giovedì, Novembre 6, 2025

Sull’energia l’UE ha poche e confuse idee

Il Consiglio dei ministri dell’Energia dell’Unione Europea non ha sciolto il nodo principale che da anni mette in difficoltà persone e imprese, vale a dire gli alti costi. Le posizioni tra i 27 Stati membri restano divergenti. L’Italia chiede interventi nel breve periodo e promette di presentare “proposte concrete”

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Non che ci fossero grandi speranze ma il Consiglio europeo coi ministri dell’Energia dei 27 Stati membri dell’UE, che si è tenuto ieri a Bruxelles, ha lasciato inalterate le tre principali questioni attorno a cui, da (almeno) tre anni, si arrovella l’Unione Europea: i prezzi alle stelle dell’energia, l’indipendenza dalle forniture russe dopo la guerra in Ucraina e la maggiore sostenibilità di un settore, quello energetico, che resta la principale fonte di emissioni di gas a effetto serra nell’UE.

Il punto di partenza della discussione è stato il “piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili”, adottato dalla Commissione il 26 febbraio scorso nell’ambito del Clean Industrial Deal. Il piano d’azione stabilisce misure volte a ridurre i costi dell’energia, allo scopo di realizzare una “Unione dell’energia,” in modo da attrarre investimenti e prepararsi a potenziali crisi energetiche. Crisi che, dato il peggioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, che al momento è il maggior fornitore di Gas Naturale Liquefatto del Vecchio Continente, potrebbe diventare un orizzonte piuttosto immediato.

Ecco perché, nonostante la scarsa fiducia per un’Unione Europea dove continuano a prevalere gli interessi nazionali, c’era comunque molto attesa sull’incontro di Bruxelles. Ecco come è andata.

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Rinviata la roadmap per l’indipendenza energetica dalla Russia

Già pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, l’Unione Europea aveva dichiarato di volersi affrancare dalle forniture di Vladimir Putin. Tre anni dopo l’obiettivo è riuscito a metà, nel senso che i singoli Stati (come Italia e Germania, che dipendevano per il 40% dei propri consumi dal gas russo) si sono mossi in maniera autonoma. E il piano comune lanciato dalla Commissione europea, il REPower EU, ha tempi lunghi. Per il 26 marzo era prevista la pubblicazione della roadmap europea per diventare indipendenti dalle importazioni di energia russa. Una data che però è stata posticipata a data da destinarsi.

energia ue e russia

“Molto presto presenteremo una roadmap per diventare completamente indipendenti dalle importazioni di energia russa. Inutile dire che è tutt’altro che soddisfacente trovarsi in una situazione in cui stiamo indirettamente aiutando a riempire il forziere di Putin acquistando energia dalla Russia”, ha detto ieri il commissario all’Energia, Dan Jorgensen, a margine di una riunione con i ministri del settore. Jorgensen non ha fornito ulteriori dettagli, limitandosi a ricordare poi che sul transito del gas via terra bisogna poi tener conto della volontà dell’Ucraina, sui cui territori passano buona parte dei gasdotti che collegano la Russia all’Europea. Il governo ucraino, ha spiegato Jorgensen, “non vuole riavviare il trasferimento del gas”, sottolineando inoltre che “questo è anche in linea con la decisione presa dai capi di Stato e di governo dell’Ue”.

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Le differenze di vedute tra gli Stati UE sull’energia

A leggere il resoconto dell’incontro del 17 marzo del Consiglio UE coi ministri dell’Energia si resta un po’ sorpresi dal tenore dell’incontro. Come se l’Unione Europea non stesse in mezzo al vortice del declino industriale, come se gli alti prezzi dal 2021 non avessero sfiancato economie domestiche e di interi settori, come se non fosse prioritario sottolineare il contributo che un’energia ancora alimentata dai combustibili fossili ha sul collasso climatico in atto. 

Ad esempio in tanti si sono detti d’accordo sulla “necessità di disaccoppiare i prezzi dell’elettricità a causa dei prezzi del gas”: scindere cioè i prezzi dell’elettricità, che in buona parte si basano sui prezzi del gas decisi da un mercato piccolo e speculativo come quello di Amsterdam (il cosiddetto TTF, Title Transfer Facility), è una proposta di cui si discute da anni, suggerita da esperti e figure tecniche, senza però che si facciano concreti passi in avanti per l’adozione di una misura che nell’immediato sarebbe provvidenziale.

energia 2

“Molti ministri – si legge poi nel riassunto del Consiglio – hanno fatto riferimento agli insegnamenti tratti dalla crisi energetica, in particolare sulla necessità di agire in modo unito e coordinato e di concentrarsi sulla diversificazione. I ministri hanno sottolineato la necessità di adeguare i regolamenti alle nuove condizioni di sicurezza e di mercato e di ampliare di conseguenza il loro ambito, di affrontare le sfide geopolitiche presenti e future e gli eventi climatici estremi. La maggior parte dei ministri non ha favorito l’opzione di un quadro legislativo unico per il settore del gas e dell’elettricità, ma ha sottolineato la necessità di un approccio armonizzato”.

Insomma: le divisioni prevalgono, a prescindere dalla situazione reale in campo. Analoghe divisioni si registrano poi sulla proposta di regolamento sullo stoccaggio del gas, attualmente in fase di discussione, dove però alcuni Stati membri invocano “la necessità di flessibilità”. Altro che Unione dell’energia, qui sembra di assistere al ritorno del sovranismo energetico.

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La posizione dell’Italia sull’energia

Di fronte a tale quadro persino il ministro italiano Gilberto Pichetto Fratin assume quasi la statura di uno statista. Il ministro ha evidenziato che in questo momento per l’Italia le maggiori preoccupazioni sono costituite dagli alti costi dell’energia. “Guardiamo con preoccupazione – ha detto – ai differenziali di prezzo con altri Paesi UE e della stessa UE rispetto ai Paesi terzi e agli effetti che essi hanno sulla competitività delle nostre imprese e ricadute sui nostri cittadini e famiglie.  Le misure del Clean Industrial Deal e dell’Action Plan for Affordable Energy sono positive ma portano risultati soprattutto nel medio e nel lungo periodo. Servono piuttosto interventi in grado di abbassare i prezzi nel breve periodo. L’Italia è pronta a dare il proprio contributo attraverso proposte concrete che verranno presentate ai commissari Fitto, Ribera, Hoekstra e Jorgensen”. 

Infine l’Italia è tra gli Stati che nel negoziato che sulla proposta di revisione del regolamento stoccaggi chiede di introdurre una maggiore flessibilità nell’attuazione degli obblighi di riempimento, allo scopo, come dichiarato dal ministro Fratin, di “evitare speculazioni che hanno generato alti valori dello spread tra i prezzi invernali ed estivi”.

 Il nostro Paese vanta una capacità di stoccaggio di gas di circa 18 miliardi di metri cubi (che comprendono anche lo stoccaggio strategico), ed è secondo in Europa, dietro solo alla Germania. In Italia lo stoccaggio di gas è gestito quasi interamente da SNAM. Agli inizi di marzo le riserve italiane di gas, secondo i dati diffusi da Il Sole 24 ore, risultavano piene fino a quasi al 50% della loro capacità. Mentre i dati diffusi da Gas Infrastructure Europe rivelano che riserve di gas naturale nei depositi sotterranei europei sono scese al di sotto del 35% per la prima volta in tre anni. Come a dire che non c’è tempo da perdere.

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