Come stanno i nostri oceani? A fornire un chek-up completo è l’Ocean State Report, una pubblicazione annuale del Copernicus Marine Service, realizzata da Mercator Ocean International. Lo studio, basandosi su dati che vanno dagli anni ’70 ad oggi, e con un focus specifico sul 2022 e 2023, fornisce una panoramica globale sul clima e la conseguente salute degli oceani ed è stato realizzato nell’ambito di una collaborazione scientifica internazionale, con il contributo di oltre 120 partecipanti.
Il report, anche con il supporto di osservazioni satellitari, illustra in particolare gli eventi estremi in Europa e nel mondo, spiega i principali processi oceanici e la loro interazione con il clima globale, e mette in evidenza diverse innovazioni e tecnologie che possono aiutare a monitorare l’oceano. Lo studio è parte della Missione dell’UE: Restore Our Ocean and Waters, un’iniziativa che mira a proteggere e ripristinare gli oceani entro il 2030.
L’aumento delle temperature
In un sistema interconnesso come quello del nostro Pianeta, l’aumento delle temperature non ha ovviamente risparmiato gli oceani.
Come riporta lo studio, nell’agosto del 2022 le acque costiere intorno alle Isole Baleari hanno raggiunto i 29,2ºC. Questa temperatura record è stata la più alta raggiunta in questa regione da quarant’anni. Ma nel 2022 sono stati battuti anche altri record nella regione iberico-biscana-irlandese, dove le ondate di calore marino – cioè eventi temporanei, prolungati e anomali di acqua calda – sono durate in media 145 giorni, con temperature che hanno raggiunto i 6°C in più del normale.
Inoltre, l’aumento delle temperature non interessa solo queste zone ma si sta verificando in tutto il mondo: nel 2023 il 22% della superficie oceanica globale ha registrato almeno un evento di ondata di calore marino classificabile da grave a estremo. Inoltre, nel 2022, quasi due terzi del Mar Baltico hanno subito ondate di calore marino, mentre in estate e in autunno le temperature sono state le terze più calde dal 1997.
Anche nel Mediterraneo le ondate di calore marine del 2022 si sono estese lungo la colonna d’acqua, raggiungendo profondità fino a 1.500 metri sotto la superficie. Mentre le ondate di calore marine sono risultate più frequenti in superficie, le temperature più elevate, che sono durate più a lungo, sono apparse sotto i 150 metri.
Le conseguenze possono provocare gravi squilibri. “Le ondate di calore marine – si legge nello studio – possono portare alla migrazione delle specie, alla morte di massa e al degrado degli ecosistemi. Ciò può influire sugli stock ittici di importanza commerciale, con effetti a catena sul sostentamento delle popolazioni costiere e sulla sicurezza alimentare in tutto il mondo”.
Lo scioglimento del ghiaccio marino
Anche il ghiaccio marino non è esente dai cambiamenti causati della crisi climatica: entrambi i poli del pianeta stanno infatti subendo una perdita di ghiaccio marino che gli studiosi definiscono senza precedenti.
Nell’Artico, dal 1979 è stata osservata una perdita di quasi 2,2 milioni di km² di ghiaccio marino, con un aumento delle temperature dell’acqua di oltre 4°C a partire dagli anni ’80. In Antartide i livelli di ghiaccio marino hanno raggiunto livelli minimi mai visti dall’inizio delle registrazioni satellitari, e le perdite, circa 1,2 milioni di km², sono corrispondenti a un’area grande tre volte la Francia.
Cosa c’entra il clima con gli oceani
Il riscaldamento globale degli oceani ha iniziato ad aumentare a partire dagli anni Sessanta. Dal 2005, tuttavia, il ritmo di questo riscaldamento è quasi raddoppiato: l’aumento costante è stato rilevato dai dati provenienti da diverse fonti e sembra interessare tutte le aree degli oceani, con intensità diverse.
