Che la crisi climatica sia il tema del nostro tempo, è ormai assodato: ma mentre la comunità scientifica lancia allarmi sulla sua velocità e sugli effetti sempre più disastrosi che ci aspettano nel prossimo futuro, le vite di tutti noi scorrono.
È necessario però chiedersi, al di là di partitiche prese di posizione, quale sia davvero la percezione delle persone rispetto ai cambiamenti climatici, quanto questi influenzino già da adesso le loro scelte personali e lavorative, e soprattutto che tipo di azioni vorrebbero da parte dei governi in questo senso.
A rispondere è il Peoples’ Climate Vote, quello che il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) non esita a definire il più grande sondaggio d’opinione indipendente al mondo sui cambiamenti climatici.
Di certo i numeri sono notevoli: il sondaggio, condotto per conto del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) dall’Università di Oxford e GeoPoll, ha interessato oltre 73.000 persone che parlano 87 lingue diverse in 77 Paesi, che rappresenterebbero l’87% della popolazione mondiale. Si tratta, inoltre, di una seconda edizione: già nel nel 2021 era stata pubblicata, dall’UNDP e i suoi partner, un primo sondaggio che aveva abbracciato 50 Paesi.
La lotta alla crisi climatica ci unisce
Agli intervistati sono state poste 15 domande incentrate su quanto la loro vita quotidiana sia influenzata dal cambiamento climatico, come ritengono che questa situazione venga affrontata nei loro Paesi e cosa vorrebbero che i governi facessero al riguardo.
Le risposte disegnano un quadro più che positivo, almeno per quel che riguarda l’attenzione che le persone hanno in maniera trasversale nei confronti della crisi climatica, e di tutte le tematiche annesse, come transizione energetica e conservazione: l’80% delle persone a livello globale – ovvero quattro su cinque – vuole che i propri governi intraprendano azioni più incisive per affrontare la crisi climatica. L’86% vorrebbe, inoltre, che i propri Paesi mettessero da parte le differenze geopolitiche per lavorare insieme nel contrasto ai cambiamenti climatici.
Ma a fare la differenza, si sa, sono le sfumature. Andiamo allora a capire cosa è stato chiesto esattamente nel sondaggio e le reazioni di cittadine e cittadini di diversi Paesi.
Preoccupazioni ed eco-ansia
Quello della crisi climatica, e dei suoi effetti che possono tradursi, tra le altre cose, in fenomeni metereologici estremi, è già un problema che riguarda molte aree del nostro Pianeta: basti pensare ai migranti climatici, costretti a spostarsi internamente al loro Paese o fuori da esso a causa di diversi fattori climatici, ma non serve andare così lontano, le alluvioni e gli stati di siccità che sempre più spesso scuotono il nostro Paese sono sintomi di una realtà che con insistenza ci bussa alla porta.
Non c’è bisogno di dire però, che questi non sono gli unici problemi gravosi che le persone di tutto il mondo si trovano ad affrontare ogni giorno, e allora capire quanto ognuno di noi pensi alla crisi climatica assume un valore ancora maggiore. A livello globale, il 56% delle persone ha dichiarato di pensarci regolarmente, cioè quotidianamente o settimanalmente, compreso circa il 63% di coloro che vivono nei cosiddetti Paesi meno sviluppati (PMS), cioè quei Paesi a basso reddito che si trovano ad affrontare gravi ostacoli strutturali allo sviluppo sostenibile.
E più si va avanti, più la consapevolezza aumenta: più della metà delle persone a livello globale ha infatti dichiarato di essere più preoccupata rispetto allo scorso anno per i cambiamenti climatici (53%), con una preoccupazione maggiore per chi vive nei Paesi meno sviluppati (59%). La consapevolezza, ed i relativi timori, sono maggiori anche nei nove Stati insulari in via di sviluppo (SIDS dall’inglese Small Island Developing States) censiti – Barbados, Le Comore,La Repubblica Dominicana,le isole Figi, Haiti, Samoa,Papua Nuova Guinea,Vanuatu e le Isole Salomone – cioè alcuni tra gli Stati insulari che sono particolarmente vulnerabili all’aumento delle temperature globali: ben il 71% ha dichiarato di essere più preoccupato rispetto all’anno scorso per i cambiamenti climatici.
Il 69% delle persone a livello globale ha poi dichiarato che le loro decisioni importanti, come la scelta di dove vivere o lavorare, sono influenzate dai cambiamenti climatici. La percentuale è più alta nei Paesi meno sviluppati (74%), e notevolmente più bassa in Europa occidentale e settentrionale (52%) e in America settentrionale (42%).
