“Il regolamento europeo sulle emissioni di metano per il settore energetico? Poteva essere più ambizioso, era auspicabile aspettarsi di più anche se registriamo alcuni passi in avanti. In questo senso il nostro auspicio è che l’Italia possa assumere un ruolo guida. Anche se i nuovi progetti incentrati sul gas non fanno ben sperare”. Così Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, torna su un tema attuale e importante – come dimostrano gli ultimi dati di OpenPolis – che riguarda uno degli ennesimi provvedimenti europei di cui probabilmente dovrà occuparsi il nuovo assetto istituzionale che emergerà dopo le elezioni del 26-29 giugno.
Lo scorso 15 novembre Consiglio e Parlamento hanno trovato un accordo provvisorio su un regolamento atteso, presentato dalla Commissione il 15 dicembre 2021, e che si inserisce nel pacchetto Fit for 55, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra al 2030 del 55% rispetto ai livelli del 1990. È noto infatti che il metano non è solo una fonte energetica ma anche un potente gas a effetto serra, secondo soltanto all’anidride carbonica in termini di contributo complessivo al collasso climatico. Attualmente il testo provvisorio è sotto esame da parte delle due istituzioni, in attesa di essere approvato e formalmente adottato nella medesima forma da entrambe le istituzioni.
“Il regolamento – si legge nella nota del Consiglio – introduce nuovi obblighi per i settori del petrolio, del gas e del carbone al fine di misurare, comunicare e verificare le emissioni di metano e prevede la messa in atto di misure di mitigazione per evitare tali emissioni, tra cui misure in materia di rilevamento e riparazione delle fuoriuscite di metano nonché di limitazione del rilascio in atmosfera e della combustione in torcia. Propone inoltre strumenti di monitoraggio mondiale per garantire la trasparenza sulle emissioni di metano derivanti dalle importazioni di petrolio, gas e carbone nell’UE”.
Proprio per questi motivi negli scorsi giorni Legambiente ha tenuto un incontro online con la stampa. Oltre all’illustrazione dei passaggi più essenziali del testo provvisorio l’associazione ambientalista ha presentato gli ultimi risultati della campagna “C’è puzza di gas”, realizzata da Legambiente con il supporto di Clean Air Task Force. Già a ottobre 2023 sempre Legambiente aveva lanciato Metaneia, il primo Osservatorio italiano sulle emissioni di metano nel settore energetico.
“L’Osservatorio – si legge nel comunicato stampa di lancio – punta ad essere uno strumento che oltre ad arricchire le attività di conoscenza e informazione sulle dispersioni che coinvolgono le infrastrutture che fanno parte dell’intera filiera delle fonti fossili (dalle centrali elettriche, a quelle di compressione, ai gasdotti, ai pozzi estrattivi, impianti di stoccaggio), si pone l’obiettivo di diventare punto di riferimento in tema di emissioni di metano nel settore energetico in Italia, la cui incidenza è pari al 17% rispetto al totale nazionale”.
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Metano che passione
Anche se a parole sono in pole-position per combattere la crisi climatica che esse stesse hanno causato in buona parte, le aziende energetiche sono poi sempre pronte a osteggiare qualsiasi provvedimento che ne limita profitti e libertà di manovra. Sta avvenendo lo stesso anche con il regolamento europeo sulle emissioni. Ed è un grave problema, dato che il metano ha un potenziale climalterante superiore, e pure di molto, rispetto all’anidride carbonica. Si tratta insomma di agire già in questo decennio, e di trattare anzi il metano come abbiamo fatto con la CO2.
Ne è convinto anche Tomas Bredariol, analista politico su Energia e Ambiente per l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Nel punto stampa organizzato da Legambiente, Bredariol parte da un focus sulla situazione attuale. “Le emissioni nel settore energetico sono ancora a livelli record – dice – nonostante i prezzi alle stelle e la sicurezza delle forniture che dovrebbe incentivare le iniziative di abbattimento delle emissioni. Non vediamo tuttavia una curva promettente di riduzione. Per riuscire a raggiungere l’obiettivo Net-Zero c’è un tempo molto limitato, ecco perché servono sforzi molto maggiori rispetto a quelli in atto”.
