Dopo l’entrata in vigore del Critical Raw Materials Act, che definisce il quadro legislativo sulle materie prime critiche a livello europeo, la Commissione Ue è pronta a esaminare i contributi da parte dei singoli Stati membri e dei portatori di interesse. Sono due gli appuntamenti principali, entrambi consultabili sul sito della Commissione. Fino al 22 agosto è aperto l’invito a presentare candidature per progetti strategici: le informazioni nel dettaglio, tra cui il modulo di candidatura e la guida per i richiedenti, sono disponibili sul sito web dei progetti strategici.
C’è tempo invece fino al 31 maggio per mettere in comune le richieste più diffuse: in questo caso si tratta del prolungamento di un’indagine rivolta alle imprese e ad altre parti interessate e che punta a creare un meccanismo che possa collegare l’offerta e la domanda di materie prime critiche.
Intanto dal 23 marzo il regolamento sulle materie prime critiche è ufficialmente entrato in vigore nei 27 Stati membri dell’Unione Europea. Lo scopo, come dichiarato a più riprese dalla Commissione, è quello di garantire “un approvvigionamento diversificato, sicuro e sostenibile di materie prime critiche per l’industria dell’UE. L’accesso sicuro alle materie prime critiche è essenziale per i settori strategici, tra cui le tecnologie pulite, le industrie digitali, della difesa e aerospaziali”.
Tuttavia, pur se enormemente attesa, anche la legge sui minerali e i metalli necessari per la doppia transizione, ecologica e digitale, non potrà che fare i conti con il rinnovato assetto istituzionale dell’Ue che verrà a delinearsi dopo le elezioni tra il 6 e il 9 giugno. Non solo perché, come abbiamo visto, sono ancora in corso di definizione assetti fondamentali ma anche perché nel frattempo la nuova Unione che si prospetta – a destra e incentrata sulla difesa – avrà inevitabili ripercussioni sulla domanda di materie prime critiche e sulle modalità per ottenerle.
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Le criticità da colmare sulle materie prime critiche
Il 23 maggio si è svolta la prima riunione del comitato per le materie prime critiche. Ad aprire l’incontro è stato il commissario Thierry Breton. Nel suo discorso, a parte la prevedibile gioia per aver portato a casa un regolamento così complesso in poco più di un anno dalla proposta della Commissione (marzo 2023), si percepivano già alcune avvisaglie future. A partire dai parametri di riferimento su una maggiore indipendenza sull’approvvigionamento di materie critiche che l’Ue intende perseguire al 2030: 10% nella fase di estrazione, 40% in fase di raffinazione e 25% in fase di riciclaggio.
“Dobbiamo portare avanti lo slancio, ancora di più in quanto la situazione geopolitica rimane volatile – ha detto Breton – Penso alla Cina, per esempio: da quando la Commissione ha pubblicato la sua proposta, la Cina ha imposto restrizioni all’esportazione di gallio, germanio e grafite e un divieto di estrazione e di separazione delle terre rare. Inoltre i produttori di nichel stanno affrontando difficoltà a causa dei prezzi bassi e della sovrapproduzione in Cina e in Indonesia. In risposta alle pratiche della Cina, gli Stati Uniti hanno appena aumentato le tariffe sui minerali critici provenienti dalla Cina. Tutto questo dimostra che le materie prime non sono mai state così strategiche. In questo contesto, l’Europa deve accelerare i propri sforzi, a livello nazionale e in partenariato con i paesi terzi, per aumentare la propria resilienza e garantire la sua transizione gemella”.
Nel suo discorso Breton è consapevole che i punti di forza dell’Unione europea sono più sul riciclaggio delle materie prime critiche che nella lavorazione e, tantomeno, sull’estrazione. Le risorse significative disponibili, a suo dire, sono su meno della metà delle 34 materie prime critiche individuate dalla Commissione, e cioè litio, terre rare, grafite e magnesio. Una prospettiva che viene in parte rovesciata da un report dell’Institute of Materials, Minerals & Mining: per gli esperti, sul litio gli obiettivi europei sono realizzabili su tutti i fronti (estrazione, lavorazione e raffinazione) mentre sulle terre rare prevale la preoccupazione sia sull’estrazione che sulla lavorazione, col timore concreto che si continuerà a dipendere dal gigante economico in questo ambito, vale a dire la Cina.
