Sono ormai molti gli studi quantitativi sulla presenza femminile in università e ricerca e le scienze della terra non fanno eccezione. In sintesi possiamo dire che le scienze della terra sono un settore a prevalenza maschile, con una sotto-rappresentazione femminile che negli ultimi decenni mostra alcuni miglioramenti. Un progresso costante, ma lento, in un cammino che si prefigura ancora lungo.
A livello internazionale, oltre ai dati di genere del personale e delle carriere, sono disponibili ulteriori analisi sulla produzione scientifica e la partecipazione a editorial board o a panel. Ad esempio, da uno studio di Henriques and Garcia del 2022 sulle riviste di geologia risulta che nell’85% dei casi il redattore capo è un uomo e che l’80% dei membri che compongono il comitato di redazione delle stesse riviste sono uomini. “Questa sotto-rappresentazione nei comitati editoriali delle riviste di geologia va di pari passo con il rapporto tra donne e uomini come autori attivi, ed è in linea con la storica sotto-rappresentazione delle donne nelle geoscienze”, dicono le autrici.
I dati in Italia
Se invece spostiamo lo sguardo sull’Italia, nel settore delle geoscienze negli ultimi venti anni le università italiane hanno registrato dei miglioramenti con un aumento delle professoresse associate dal 23,6% al 28,9% e delle ordinarie dal 9,0% al 18% ma la situazione è ancora veramente lontana dall’essere positiva.
Andando ancora a stringere, prendiamo ad esempio l’INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia un ente pubblico di ricerca di medie dimensioni, con circa 1000 unità di personale, e con una mission ben definita che nei suoi documenti dichiara di voler “contribuire alla comprensione della dinamica del Sistema Terra, nelle sue diverse fenomenologie e componenti solida e fluida, e alla mitigazione dei rischi naturali associati”.
Per la sua forte connotazione STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics), data la sua vocazione nell’ambito delle geoscienze, è naturale aspettarsi una prevalenza maschile nella composizione del personale e infatti questo dato viene confermato: tra il personale ricercatore la percentuale di uomini è pari al 62%, mentre le donne costituiscono il 38%. Sono gli enti stessi a fornire i dati sul personale, e ritroviamo percentuali analoghe in altri enti di ricerca, all’OGS – Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale, la presenza femminile si colloca attorno al 40% tra il personale ricercatore e tecnologo se guardiamo alla composizione percentuale del personale al Dipartimento di Scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente del CNR, fa eccezione l’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, con una presenza femminile preponderante in generale e che in particolare nei livelli I-III vede una “percentuale di donne pari al 55,66% e di uomini pari al 44,34%”.
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Agli apici il divario aumenta
Andando verso livelli più alti il divario aumenta. Un pattern noto e frequente nella comunità scientifica italiana. In ISPRA, ad esempio, la quota di personale di ricerca di genere femminile va diminuendo da un livello all’altro: in particolare, la percentuale di donne dal livello III (54,8%) subisce una riduzione di circa 4 punti percentuali al livello successivo, mentre la stessa si dimezza al livello apicale (25%).
A questa situazione concorrono diversi fattori, che politiche di genere e in particolare i piani di uguaglianza di genere tentano progressivamente di migliorare, sulla spinta di strategie europee, progetti dedicati e una maggiore sensibilità anche da parte delle società scientifiche, tra le quali la Società Geologica Italiana.
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Questione di attitudine?
Divari e differenze esistono, non solo nei numeri e nelle percentuali, ma anche nelle attitudini e aspirazioni, e su queste è necessario riflettere per le azioni future. Ad esempio, da un’indagine sul benessere lavorativo svolta in INGV nel 2019 emergeva che all’interno del target del personale ricercatore tecnologo, le donne considererebbero maggiormente gratificanti e stimolanti rispetto agli uomini alcune attività, quali: partecipare a conferenze, convegni e meeting, fare parte di comitati editoriali o della organizzazione di convegni scientifici, partecipare a commissioni o gruppi di lavoro. Gli uomini invece, considererebbero l’essere valutato sull’attività scientifica e il competere con i colleghi attività più gratificanti/stimolanti rispetto alle colleghe ricercatrici.
Le attitudini dunque degli individui pesano sulla mancata progressione di carriera? Quanta carriera “hanno voglia di fare le donne”? Quanto sono in grado, considerati i carichi di cura familiare da conciliare con l’impegno professionale? Quanti ostacoli incontrano in un ambiente a prevalenza e a tradizione maschile? O, ancora, l’ambiente di lavoro favorisce uno sviluppo equo di tutte le risorse?
La competenza di genere non dovrebbe rimanere limitata all’interno di comitati dedicati, ma dovrebbe diventare una competenza di base di tutte le parti interessate in un’istituzione o in un progetto, intendendo con competenza il riconoscimento della rilevanza delle attribuzioni di genere nel proprio lavoro e nella propria sfera di influenza, connesso alla disponibilità e capacità di affrontare questi problemi nel lavoro quotidiano e, se necessario, con il supporto di esperti di genere per intraprendere azioni.
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