In questi anni l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha sposato un atteggiamento positivo, preferendo vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Lo fa anche Bredariol nella sua analisi.
“Ci sono comunque motivi per sperare in meglio – afferma – Il progresso tecnologico, ad esempio. Ci sono inoltre molte opzioni disponibili per ridurre le emissioni, già con le tecnologie esistenti si potrebbero ridurre le emissioni energetiche di metano di tre quarti, ad esempio con i satelliti e i droni. Va tenuto in considerazione che la riduzione delle emissioni di gas avrebbe un effetto notevole sull’attenuazione della crisi climatica. Ci sono anche molti quadri normativi che stanno finalmente emergendo sul tema: ad esempio in Canada, Colombia, Stati Uniti, Nigeria, la stessa Unione Europea. Ma servono grandi finanziamenti. Per questo motivo sono disponibili molti fondi”.
In Italia abbiamo imparato a conoscere l’azione di Clean Air Task Force, e il loro monitoraggio delle emissioni fuggitive di metano tramite termocamere a infrarossi, grazie a un servizio di Report e alle campagne comuni con Legambiente. Forse anche per questa esperienza sul campo Theofile Humann, di Clean Air Task Force, è molto netto nella sua disanima: “serve tolleranza zero verso le emissioni fuggitive di metano; i grandi player del settore non stanno ancora agendo”.
Per Brandon Locke, anche lui di Clean Air Task Force, “il regolamento europeo sul metano è il primo davvero rivolto ad affrontare questa urgenza. Molte aziende hanno provato a ridurre alcuni fenomeni di emissioni fuggitive, ma fino a questo momento nulla di tutto questo era obbligatorio. Col regolamento, invece, per la prima volta vediamo coerenza e trasparenza nel quadro normativo nonché obiettivi certi. Alcuni degli obblighi e delle scadenze, che sono posticipate ai prossimi anni, ci diranno cosa aspettarci concretamente dalle aziende energetiche ”.
Tra le altre cose da sapere sul regolamento: le informazioni sulle emissioni saranno rese pubbliche, in modo da poter valutare le aziende virtuose; si avranno tendenzialmente 30 giorni di tempo per riparare completamente le perdite, almeno quelle meno gravi, e si tratta di una misura molto concreta che si spera possa spingere ad agire le aziende energetiche, magari aumentando la frequenza dei controlli; infine, come per ogni regolamento, saranno gli Stati membri a essere considerati responsabili nel caso di inattuazione delle norme previste.
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Le dispersioni di metano in Italia
Se è innegabile che “i problemi condivisi dall’Italia sulle dispersioni di metano sono problemi globali”, come afferma Brandon Locke di Clean Air Task Force, è comunque evidente che la situazione italiana ha delle specificità tutte sue, specie perché dalla guerra in Ucraina si è rafforzato il tentativo governativo di fare del nostro Paese un hub del gas. E per realizzare tale obiettivo l’intera penisola sta per essere riempita di ulteriori gasdotti e navi rigassificatrici, e dunque di potenziali nuove emissioni fuggitive. “Le dispersioni del gas vengono pagate in bolletta, senza neanche una reale trasparenza” fa notare ancora Katiuscia Eroe. In questo senso è paradigmatico il monitoraggio effettuato da Legambiente e da Clean Air Task Force attraverso la campagna C’è puzza di gas, che da due anni verifica le emissioni fuggitive di metano (flaring e veting) nei maggiori impianti italiani. Da Sud a Nord i risultati sono ovunque preoccupanti.
“L’ultima attività di monitoraggio l’abbiamo svolta a fine gennaio in Abruzzo – racconta Adriano Della Bruna, ufficio Energia di Legambiente – Banalmente il metano non è visibile a occhio nudo, ecco perché ci muoviamo con questa camera a infrarossi, restando fuori dall’infrastruttura. Ecco perché a volte è difficile dare una quantificazione esatta, è successo che a volte il metano era talmente tanto che non si capiva la fonte della perdita. I dati sull’Abruzzo, precisamente nella zona del vastese, sono preoccupanti: abbiamo monitorato 11 impianti a gas in 8 dei quali abbiamo trovato emissioni di metano; in totale parliamo di circa 30 perdite e 5 casi di venting, cioè di rilasci volontari in atmosfera. Altri monitoraggi e con risultati simili, se non peggiori, li abbiamo effettuati in Sicilia, Basilicata e Campania”.
