Il product as a service – in cui si scambiano sul mercato servizi e non beni fisici – è uno strumento potentissimo per abbandonare i modelli lineari di produzione e accelerare la transizione verso l’economia circolare. Per questo l’Unione Europea dovrebbero mettere questo modello al centro del futuro Circular Economy Act. Ma ci sono alcune raccomandazioni per le istituzioni europee: servono un nuovo approccio alla contabilità aziendale, cambiamenti nella tassazione, più finanziamenti, supporto strutturale alle pmi, progetti politici che spingano sul valore ambientale le scelte di consumatori e aziende.
Sono tutti punti elencati nel position paper presentato dal progetto PACCT for Sustainability nel corso di un webinar organizzato durante la scorsa EU Green Week e dedicato a questa tematica. Il progetto PACCT oggi conta oltre 790 membri in più di 20 nazioni ed è sostenuto da grandi aziende come Michelin e Basf/Xarvio e Ademe, l’agenzia per la transizione ecologica francese. Il motivo per cui il product as a service è un modello più sostenibile è evidente: l’iper produzione e il consumismo del modello economico lineare è la principale pericolo per l’ambiente. Vendere servizi attraverso il noleggio di prodotti – invece di venderli – è un modo dunque per intervenire alla radice del problema.
“L’innovazione tecnologica da sola non basta. Né si si tratta solo di introdurre nuovi materiali o di migliorare il riciclo. Il cuore della proposta è un cambio radicale del modello: non vendere più prodotti, ma servizi”, ha esordito François Johnstone di Johnson Circular, uno dei promotori del progetto. Un modo di reinventare il business, o piuttosto un cambio di prospettiva: “Non vendo pneumatici, vendo chilometri percorsi. Non vendo lampadine, ma illuminazione, non vendo climatizzatori ma temperature più basse”, prosegue Johnstone. È questo – sostiene – il cuore del product as a service: “Nel momento in cui fatturo euro per chilometro, il mio KPI come fornitore diventa: usare il minor numero possibile di pneumatici per ottenere quel risultato”.
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Product as a Service: quali sono i benefici ambientali
Riassume il position paper: “I modelli PaaS hanno un impatto positivo sull’ambiente perché fornitori, distributori e utenti finali sono tutti allineati nel massimizzare l’efficienza e utilizzare il minor numero possibile di prodotti per generare il risultato desiderato. I modelli PaaS non puntano sui volumi, ma sulla soddisfazione del cliente attraverso un utilizzo gestito. Per questo motivo, i modelli PaaS si basano su prodotti di alta qualità, durevoli ed eco-progettati”.
Perciò, prosegue il documento “i modelli PaaS sono l’esatto opposto dell’obsolescenza programmata. I modelli PaaS, inoltre, sono fortemente incentrati sul cliente: per garantire il successo dei modelli PaaS, i fornitori devono comprendere appieno le esigenze e le preoccupazioni degli utenti finali. I modelli PaaS generano ricavi ricorrenti a lungo termine, anziché attività transazionali a breve termine”.
Product as a Service: ci sono ancora troppi ostacoli
Tuttavia, il position paper di PACCT evidenzia come sulla via dell’adozione di questi modelli ci siano tanti ostacoli. C’è prima di tutto un modello culturale fondato sul possesso che permea ancora le scelte delle persone, mentre le logiche operative delle aziende sono incentrate su volumi e produzione e mancano sistemi contabili e finanziari adeguati. “È dura dal punto di vista culturale, perché si prende una strada completamente opposta rispetto a quella che le aziende hanno seguito per 50 anni. È dura anche dal punto di vista operativo, perché il margine lo fai nella fase di servizio, non nella produzione”, spiega Johnstone, elencando le barriere sistemiche da superare.
“È dura dal punto di vista finanziario – prosegue – perché la contabilità che usiamo oggi è ereditata da 250 anni di economia lineare. Il finanziamento di un modello PaaS è molto diverso: l’azienda non guadagna subito dalla vendita del bene, ma deve prima coprire i costi per produrlo o acquistarlo, e poi rientrare dell’investimento nel tempo”. Dal punto di vista contabile l’aziende sembra in perdita“. In pratica, se il costo di questi beni viene “scaricato” tutto nei primi due anni, ma i ricavi arrivano lentamente nel tempo il bilancio dell’azienda è in negativo, non attrae investitori e fatica a ottenere liquidità col rischio di fallire, anche se il modello funziona.
