mercoledì, Dicembre 3, 2025

La COP30 sarà uno snodo per il futuro dei sistemi alimentari e l’agricoltura?

Inizia oggi la COP30 di Belèm e la discussione sull’agricoltura e sui sistemi alimentari è una delle più attese. Per questo l’industria della carne ha preparato un preciso piano di attacco e comunicazione

Lorenzo Bertolesi
Lorenzo Bertolesi
Autore e attivista con base a Milano. Ha una laurea in filosofia con una tesi (vincitrice di una borsa di studio) nell'ambito "Human-animals studies". Lavora nella comunicazione digitale da anni, principalmente per diverse ONG come ufficio stampa, copywriter e occupandosi della gestione dei social. Ora è un freelance che, insieme al collettivo Biquette, si occupa di comunicazione digitale per progetti ad impatto sociale. Addicted di Guinness e concerti (soprattutto punk), nel tempo libero viaggia con il suo furgoncino hippie camperizzato insieme alla cagnolina Polly

Ci siamo, anche quest’anno torniamo a parlare delle COP sul clima. Gli occhi del mondo sono puntati a Belém, Brasile, dove oggi, 10 novembre, inizia la COP30. Come ogni anno persone da tutto il mondo – politici, lobbisti, organizzazioni e così via – si incontrano per i negoziati sul clima, nella speranza che si facciano dei passi avanti per fermare la crisi climatica. Lo scetticismo ormai sulle COP è alto, ma rimangono degli appuntamenti fondamentali per il futuro del nostro Pianeta.

E tra entusiasmi e polemiche, molte persone hanno tirato un sospiro di sollievo nel vedere che questa COP non sarebbe più stata in un petrol-stato – ricordiamo infatti le che le ultime due si erano tenute a Dubai e Baku.

C’è però un tema altrettanto importante delle emissioni provenienti dai combustibili fossili, e riguarda il nostro sistema alimentare e l’agricoltura. Sappiamo infatti che i nostri sistemi alimentari rappresentano un terzo del riscaldamento globale, con una responsabilità notevole legata alla produzione di carne. Ed è proprio a questa COP che si giocherà un’importante partita – e il fatto che sia in Brasile sicuramente desta qualche preoccupazione.

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Brasile, carne, lobby e la COP30

Partiamo con una notazione importante. È interessante che l’agricoltura sia al terzo punto dell’agenda della conferenza della COP30. Ci sono anche aspettative alte per quello che potrebbe succedere alla COP. Secondo la Food and Land Use Coalition la COP30 di Belém potrebbe rappresentare una svolta storica per l’integrazione dei sistemi alimentari nelle politiche climatiche. Per esempio sembra che la COP lancerà la Dichiarazione di Belém su fame e povertà, per integrare sicurezza alimentare e protezione sociale nelle azioni climatiche. Ci sono pensieri positivi sul fatto che il governo attuale del Brasile ha fatto promesse importanti sulla difesa della foresta amazzonica e del Cerrado, quindi andando verso un approccio positivo al clima.  

Insomma, sembra che ci siano molti propositi positivi. Non possiamo però dimenticare alcune cose che riguardano il Brasile.
Il Brasile è una delle principali potenze agricole nel mondo, ma soprattutto è un vero e proprio leader nella produzione di carne. Nel 2022 è stato il terzo produttore mondiale di carne al mondo, producendo oltre 30 milioni di tonnellate – secondo solo a Cina e USA. E secondo le stime della Conab (La Companhia Nacional de Abastecimento brasiliana) l’anno scorso la produzione di carne in Brasile è arrivata al record di 31,57 milioni di tonnellate di carne. E rimane il leader al mondo di esportatore di carne bovina – rappresenta cioè il 20% di tutto il mercato globale.

Il Brasile è anche la patria di grandi multinazionali dell’industria della carne. Prima di tutto c’è la JBS. Si tratta della più grande azienda che produce carne al mondo, con un fatturato di oltre 77 miliardi all’anno. Ha sedi e mercati in tutto il pianeta, ed è particolarmente nota per alcuni scandali ambientali legati alla deforestazione ma anche per il pagamento di tangenti. Inoltre ha una rete politica e di lobby molto fitta in tutto il globo. Insomma, una vera e propria potenza politica ed economica. C’è poi la Marfrig, anche questa un colosso su cui non mancano inchieste. È la seconda azienda al mondo per produzione di carne bovina. JBS e Marfrig tra l’altro sono tre delle 5 aziende di carne al mondo con le emissioni più alte in assoluto, il cui impatto di inquinamento supera anche le giganti petrolifere.

