Ricorrere agli inglesismi è a volte (se non spesso) un fenomeno di sciatteria e di provincialismo. Eppure capita che il mondo anglosassone sforni parole più precise delle classiche locuzioni italiane. È il caso del greenwashing, che in Italia traduciamo a fatica con espressioni più astruse come “ambientalismo di facciata” o “ipocrisia verde”.
La parola greenwashing è invece più netta, più definita. Come spiega la nostra Letizia Palmisano, “il termine nasce negli anni ‘80 dall’unione del termine green (verde in inglese) e washing, dal verbo to wash, lavare”. All’inizio, dunque, la traduzione italiana era piuttosto letterale: “passare una pennellata di vernice verde sopra”, cioè dare una parvenza green a situazioni che nascondono aspetti non così realmente virtuosi.
Più l’attenzione all’ambiente si è fatta prioritaria, più il greenwashing si è esteso: da (esecrabile) pratica aziendale è diventato un artificio usato dalle lobby e dai governi affinché il sistema basato sull’economia lineare resti immutato. In questo senso gli esempi sono molteplici: i calcoli di solito fittizi sulla decarbonizzazione, le annunciate riduzioni degli impatti ambientali, l’uso strumentale dei fondi ESG nella finanza sostenibile.
È un meccanismo che abbiamo visto e che continuiamo a notare anche nel campo più ristretto dell’economia circolare, e su cui operiamo facendo una precisa verifica delle fonti, per offrire a voi lettori e lettrici pratiche concrete di sostenibilità e non annunci basati su astrusi conteggi.
Abbiamo dunque deciso di realizzare uno Speciale sul greenwashing con l’obiettivo di fornire qualche strumento di lettura utile a individuarlo (se lo conosci lo eviti, dice il detto), segnalare i rischi di scivolamento nei settori più a rischio e riportare gli sforzi istituzionali (finora pochi, a dire il vero) per prevenire e combattere questo malsano fenomeno.
Da quando abbiamo lanciato lo Speciale, a giugno 2022, la casistica del greenwashing si è ampliata notevolmente: si va dall’istruttoria promossa dall’Antitrust nei confront del colosso cinese SHEIN, la famosissima azienda di vendite di abbigliamento online a basso prezzo, alle potentissime società d’investimento USA come Vanguard. Pratiche che confermano come il fenomeno sia costantemente da monitorare, affinché la sostenibilità non sia qualcosa da millantare una pratica da attuare.
Come sempre intendiamo i nostri Speciali come pagine aperte e in continuo aggiornamento. Anche in questo caso, dunque, rinnoviamo l’invito a inoltrarci i vostri pareri e i vostri contributi.
Intanto buona lettura.
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