A questo si sommano problematiche fiscali: l’IVA, così come viene applicata, penalizza il riuso. Johnstone sottolinea la contraddizione di fondo: “Se voglio riciclare un oggetto, ha senso chiedere all’utente finale di pagare il 20% di IVA a ogni ciclo di vita? Non ha senso”. Il problema “culturale” riguarda anche i criteri di tassazione, ricorda Johnstone: “Finché il lavoro umano sarà più tassato delle materie vergini, avremo un problema”. Significa, infatti, che in molte nazioni si pensa ancora che conviene distruggere e produrre di nuovo piuttosto che riparare o rigenerare.
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Le quattro raccomandazioni di PACCT
Di fronte a questi ostacoli PACCT ha una serie di raccomandazioni per sostenere i modelli product as a service, anche a livello di istituzioni europee. Per prima cosa oggi si richiede che il fornitore sia proprietario dell’oggetto e che i risultati siano misurati solo con due criteri: durata e intensità d’uso. “Ma ci sono molti altri impatti positivi – spiega Johnstone – come riduzione dei consumi energetici o minore uso di plastica. Dobbiamo concentrarci sul risultato, non sul mezzo. Non importa chi possiede l’oggetto, importa che ci sia un impegno sul risultato ambientale”.
Il secondo punto riguarda il sostegno finanziario, compreso quello offerto dai fondi europei. Le aziende, per cambiare modello, hanno bisogno di risorse, ma “la maggior parte dei fondi oggi va alla ricerca e sviluppo di prodotti, non ai modelli di business. Eppure senza investire su questo, non faremo mai il salto”. La terza raccomandazione è quella di rafforzare il supporto tecnico, come fa Ademe in Francia: “Non offre solo finanziamenti, ma anche assistenza tecnica alle imprese, aiutandole a rendere operativo il cambiamento. Questo supporto deve essere localizzato, vicino alle imprese, perché è lì che avviene la transizione, non a livello nazionale”.
Infine, PACCT chiede che si agisca anche su una serie di altre leve complementari: semplificare il trasporto transfrontaliero dei materiali usati, creare strumenti comuni di misurazione dell’impatto (come LCA adattati ai settori), e soprattutto rivedere le regole fiscali e contabili. “I sistemi di ammortamento sono troppo brevi per chi investe in beni durevoli. L’attuale sistema fiscale premia la distruzione e non la riparazione. Serve una riforma fiscale circolare”, conclude.
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I casi di successo esistono: le best practices

La transizione a un modello product-as-a-service rappresenta un cambiamento significativo rispetto agli approcci aziendali tradizionali. Le aziende che adottano il PaaS devono affrontare problematiche complesse come il finanziamento degli asset, la gestione del flusso di cassa e l’adattamento dei modelli circolari agli standard contabili lineari esistenti. Tuttavia, molte di queste sfide possono essere affrontate grazie gli insegnamenti di best practices e soluzioni personalizzate. E proprio alle best practices di aziende come HP, Decathlon, Michelin, ETAP Kaer e Tulu, in cui sono state già sperimentate sul campo forme alternative di business basate sull’acquisto di servizi piuttosto che di beni si è concentrata la seconda parte del webinar.
Decathlon, gigante nel settore degli articoli sportivi dal 2021 propone noleggio a breve termine e abbonamenti mensili per bici ed equipaggiamento. Il modello ha superato i 100.000 abbonati e ha già generato oltre 15 milioni di euro, riducendo le emissioni di CO2 di cinque volte per euro di margine rispetto alla vendita tradizionale. Tulu porta il PaaS dentro casa: nei condomini e studentati di 40 città, offre in abbonamento mensile l’accesso a prodotti condivisi, evitando acquisti superflui e rifiuti. Il successo si gioca sulla personalizzazione grazie ai dati, sulla logistica di prossimità e su partnership con gli affittuari.
Nel settore IT, HP ha evoluto il classico device-as-a-service in un modello circolare: i dispositivi vengono rigenerati e riutilizzati per estenderne la vita fino a 7 anni, riducendo la CO2 fino al 40% sul ciclo di vita. Soluzioni Paas sono adottate anche nel settore dei trasporti, come Michelin: con il suo “Effitires” i clienti pagano al chilometro per un servizio completo di pneumatici e manutenzione. Così si evita la logica del volume venduto, premiando durata ed efficienza. Il modello ha evitato 300.000 tonnellate di CO2 l’anno.
Infine, nel campo dell’energia sono da citare i casi di ETAP Lighting che propone “circular light-as-a-service” per uffici, scuole e ospedali: contratti fino a 20 anni nel servizio di illuminazione, risparmio energetico del 70%, gestione completa dall’installazione al fine vita. Kaer, a Singapore, ha reinventato il condizionamento con il suo cooling as a service: i clienti pagano solo l’uso effettivo di aria condizionata, mentre Kaer mantiene proprietà e gestione degli impianti. Grazie a questo approccio, risparmia oltre 54.000 tonnellate di CO2 l’anno.
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