Tutto questo ci fa capire una cosa molto importante: l’industria della carne in brasile è un’industria estremamente potente. E non solo da un punto di vista economico. Infatti la lobby della carne brasiliana è tra le più forti e influenti al mondo.

Un altro elemento fondamentale per capire il contesto del Brasile è la Frente Parlamentar da Agropecuária (FPA). Conosciuta anche come bancada ruralista è il principale gruppo di pressione del Congresso brasiliano a favore degli interessi dell’agrobusiness: carne e soia in primis. Ad oggi occupano circa metà del Parlamento, ed è una forza trasversale ai partiti politici, una rete istituzionalizzata di parlamentari che difendono questi interessi. E proprio alcuni scandali hanno mostrato come le aziende della carne hanno pagato tangenti ai politici di questa istituzione.  

Considerato tutto questo, sono molti i dubbi su quello che succederà alla COP30. Guardando indietro soprattutto alle COP precedenti sappiamo infatti quanto questa lobby possa essere influente. Durante la COP28 un numero record di lobbisti e di gruppi che rappresentavano, difendevano e portavano avanti gli interessi dell’industria della carne. Parliamo dei giganti dell’agribusiness, come il principale produttore di carne al mondo JBS, Nutrien (che si occupa di fertilizzanti) ma anche Nestlé. E il paese con il maggior numero di lobbisti della carne era proprio il Brasile – con 36 rappresentanti. Una situazione molto simile è successa alla COP29. E questi lobbisti sono addirittura parte delle delegazioni nazionali, il che li rende più influenti. Infatti i lobbisti possono partecipare alle conferenze sul clima come osservatori, ma anche come parte delle delegazioni nazionali. Ed è proprio attraverso questa possibilità che riescono a ottenere accesso diretto ai negoziati diplomatici, potendo esercitare pressione sui rappresentanti politici relativamente al fase out delle fonti fossili e sulle politiche alimentari.

Non stupisce neanche che proprio in vista della COP30 verrà creato “l’Agrizone” un padiglione all’area ufficiale della COP e che viene sponsorizzato da Embrapa (che è un ente di ricerca agricola) ed è finanziato da alcuni giganti dell’agribusiness, tra cui Nestlé. Questo padiglione ospiterà fiere ed eventi il cui obiettivo sembra chiaro: spostare l’attenzione dai danni che compie l’allevamento e l’agricoltura, presentandoli come parte della soluzione alla crisi climatica.

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Foto: Canva

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Le tattiche dell’industria della carne per la COP30

Non stupisce scoprire anche che per questa COP la lobby della carne e dell’agribusiness ha messo insieme una serie di tattiche e messaggi chiave per far passare false soluzioni e greenwashing. Un’analisi di De Smog ha analizzate 8 strategie, anche studiando gli eventi e i panel che ci saranno alla COP.

  1. Agricoltura rigenerativa. L’agricoltura “rigenerativa” è oggetto di diversi panel ufficiali della COP30. Si tratta di una pratica con benefici reali, ma con un impatto ridotto per quanto riguarda la riduzione delle emissioni del settore agricolo. Nonostante ciò questa pratica è un programma centrale per diverse aziende per la riduzione delle emissioni – come McDonald’s e Cargill, ma viene presentato senza definizioni o standard di riferimento. È quindi una promessa vuota e vaga.
    In particolare l’industria della carne fa molta leva sull’agricoltura rigenerativa attraverso il pascolo. Si parla di come i “ranch” dove gli animali pascolano siano più adeguati per ridurre le emissioni delle deiezioni – ma ancora una volta la scienza parla chiaramente del contributo del metano.