Le conseguenze dell‘aumento del contenuto di calore degli oceani si allargano poi non solo alle problematiche legate all’equilibrio di ecosistemi e al tema della biodiversità: dai processi fisici agli equilibri biogeochimici, fino alla questione dell’equilibrio che riguarda l’energia intrappolata nel sistema climatico terrestre.
“Le emissioni antropogeniche di gas serra fanno sì che nel sistema climatico terrestre rimanga più calore di quanto ne venga rilasciato nello spazio. Ciò significa che il bilancio energetico della Terra è sbilanciato”. Come conferma l’OSR 8, lo squilibrio energetico della Terra è cresciuto di 0,29 watt per metro quadro per decennio tra il 1993 e il 2022.
“La Terra è fuori dall’equilibrio energetico, – spiegano ancora i ricercatori – poiché le emissioni di gas serra di origine antropica intrappolano il calore in eccesso e ne impediscono il rilascio nello spazio. Ciò sta causando un accumulo di calore nel sistema climatico terrestre, la maggior parte del quale viene assorbito dagli oceani”.
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Tecnologie per monitorare
Dal report non arrivano però solo allarmi ma anche tecnologie finalizzate al monitoraggio. Uno studio dell’OSR 8 evidenzia l’uso del sistema di previsione mediterraneo all’avanguardia del Copernicus Marine Service per rilevare un’ondata di calore da record con 10 giorni di anticipo rispetto al suo arrivo, cogliendone l’evoluzione dall’inizio alla fine. La segnalazione tempestiva di tali eventi estremi consentirebbe alle industrie blu – cioè quelle che fanno parte della blue economy, come l’acquacoltura e la pesca – di predisporre piani di emergenza, sostenendo al contempo gli sforzi di conservazione.
Il report rivela anche che il 5% delle onde più alte è aumentato ulteriormente in altezza negli ultimi anni. La forza di queste onde è stata avvertita nella città spagnola di Melilla nell’aprile 2022, con onde alte oltre 7 metri e della durata di oltre nove secondi che hanno colpito il porto durante una violenta tempesta che ha battuto diversi record contemporaneamente.
Un’analisi dettagliata delle onde può così aiutare a identificare le minacce future, a rafforzare la protezione delle coste e a sostenere i servizi marini. Ciò include la progettazione delle future strutture portuali, tenendo conto delle possibili minacce derivanti da eventi estremi.
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Energia dal mare?
All’interno del report si fa anche riferimento alla possibilità di estrarre energia termica dall’acqua del mare, prendendo come caso di studio la baia di Tallinn, in Estonia: si tratta di un’area di 223 km², che si estende a nord e ha un collegamento aperto con il Golfo di Finlandia. La zona avrebbe una posizione favorevole per questo tipo di attività. “Attingere a questa fonte di energia potrebbe alimentare impianti energetici di nuova generazione, come le pompe di calore su larga scala”, asseriscono dal report.
Si tratta però di un sistema che, almeno nel caso preso in esame, richiede comunque il supporto e l’integrazione di altre fonti di energia, dal momento che episodicamente possono verificarsi eventi di acqua più fredda con temperature inferiori a 3°C. “Nella maggior parte dei casi, è utile combinare l’energia termica dell’acqua di mare con altre fonti rinnovabili, come acque sotterranee, acque reflue, laghi, fiumi e aria”.
D’altronde, la progettazione delle pompe di calore ad acqua di mare necessita di una serie di condizioni stringenti che devono coesistere: dovrebbero esserci utenti che usufruiscono dell’energia per il riscaldamento o il raffreddamento a una distanza ragionevole dalla costa, poiché una frazione dell’energia guadagnata viene persa per il pompaggio. Nei mari soggetti a ghiacciarsi, dovrebbero esserci località vicine alle grandi utenze in cui la temperatura dell’acqua di mare, in base alla profondità, non scenda frequentemente al di sotto dei 3 °C.
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