Certamente l’impegno, in queste nuove estrazioni, è di garantire i più alti standard ambientali e sociali, sia per le estrazioni in corso nel perimetro europeo che in quello extraeuropeo. Difficoltà invece si registrano al momento sulla lavorazione delle materie prime critiche. Non basta, come assicura Breton, che “alcuni progetti sono già in corso, a volte con il sostegno dell’UE, ad esempio per riciclare magneti permanenti in Terra rara in Estonia”; o che “più di 1000 persone abbiano seguito la sessione informativa sui progetti strategici di fine aprile”, il che dimostrerebbe, secondo il commissario Breton, “la disponibilità a investire”.
In questo senso, invece, l’ambito più immediato sul quale puntare è quello della cooperazione. “Parallelamente, abbiamo i mezzi per diversificare le nostre importazioni, grazie ai 12 partenariati strategici che abbiamo firmato con i paesi terzi. Perché va da sé – dice Breton – non abbiamo intenzione di produrre tutto da soli. Vogliamo continuare a fare affidamento su partner forti in tutte le fasi della catena del valore. Tali partenariati stanno già realizzando progetti concreti, l’esempio più recente è l’accordo tra una società mineraria congolese e una società europea di trasformazione e riciclaggio che istituisce un partenariato a lungo termine e reciprocamente vantaggioso per aumentare l’offerta di germanio all’UE”.
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Il posizionamento dell’Italia sulle materie prime critiche
E l’Italia? Recentemente abbiamo raccontato che il governo Meloni intende seguire l’esempio della Norvegia e avviare l’estrazione di materie prime critiche sul mare. Non solo: il ministro Urso non fa mistero che punta anche sullo spazio. Mentre ancora si attende il decreto ministeriale, creato dalle Imprese e dal Made in Italy e dall’Ambiente e Sicurezza Energetica, che dovrebbe disciplinare le estrazioni a terra. Il decreto è stato annunciato più volte e in teoria avrebbe dovuto essere pronto, almeno nelle intenzioni di Urso, addirittura prima del regolamento Ue.
Al momento, però, non ci sono novità. E se è vero che il prossimo consiglio dei ministri, fissato per il 29 maggio, dovrebbe parlare della separazione delle carriere per i magistrati, c’è da credere che di estrazioni minerarie si riparlerà dopo le elezioni europee. Altro punto nodale riguarda la sottovalutazione della creazione di una filiera coi fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Come ha fatto notare Openpolis, nelle rimodulazioni del PNRR l’attenzione è concentrata sugli incentivi ai privati e alle imprese. E così l’unico fondo specifico destinato a un “approvvigionamento responsabile, riciclabile e sicuro di materie prime critiche”, definito col REPower Eu, è di appena 50 milioni. Sul sito Italia Domani, che dovrebbe garantire un’adeguata trasparenza sull’utilizzo di questi fondi, sono indicati obiettivi e scadenze.
“Al riguardo sono stati programmati 4 filoni di intervento che comprendono:
- Progettazione ecocompatibile per favorire un approccio circolare nelle catene di approvvigionamento industriali legate alla transizione energetica
- Progetti di ricerca e sviluppo incentrati sulla progettazione ecocompatibile e sul miglioramento della raccolta, della logistica e del riciclaggio dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, comprese le pale delle turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici
- stima del potenziale delle attività di estrazione mineraria urbana (urban mining) e dei rifiuti già esistenti derivanti dalla cessazione delle attività minerarie
- Creazione di un polo tecnologico per l’estrazione mineraria urbana e la progettazione ecocompatibile, con una rete di laboratori che favoriranno l’interazione tra imprese private e istituti di ricerca”.
Si tratta, come si può notare, di “troppa roba per pochi denari”. E quel che è peggio, a leggere lo stato dell’arte dei progetti finanziati dal PNRR – che, ricordiamolo, vanno realizzati entro il 30 giugno 2026 – è che l’Italia è ancora in alto mare.
Al momento non è definito neanche il report che dovrà indicare le esigenze future di materie prime critiche e il potenziale dell’ecodesign, aspetto fondamentale per una reale economia circolare che possa ridurre in primis la domanda. Allo stesso tempo entro il 2025 si attende il database pubblico che consentirà la geolocalizzazione e la visualizzazione di risorse o materiale riciclabile in ambito urbano (il cosiddetto urban mining) e di rifiuti esistenti in miniere abbondanti.
E ancora entro metà giugno 2026 si attende il completamento di almeno 10 progetti incentrati sulla progettazione ecocompatibile nonché sul miglioramento della raccolta, della logistica e del riciclaggio dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), comprese le pale delle turbine eoliche e dei pannelli fotovoltaici. La speranza è che nel frattempo il governo si renda conto che se si vuole davvero restare all’avanguardia in ambito industriale l’unica reale speranza è l’economia circolare.
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