Quel che fa più impressione, esaminando il sito creato ad hoc da Legambiente, è che si evince che spesso le perdite sono banalmente dovute a una manutenzione carente, a volte persino un bullone non bene avvitato o una tubazione poco serrata. Lo spiega bene di nuovo Adriano Della Bruna. “I monitoraggi effettuati finora ci hanno permesso di vedere che le dispersioni di metano sono ovunque, non riguarda solo gli impianti più vecchi – afferma – L’Italia è attraversata da 40mila chilometri di gasdotti. Gli stessi rapporti di Arera, che pubblica i dati delle emissioni di metano, indicano che nel 2022 sono stati trovati 53 dispersioni, secondo i dati comunicati dalle aziende. Noi di Legambiente da soli ne abbiamo trovati 60 in appena 4 regioni”. Il monitoraggio di Legambiente proseguirà lungo tutto il 2024. Anche se finora sono mancate, in parte o del tutto, le risposte da parte dei grandi colossi del settore energetico.
“Noi abbiamo tenuto traccia di tutte le dispersioni e le abbiamo inoltrate a Eni, Snam e Italgas, che finora sono le società titolari degli impianti che abbiamo monitorato – continua Della Bruna – Solo Italgas ci ha risposto su una perdita, provvedendo a ripararla. A Gela, dove abbiamo registrato notevoli perdite attorno al gasdotto Greenstream (che porta il gas dalla Libia, ndr), Eni ci ha risposto che la responsabilità non è sua ma della società Greenstream Bv (in cui Eni comunque è consociata al 50% attraverso Eni NorthAfrica, ndr). Mentre Snam non ci ha mai risposto“. Non proprio un segnale incoraggiante.
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La migliore prevenzione sul metano? Non consumarlo
La speranza, almeno per la situazione italiana, è che lì dove lo Stato non è interessato ad agire – vedi il sistema delle partecipazioni statali in molte aziende energetiche – possa agire in questo senso il regolamento europeo sulle emissioni energetiche di metano. Anche se la stessa Legambiente nutre qualche dubbio a proposito.
“Se la timeline viene estesa al 2030, rischia di essere quasi controproducente – spiega ancora Dalla Bruna – Nel senso che per quell’orizzonte temporale la decarbonizzazione sarà diventata prioritaria e dunque non avremo bisogno delle infrastrutture a gas, quindi non ci sarebbe più bisogno di ripararle. Bisogna invece accelerare ora. E davvero basta poco. Per quanto riguarda le attività di riparazione perdite vengono fatte ogni anno nei centri di stoccaggio e ogni tre anni nelle infrastrutture di trasporto in Italia. Condurre invece queste attività con cadenze mensile avrebbe un’efficacia del 90%”.
D’altra parte il think thank per il clima ECCO ha da poco lanciato lo studio “Lo stato del gas” che fornisce un’analisi di tre scenari di domanda gas (Late Transition, Fit for 55, G7), in Italia e in Europa. Quello che emerge è che l’attuale infrastruttura italiana permette già di soddisfare i requisiti di sicurezza energetica. E a ciò bisogna aggiungere che nel frattempo i consumi di gas sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni.
“Eccessivi nuovi investimenti in infrastruttura gas – segnala ECCO – esporrebbero il sistema a molteplici rischi, quali le ripercussioni sul costo della materia prima per famiglie e imprese, e distrarrebbero risorse pubbliche e private dallo scenario di decarbonizzazione che, come rivela lo studio, è quello in grado di garantire una maggiore sicurezza anche a fronte di instabilità geopolitiche. All’interno della prospettiva europea un rallentamento rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione e la mancanza di cooperazione transnazionale espone il rischio di stranded cost. A pochi mesi dalle elezioni UE tali analisi sono necessarie nei rapporti internazionali e nella valutazione di decisioni di investimento strategiche”.
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