  2. Agricoltura “tropicale”. Un discorso simile riguarda “l’agricoltura tropicale”. E durante i negoziati il delegato speciale per l’agricoltura del Brasile, Roberto Rodrigues presenterà un piano secondo cui, grazie a  questa forma di agricoltura rigenerativa, i suoli tropicali potrebbero assorbire il metano generato dagli oltre 195 milioni di bovini del Brasile. Anche questo metodo viene considerato un modo per aziende come JBS per raggiungere la carbon neutrality e si declina in etichette come “carne a basso impatto di emissioni”.
    Ma queste proposte sono criticate da molti esperti, che non solo hanno dubbi sulla metodologia con cui sono stati fatti i calcoli per parlare di neutralità carbonica, ma che considerano impensabile che il suolo possa assorbire così tanto metano. E questa soluzione sarà proposta come un modo per rendere l’allevamento brasiliano sostenibile, senza sottolineare la necessità di ridurre il consumo di carne!

  3. Bioeconomia. Dietro la scusa dell’economia circolare, molte aziende hanno iniziato a usare i biocarburanti come mezzo di greenwashing. I biocarburanti sono combustibili che provengono da materiali dell’agricoltura – come il mais e la soia, ma anche dai grassi provenienti dai macelli. Il biogas è uno di questi carburanti, ed è il metano catturato da fonti come letame degli animali allevati e scarti agricoli.
    Mentre questo viene presentato come una fonte di energia pulita, sono molte le critiche di greenwashing a questi metodi – responsabili di usare enormi quantità di terreni per le monocolture, creare deforestazione e perdita di biodiversità. Inoltre non è chiaro se possa davvero sostituire il gas naturale su grande scala, anzi molti studi sono scettici. Infine, uno studio dimostra come i biocarburanti emettono il 16% di CO2 in più rispetto ai combustibili fossili che dovrebbero sostituire, a causa degli impatti legati all’agricoltura e alla deforestazione. Eppure il Brasile, come ha dimostrato il Guardian, vuole proporre un impegno impegno globale per quadruplicare la produzione di quelli che definisce “carburanti sostenibili”.

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4. “Sfamiamo il mondo”. Già alla COP28 questo era il claim al centro del piano di lobbing dell’industria della carne. E la loro battaglia ruoterà attorno al fatto che una riduzione della produzione di carne avrà un impatto sulla fame del mondo. Ma questa è un’affermazione erronea, perché la fame nel mondo è un fenomeno causato da sprechi, disuguaglianze e altri fattori – che non hanno a che fare con la quantità di cibo che ora stiamo producendo.
Inoltre, l’industria della carne è responsabile di un enorme spreco di cibo, come ha spiegato recentemente un report. Ridurre il consumo di carne sarebbe un triplo vantaggio: meno emissioni, più biodiversità, migliore salute.

5. “L’agricoltura è progresso e sviluppo”. Come abbiamo già detto, sappiamo che in Brasile la lobby dell’agricoltura è molto forte. JBS infatti sta pagando molti giornali influenti in vista della COP30. L’obiettivo è mostrare l’agrobusiness come una forza economica che potrà far crescere e prosperare il “sud globale”. Creazione di posti di lavoro, sicurezza alimentare: sono tutti parole d’ordine che si accompagnano con uno screditamento dei piccoli produttori e che, oltre tutto,, sono sulla bocca grandi aziende inquinanti.

6. “Efficienza”. Aumentare l’efficienza è una delle soluzioni più proposte dall’industria della carne. Non produrre di meno, ma “produrre di più con meno risorse”. Soprattutto l’industria del latte ha fatto suo questo approccio, che porterà sicuramente alla COP30. Attraverso additivi nei mangimi o altre innovazioni tecnologiche i loro discorsi verteranno il fatto che ridurre le emissioni senza ridurre la produzione è possibile – e sta già avvenendo. Peccato che senza limiti alla produzione non c’è certezza che l’efficienza riduca l’inquinamento.

7. “La colpa è dei combustibili fossili”. Come spesso accade una delle grandi tattiche dell’agribusiness è spostare l’attenzione verso i combustibili fossili, difendendo l’agricoltura che è sempre più sotto attacco. Sempre secondo l’analisi di DeSmog l’Istituto Interamericano per la Cooperazione in Agricoltura, che rappresenta i grandi Paesi produttori, ha dichiarato che il suo obiettivo alla COP di Belém sarà quello di “rimuovere l’agricoltura dal banco degli imputati”.
E la cosa è problematica da tanti punti di vista, in primis perché anche l’agricoltura fa ampio uso di energia fossile. Ma non solo, perché sappiamo le emissioni dei sistemi alimentari da sole, se non controllate, potrebbero far superare stabilmente la soglia di 1,5 °C di riscaldamento globale. E infine il nostro sistema alimentare è oggi il principale motore della violazione di molti limiti planetari, dalla distruzione delle foreste al collasso della fauna selvatica, fino alla contaminazione delle risorse idriche. Infine, l’agricoltura supera i combustibili fossili nelle emissioni di metano e protossido di azoto, due gas responsabili di oltre un terzo del riscaldamento globale osservato finora.

