Quali sono i settori più inquinanti? Se ve lo chiedessimo probabilmente rispondereste quello dei trasporti, dell’energia o quello alimentare. Pochi immaginano che tra le industrie più impattanti possa esserci quella della moda e del tessile.
Come segnala Altraeconomia riportando i dati del report di Changing Markets Foundation 2021, negli ultimi anni si è assistito a un boom della produzione dei capi di abbigliamento, in particolar modo grazie alle fibre sintetiche. Rispetto a soli 15 anni fa si acquista il 60% di abiti in più – riducendone l’utilizzo pro capo, con un trend in crescita e una vita dei capi che spesso si riduce, passando dall’acquisto alla discarica o agli inceneritori in un arco temporale breve. Tutto ciò finisce per avere un serio impatto sull’ambiente tant’è che la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti 2022 sarà proprio dedicata ai rifiuti tessili.
Come evitare che i rifiuti tessili vadano in discarica
In Europa la lotta agli sprechi – in questo caso per evitare che i rifiuti tessili finiscano in discarica o negli inceneritori – si porta avanti anche attraverso l’obbligo di raccolta differenziata di tale tipologia di scarti. La normativa entrerà in vigore nel Continente nel 2025 ma l’Italia ha deciso di anticipare la data al 1 gennaio 2022.
Come sottolineato da Andrea Fluttero, presidente E.C.O. srl, il vero salto di qualità potrà aversi nel momento in cui vengano istituiti target di raccolta e un regime di Responsabilità Estesa del Produttore che – con l’entrata in vigore del principio “chi inquina paga” – potrebbe far rivedere le linee di produzione ai grandi brand del cosiddetto fast fashion.
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Come ridurre l’impatto ambientale grazie al digital Fashion
Se l’industria della moda richiede un ripensamento a 360°, analizzare ogni passaggio e capire come ottimizzarlo riducendo l’impronta sul Pianeta è fondamentale.
Tra i tanti passaggi che vi sono tra il momento in cui un capo viene ideato a quando arriva nei nostri armadi, vi è tutta la fase dell’ideazione e la promozione. Peraltro non è neppure detto che un abito così pensato e pubblicizzato, sul web e sulle riviste o attraverso i campionari, divenga poi un capo che verrà prodotto in serie e messo sul mercato.
Però, realizzare anche solo una maglia o un paio di pantaloni, che sia per “test” o per campagne di comunicazione del brand, ha di per sé un impatto.
A proporre una soluzione per poter testare l’interesse dei consumatori senza dover avere il prodotto test finito è il digitale con un’idea suggerita dal mondo dei videogiochi!
Dai videogiochi al digital Fashion
La digitalizzazione è già entrata da tempo nelle case di moda nella fase progettuale: oggi le linee vengono ideate al computer e si procede alla realizzazione dei soli capi che hanno superato tutta una serie di fasi di ideazione. In tale processo a dare un’accelerata ci ha pensato anche la pandemia, che ha velocizzato le riconversioni e le acquisizioni delle conoscenze tecnologiche da parte del mondo dell’impresa ma anche dal lato degli utenti. In questo contesto anche il mondo dei videogame ha favorito l’apertura della strada dell’abbigliamento virtuale. Perfino grandi marchi hanno iniziato ad interessarsi alla moda degli avatar. I primi casi noti si ebbero all’inizio del secolo con Second Life. Nel 2019 ha poi fatto notizia il brand Louis Vuitton che firmò le skins di League of Legend: gli abiti nel videogame costavano 10 dollari e basandosi su quelle lo stesso designer partì per realizzare successivamente una linea di vestiti e accessori “reali”, con prezzi che andavano dai 170 ai 5.600 dollari.
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Se l’abito va solo on line…
Immaginate dei capi da sogno utilizzati per un servizio fotografico: pensare all’outfit, al cambio di abito, alle luci e agli scatti è del tutto normale, specie per le star e i modelli. Negli ultimi anni però sono anche gli influencer del web come gli utenti comuni a ricercare lo scatto perfetto – magari per i propri follower-. Secondo un sondaggio commissionato dalla società di carte di credito Barclaycard che ha coinvolto circa 2000 persone tra i 35 e i 44 anni, quasi 1 acquirente su 10 (9%) degli intervistati nel Regno Unito ha ammesso di acquistare vestiti solo per scattare una foto sui social media. Dopo che il “vestito del giorno” è on line, lo restituiscono al negozio. Una tendenza che, probabilmente, questi ultimi anni ha preso piede anche per le politiche di tutta una serie di e-commerce che consentono di pagare solo in caso di mancato reso.
Vi è anche chi ammette che ad oggi alcuni capi siano studiati ad “uso social” e per essere messi una, massimo due volte.
Anche laddove il capo venga successivamente rivenduto, l’impatto ambientale necessario al trasporto del pacco, del reso e dei relativi packaging è davvero notevole.
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La moda digitale può rendere l’industria più sostenibile?
Abiti indossati poche volte, o presi e ridati indietro hanno di per sé un impatto ambientale. Vestiti utilizzati solo per un servizio fotografico, magari per un magazine, un video o una pubblicità. C’è un’alternativa? In nostro soccorso può arrivare proprio il mondo digitale. Un po’ come accade con le skin nei videogame, oggi è possibile immaginare di acquistare un capo digitale che può essere personalizzato direttamente su una foto, come fa l’azienda di moda Dress X che realizza abiti digitali pensati per i social media.
Sappiamo bene che nemmeno il digitale è a impatto zero, ma laddove un capo serva per una campagna di comunicazione o per testare l’interesse del pubblico – magari attraverso canali social di influencer -, potrebbe essere una buona alternativa, prevedendo poi di realizzare solo quelle linee che effettivamente riscuotano successo o di mandarle in produzione solo dopo aver apportato le modifiche suggerite dalle community. Secondo quanto indicato dalla Dress X, la produzione di un capo digitale, in media, consente di risparmiare 3300 litri di acqua per capo, con una riduzione fino al 97% di CO2 in meno rispetto alla produzione di un indumento fisico.
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Non solo influencer: il digital fashion per provare i capi
Oltre che per i designer o per personalizzare le foto di campagne pubblicitarie e influencer, la digital fashion potrebbe essere di supporto anche a chi un capo deve effettivamente acquistarlo. La possibilità di creare un avatar partendo dalle proprie foto e riuscire a farsi un primo parere sul fatto che una maglietta o un paio di pantaloni possano starci bene indosso potrebbe far risparmiare tempo e risorse alle persone.
Vi sembra fantascienza? E invece no, l’abbigliamento virtuale sta guadagnando rapidamente popolarità come testimonia Victoria Trofimova CEO of Nordcurrent, grande software house di videogame lituana: “Emulando l’abbigliamento, gli utenti possono esplorare tendenze, stili e marchi senza dover acquistare pezzi fisici, riducendo quindi l’impatto ambientale dell’industria della moda”, mutuando tutto ciò dalle esperienze vissute nei videogame, ad esempio giochi come Pocket Styler consentono al giocatore di personalizzare completamente l’aspetto del proprio avatar con diversi vestiti e accessori che possono essere trovati nei negozi della vita reale, spiegano dalla società produttrice di software.
“Le persone possono esprimersi utilizzando Pocket Styler trasferendo i propri gusti e preferenze particolari nella versione virtuale di se stessi. I giocatori possono prendersi il loro tempo per sviluppare un personale senso dello stile, che è difficile da raggiungere nella vita reale poiché le tendenze cambiano e vengono gradualmente eliminate dai negozi”, spiega Trofimova.
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