranno a crollare”.

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Il contributo di città e imprese per ridurre gli impatti sul pianeta

Le città e il mercato non devono essere visti solo come la causa principale di questa situazione, ma possono svolgere un ruolo cruciale e contribuire a tutelare i sistemi terrestri critici, come ha fatto notare Xuemei Bai, membro della Commissione per la Terra e professore emerito alla Fenner School of Environment & Society dell’Australian National University. “Le aziende e le città hanno un enorme potenziale per fare la differenza, soprattutto se lavorano per lo stesso obiettivo: garantire che il pianeta possa provvedere a tutti a lungo termine. Sono più agili e flessibili degli Stati e possono ridurre la loro pressione sul pianeta fissando obiettivi basati sulla scienza in linea con i nostri risultati”.

Molte città sono già attive in questo percorso: stanno fissando obiettivi climatici e di sostenibilità, sia attraverso iniziative e reti locali sia impegnandosi per raggiungere obiettivi di zero emissioni entro il 2050. Sempre più imprese integrano obiettivi basati sulla scienza nelle loro strategie di gestione del rischio per garantire la sostenibilità aziendale a lungo termine. In risposta alle richieste degli investitori e dei consumatori, le aziende stanno misurando, monitorando e divulgando alcuni aspetti della loro impronta ambientale, tra cui le emissioni di carbonio, l’uso dell’acqua, la gestione dei rifiuti e le compensazioni di carbonio, gli indicatori del contributo sociale e gli obiettivi futuri.

Uno degli obiettivi dello studio è stato esaminare il modo in cui i confini planetari possono essere ridimensionati nell’ottica delle città e delle imprese, per far sì che sia possibile identificare anche per loro “giuste quote” di risorse e responsabilità. Questi impatti o impronte associate a imprese e città possono essere misurati utilizzando prospettive basate sul consumo o sulla produzione. La prima include tutti gli impatti e l’uso delle risorse associati al consumo di prodotti locali e importati. La seconda include gli impatti e le risorse utilizzate nella produzione di beni che avviene entro un confine geograficamente definito.

L’applicazione dei limiti “sicuri e giusti” per le città deve considerare, inoltre, le dinamiche urbane di espansione o ridimensionamento, le pressioni naturali ed ecologiche (ad esempio, le condizioni climatiche, la vicinanza ad habitat sensibili, i livelli di stress idrico), il contesto socioeconomico e le capacità esistenti (ad esempio, la capacità di adattamento). L’aumento dell’attività economica, della popolazione urbana, dell’uso delle risorse e dei livelli di servizi comunali può accrescere le pressioni su questi limiti. Dal lato delle aziende, l’aspetto fondamentale da monitorare è, invece, il pericolo greenwashing nella comunicazione dei dati ambientali, sociali e di governance.

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Trasformazioni urgenti da fare al più presto

Per raggiungere questo spazio, in cui ci sono ancora opportunità di benessere per tutti, gli obiettivi basati sulla scienza non sono sufficienti. Il documento chiede un cambiamento in tre aree. “In primo luogo – si legge – uno sforzo ben coordinato e intenzionale tra politici, imprese, società civile e comunità può spingere a cambiare il modo in cui gestiamo l’economia e a trovare nuove politiche e meccanismi di finanziamento che possano affrontare le disuguaglianze riducendo al contempo la pressione sulla natura e sul clima”.

“In secondo luogo – si legge nelle conclusioni della ricerca – fondamentale per la trasformazione è una gestione, una condivisione e un utilizzo più efficienti ed efficaci delle risorse a tutti i livelli della società, anche affrontando l’eccesso di consumo di alcune comunità che limita l’accesso alle risorse di base per coloro che ne hanno più bisogno. In terzo luogo, gli investimenti in tecnologie sostenibili e accessibili sono essenziali per aiutarci a utilizzare meno risorse e a riaprire lo spazio sicuro e giusto per tutti, in particolare dove lo spazio rimasto è poco o nullo”.

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