Nel 2022 ogni cittadino dell’Unione Europea (UE) ha acquistato in media circa 19 chilogrammi di nuovi prodotti tessili, tra cui vestiti, scarpe e articoli tessili per la casa. I cittadini e le cittadine dell’UE, secondo il rapporto dell’European Environmental Agency, stanno acquistando più prodotti tessili attraverso lo shopping online che mai, soprattutto da marchi che vendono prodotti economici in grandi volumi.
I marketplace online e i social media sono stati “determinanti nella crescita della moda veloce negli ultimi anni”, osserva il rapporto, permettendo ai rivenditori “di offrire costantemente ai consumatori nuovi stili a prezzi estremamente bassi”. Il report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente è sostenuto da 14 metriche incluse nel nuovo modulo del Circularity Metrics Lab (CML) dell’Agenzia europea dell’ambiente sui tessuti. È inoltre supportato da due relazioni tecniche del Centro tematico europeo dell’AEA sull’economia circolare e l’uso delle risorse (ETC CE).
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Acquistare online ha un prezzo nascosto
Alzi la mano chi non ha mai comprato nulla online. Libri, oggetti per la casa, biglietti aerei, cibo, dischi, film, regali di natale. Una pizza la sera davanti a un film o a una partita. È una pratica che ci facilità la vita: no code, no spostamenti inutili. Facile, veloce, sicura. Insomma, la vita normale di chi vive oggi nel mondo pacificato (?) e che ha una connessione internet decente, carte di credito, wallet sullo smartphone, abbonamenti a piattaforme varie di intrattenimento.
Gli acquisti online ormai sono parte centrale delle nostre vite. Lo shopping online è ormai lo shopping. In particolare, nel periodo post pandemico gli acquisti sul web per abbigliamento e calzature hanno avuto un incremento esponenziale. Si tratta di un aumento rispetto ai 17 chilogrammi pro capite registrati nel 2019. A fronte di questo incremento, emerge anche un altro dato preoccupante: ogni anno, un/una cittadino/a europeo/a arriva a gettare via fino a 16 chilogrammi di indumenti e tessuti usati. Questo evidenzia un forte squilibrio tra ciò che viene acquistato e ciò che viene effettivamente utilizzato nel tempo, contribuendo in modo significativo alla produzione di rifiuti: circa 7 milioni di tonnellate di rifiuti tessili in Europa.

A queste si aggiunge anche tutto il comparto degli imballaggi usati per la spedizione dei prodotti. Tra tutte le categorie di prodotti consumati dalle famiglie europee — come cibo, gas ed elettricità o prodotti sanitari — quella dell’abbigliamento e calzature è la quinta a più alta intensità di risorse.
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L’e-commerce dell’assurdo
A fronte di questi dati allarmanti, diventa sempre più urgente interrogarsi sulle dinamiche che guidano le nostre scelte di consumo. Ed è proprio su questo terreno che si muove “L’e-commerce dell’assurdo”, la nuova campagna lanciata da EconomiaCircolare.com, pensata per denunciare – con ironia ma anche spirito critico – le contraddizioni dell’iperconsumo contemporaneo.
Attraverso una raccolta partecipativa di prodotti realmente in commercio, spesso caratterizzati da un’utilità marginale o inesistente, la campagna punta a mostrare che spesso acquistiamo ciò di cui non abbiamo realmente bisogno. L’obiettivo è duplice: da un lato, stimolare una riflessione collettiva sul significato e sulle conseguenze del consumo compulsivo; dall’altro, promuovere pratiche più responsabili e consapevoli, sia a livello individuale che sistemico.
Il cuore del progetto è un “catalogo degli orrori” che raccoglie segnalazioni di oggetti assurdi per impatto ambientale, logiche di progettazione o puro eccesso. Dai dispositivi usa-e-getta high-tech agli accessori “all’ultimo grido” troppo simili alla loro versione precedente, ogni articolo diventa lo specchio di una società che consuma prima di riflettere, spinta da dinamiche di marketing più che da reali esigenze.
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La produzione delle materie prime, un processo tutt’altro che sostenibile
La produzione tessile ha un costo significativo per l’ambiente. Dalla coltivazione delle materie prime alla produzione di capi d’abbigliamento finiti, ogni fase della filiera porta con sé le proprie sfide ambientali. Il viaggio di un capo d’abbigliamento comincia ben prima delle passerelle, degli scaffali dei negozi o delle bacheche online. Tutto inizia con la produzione delle materie prime. Il cotone, tra le fibre naturali più diffuse, solleva numerose preoccupazioni: la sua coltivazione richiede ingenti quantità di acqua e l’impiego massiccio di pesticidi e fertilizzanti. Queste sostanze chimiche non solo minacciano gli ecosistemi locali, ma mettono a rischio la salute degli agricoltori e delle comunità rurali. Non va meglio sul fronte delle fibre sintetiche. Materiali come il poliestere e il nylon, onnipresenti nell’abbigliamento moderno, derivano infatti dal petrolio, risorsa fossile non rinnovabile per antonomasia.
Una volta ottenute le materie prime, si passa alla fase di lavorazione, dove le fibre vengono trasformate in tessuti. Qui entrano in gioco procedimenti ad alta intensità energetica e chimica. Tra le fasi più critiche ci sono la tintura e il finissaggio dei tessuti, operazioni responsabili di pesanti contaminazioni ambientali. Secondo la Banca Mondiale, questi due passaggi contribuiscono da soli al 20% dell’inquinamento idrico industriale a livello globale.
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Il fast fashion e come contrastarlo
Negli ultimi anni, l’industria della moda, quindi, è sempre più sotto esame per il suo crescente impatto ambientale. Un settore da miliardi di euro che nasconde costi altissimi per il pianeta. A finire sotto accusa è soprattutto il fenomeno del fast fashion, che spinge i consumatori verso acquisti rapidi e a basso costo, ignorando spesso le conseguenze ecologiche di queste scelte.
Torniamo quindi alla crescente fame di moda veloce da parte degli europei — accelerata dalla facilità degli acquisti online — che sta mettendo una pressione enorme sull’ambiente.

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Come si sta contrastando il fenomeno?
Le istituzioni europee stanno finalizzando nuove regole per la gestione dei rifiuti tessili in tutta Europa, che imporranno ai marchi della moda di pagare una tassa per il trattamento dei loro prodotti una volta diventati rifiuti, nel tentativo di incentivarli a vendere articoli più sostenibili e durevoli. Questo meccanismo, chiamato responsabilità estesa del produttore, intende incentivare le aziende a progettare prodotti più sostenibili, durevoli e facilmente riusabili. L’obiettivo dell’UE è chiaro: entro il 2030, tutti i tessili immessi sul mercato europeo dovranno essere durevoli, riutilizzabili e riciclabili, favorendo una transizione verso un’economia circolare e più rispettosa dell’ambiente.
Anche noi della redazione di EconomiaCircolare.com, nel nostro piccolo, sin dalla nostra nascita a ottobre 2020 abbiamo affrontato più e più volte il tema della sovrapproduzione del tessile. Lo abbiamo fatto con i nostri approfondimenti sul tema, intervistando le figure del settore, raccontando le proposte di trasformazione dall’interno e dall’esterno, Lo abbiamo fatto dando molto spazio all’usato, al vintage e al second hand. Lo abbiamo fatto con due Quaderni sul tessile, entrambi presentati a Ecomondo, la fiera internazione dell’economia circolare che si tiene ogni anno a metà novembre a Rimini. Lo abbiamo fatto ultimamente attraverso lo Speciale sui consumi (qui). E continueremo a farlo.
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