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Emissioni e transizione energetica
Il sondaggio ha rivelato il sostegno ad un’azione climatica più incisiva proprio nei 20 dei Paesi che emettono più gas serra al mondo, con maggioranze che vanno dal 66% dei cittadini negli Stati Uniti e in Russia, al 67% in Germania, al 73% in Cina, al 77% in Sudafrica e in India, all’85% in Brasile, all’88% in Iran e fino al 93% in Italia.
In Australia, Canada, Francia, Germania e Stati Uniti le donne si sono dimostrate più favorevoli al rafforzamento degli impegni del proprio Paese, con un divario compreso tra i 10 e i 17 punti percentuali.
Il sondaggio mostra poi il sostegno di una maggioranza globale del 72% a favore di una rapida transizione dai combustibili fossili. Questo vale anche per i Paesi tra i primi 10 maggiori produttori di petrolio, carbone o gas: si va dall’89% della Nigeria al 54% degli Stati Uniti.
Solo il 7% delle persone a livello globale ha dichiarato che il proprio Paese non dovrebbe effettuare alcuna transizione.
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E in Italia?
In Italia le risposte sono state interessanti e in linea con i risultati globali, anche se in alcuni casi apparentemente in contraddizione tra loro.
Alla domanda ‘Quanto spesso pensate ai cambiamenti climatici?’, il 32% degli italiani intervistati ha risposto ogni giorno, il 24% una volta a settimana, il 32% qualche volta all’anno, mentre l’11% ha risposto mai.
Per quanto riguarda il fattore ‘tempo’, il 53% ha dichiarato di essere più preoccupato rispetto allo scorso anno, il 31% ugualmente e il 15% meno preoccupato.
Una domanda è stata poi incentrata non su percezioni o timori ma sull’esperienza legata a fenomeni meteorologici estremi – come siccità, inondazioni, tempeste, caldo o freddo estremo – vissuta dalla comunità dell’intervistato nell’ultimo anno. Per il 43% sono stati peggiori del solito, per il 41% all’incirca lo stesso, per il 15% meglio del solito.
Per quel che riguarda le decisioni importanti, come scegliere dove vivere o lavorare, ma anche cosa acquistare: è stato chiesto quanto il cambiamento climatico le abbia influenzate. Il 33% ha risposto molto, il 37% un po’, per il 30% per niente.
Anche gli italiani sono poi d’accordo nella necessità di intraprendere azioni più incisive nella protezione del clima e più in generale dell’ambiente. Ad esempio, alla domanda ‘In che misura il vostro Paese dovrebbe proteggere e ripristinare la natura, ad esempio piantando alberi o proteggendo la fauna selvatica?’, l’81% ha risposto molto, contro il 13% poco e il 5% per niente.
Tuttavia, quando si parla di transizione energetica le cose si fanno più complicate per l’opinione pubblica italiana: alla domanda ‘In quanto tempo il vostro Paese dovrebbe sostituire il carbone, il petrolio e il gas con le energie rinnovabili, come l’energia prodotta dal vento o dal sole?’ il 41% risponde molto velocemente, il 30% piuttosto rapidamente, il 18% lentamente e il 7% per niente.
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Un richiamo ai leader politici
L’intento del Peoples’ Climate Vote, intercettando esperienze e pensieri una così larga rappresentanza a livello globale, è di esternare la volontà di queste persone per chiedere ai leader politici di agire subito per contrastare la crisi climatica.
“Il voto dei popoli sul clima – ha dichiarato l’amministratore dell’UNDP Achim Steiner – è forte e chiaro. I cittadini del mondo vogliono che i loro leader superino le differenze, agiscano ora e con coraggio per combattere la crisi climatica”.
“I risultati del sondaggio – ha aggiunto – rivelano un livello di consenso davvero sorprendente. Esortiamo i leader e i responsabili politici a prenderne atto, soprattutto nel momento in cui i Paesi sviluppano la prossima serie di impegni di azione per il clima o NDC – nationally determined contributions, cioè il piano nazionale di ciascun Paese per ridurre le emissioni di gas serra – ai sensi dell’Accordo di Parigi. Si tratta di una questione su cui quasi tutti, ovunque, possono essere d’accordo”.
Il sondaggio è legato a doppio filo ad un’altra iniziativa dell’UNDP, Climate Promise, un progetto che mira ad “aiutare i Paesi a raggiungere i loro obiettivi climatici” e che ha visto “oltre 120 Paesi in via di sviluppo presentare NDC migliorati: il 91% ha aumentato gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e il 93% ha anche rafforzato gli obiettivi di adattamento”.
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