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L’ottava strategia: cambiare i dati sul metano

Questo ottavo punto, che riguarda la misurazione del metano, credo che meriti un approfondimento maggiore rispetto a quelli precedenti.

Quando parliamo di inquinamento fatto dalla produzione di carne, il metano è il tema fondamentale. Per questo una battaglia che danni l’industria sta portando avanti riguarda la misurazione delle emissioni di metano provenienti dall’agricoltura. E sappiamo già che a Belèm questo sarà un tema centrale.

Una interessante inchiesta ha mostrato e spiegato il lavoro dietro le quinte che l’industria sta facendo per cambiare il metodo di misurazione del metano, farlo adottare ai governi e così non ridurre le emissioni di quanto sarebbe necessario.

Andiamo però con ordine. Il GWP tradizionale (GWP100) è il metodo ufficiale usato da ONU e IPCC per calcolare quanto un gas serra contribuisca al riscaldamento globale rispetto alla CO₂, in un periodo di cento anni. In base a questa metrica, una tonnellata di metano equivale a circa 28–30 tonnellate di CO₂, perché il metano è molto più potente, anche se resta meno tempo nell’atmosfera (circa dodici anni).
Il GWP* (“Global Warming Potential Star”) invece è stato proposto per tenere conto proprio di questa breve durata: secondo questo metodo, se le emissioni di metano restano stabili nel tempo, il loro effetto sul riscaldamento globale non aumenta più. Solo i nuovi aumenti di emissioni verrebbero considerati come un “vero” contributo al riscaldamento.

Peccato che molti scienziati e lo stesso IPCC non riconoscono il GWP* come misura ufficiale, perché riduce artificialmente l’impatto del metano, in particolare quello prodotto dagli allevamenti intensivi. In pratica, questo sistema permette a chi già emette molto metano – come chi produce carne – di apparire “climaticamente neutro” anche continuando a inquinare ai livelli attuali. Per questo il metodo GPW* viene chiamato un “trucco da contabili”.

Alcuni governi, in cui l’agribusiness è molto forte, stanno già pensando di adottare il GWP*, e il Paraguya e la Nuova Zelanda lo hanno già incluso nella sua politica climatica. L’inchiesta uscita su Conses ha dimostrato che c’è l’obiettivo di influenzare le politiche climatiche in Brasile, Uruguay, Paraguay e Argentina proprio attraverso questo strumento. L’obiettivo: cambiare il modo in cui viene calcolato l’impatto dell’allevamento sul clima. Infatti Frank Mitloehner, uno scienziato che da sempre lavora al fianco dell’industria, ha ricevuto ben 3 milioni di dollari attraverso il suo centro di ricerca da una fondazione collegata a JBS, Cargill e Tyson Foods (tre giganti della carne mondiali), proprio per portare avanti questo metodo di misurazione del metano. 

Di questo metodo sicuramente si parlerà durante questa COP, e se venisse adottato maschererà l’aumento del metano, permettendo ai grandi inquinatori di rivendicare la neutralità climatica senza ridurre il numero di animali allevati.

E mentre l’industria della carne e dell’agribusiness in generale si prepara a difendere in tutti i modi i propri interessi alla COP30, così da continuare a far crescere i suoi profitti e a oscurare il suo impatto, la scienza continua a mostrare come sia necessario rivoluzionare il nostro sistema alimentare, partendo proprio dagli allevamenti.

In un recente sondaggio, più di 200 esperti hanno concordato che per rimanere in linea con gli obiettivi climatica di Parigi il consumo di carne deve ridursi di almeno il 50% nei paesi ricchi e a medio reddito entro il 2030. Lo stesso discorso riguarda la produzione di mangimi e degli allevamenti a pascolo. Un altro studio, di One Earth, chiarisce come le tendenze attuali dei sistemi alimentari rappresentano ad oggi “un rischio inaccettabile”: per restare entro un clima vivibile è necessario cambiamenti dietetici. Sarà in grado la COP30 di accogliere questa sfida?

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