Ricordo quando nell’ormai lontano 2021 avevo partecipato con Extinction Rebellion alle movimentazioni per la PRE-COP26 che si stava svolgendo nella mia città, Milano. Tra le tante cose che mi sono rimaste in testa, una frase ritornava come un mantra: “Le Cop hanno fallito”. Come i lettori di EconomiaCircolare.com sanno, le Cop – acronimo per Conference of Parties – sono le riunioni annuali dei Paesi che hanno ratificato la convezione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici: momenti decisivi per combattere la crisi climatica, ma ogni anno, se leggiamo i risultati in controluce con gli allarmi della scienza, non sembra mai che si facciano i necessari passi concreti – “bla bla bla” diceva Greta Thunberg.
Sembra insomma di avere a che fare con parole vuote o comunque tentativi di greenwashing che non risolvono davvero la questione. Ecco la mia grande preoccupazione — spero non solo la mia – per questa ennesima Cop29, in corso a Baku, Azerbaijan, mentre gli eventi climatici estremi stanno diventando la normalità, anche nel nostro Paese
E tra le tante tematiche fondamentali che verranno affrontate in queste giornate spuntano i nostri sistemi alimentari. E ancora una volta, a spuntare sono le lobby delle energie fossili e dei giganti dell’Agribusiness, e la paura (la certezza?) che influenzeranno le decisioni per difendere i loro interessi – a discapito del bene comune – è molto più che forte.
Leggi anche lo SPECIALE | COP29
Cop e lobby: chi sponsorizza gli eventi?
Sono diverse le campagne che chiedono di tenere i lobbisti fossili fuori dalle conferenze sul clima: da Kick Big Polluters Out a Fossil Free Politics alla nostra Clean the Cop. I lobbisti possono infatti partecipare alle conferenze sul clima come osservatori, ma anche come parte delle delegazioni nazionali. Ed è proprio attraverso questa possibilità che riescono a ottenere accesso diretto ai negoziati diplomatici, potendo esercitare pressione sui rappresentanti politici relativamente al fase out delle fonti fossili e sulle politiche alimentari.
Partecipare come delegati di un Paese, spiega Nusa Urbancic della Changing Markets Foundation, significa che l’industria potrebbe essere vista come “pari” dai politici, i quali potrebbero dare “maggiore credibilità” alle loro posizioni.
Non c’è solo questo. Alcuni dei momenti chiave delle Cop sono incontri e conferenze parallele che avvengono in quelle giornate, che spesso però sono sponsorizzati proprio dalle grandi dell’Agribusiness – ergo, elementi come il greenwashing sono una minaccia più che reale.
Vengono effettivamente proposte modalità per ridurre l’impatto ambientale dei sistemi alimentari, ma di fatto non viene messa in discussione la criticità del sistema alimentare e l’attuale modello intensivo – non viene cioè posta la necessità, indicata dalla scienza – di ridurre drasticamente la produzione di carne e derivati per esempio, ma si parla solo di rendere più efficace la produzione.
Queste non sono ipotesi: è successo alla Cop28 – che appare così l’estensione delle strategie che da decenni l’industria della carne attua per nascondere il suo vero impatto.
Leggi anche: L’Italia alla Cop con un problema di trasparenza
Cosa è successo alla Cop28: un numero record di lobbisti della carne
Durante la Cop28 a Dubai, l’anno scorso, c’è stato un numero record di lobbisti e di gruppi che rappresentavano, difendevano e portavano avanti gli interessi dell’industria della carne. Parliamo dei giganti dell’agribusiness, come il principale produttore di carne al mondo JBS, Nutrien (che si occupa di fertilizzanti) ma anche Nestlé.
Un’analisi di DeSmog ha dimostrato che i lobbisti e le persone che rappresentavo gli interessi dell’agribusiness erano 340, praticamente triplicati rispetto alle stime fatte per la Cop precedente. Di questi molti oltre 100 erano all’interno di delegazioni nazionali – che, come abbiamo visto prima, significa avere ancora di più influenza sui decisori politici.
Dati allarmanti, soprattutto se pensiamo che a partecipare sono gruppi di lobby come il North Amercan Meat Institute, che fino a due anni fa sosteneva posizione apertamente negazioniste riguardo alla crisi climatica e alle responsabilità umane.
La loro presenza così massiccia a Dubai ha infatti lasciato un’impronta indelebile sulle decisioni prese proprio sui sistemi alimentari. La Cop28, infatti, è stata definita da molti la Cop sul cibo, proprio per l’attenzione senza precedenti dedicata ai sistemi alimentari e al loro legame con la crisi climatica – forse per questo la lobby della carne era così presente?
Infatti, sebbene sia stata firmata da oltre 130 governi la “Dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti e l’azione per il clima”, non ci sono stati obiettivi chiari e vincolanti, né è stata affrontata davvero la necessità di ridurre il numero di animali allevati – soprattutto di bovini, responsabili di molte delle emissioni di metano.
Come abbiamo già spiegato, anche la Roadmap della FAO propone una riduzione del 25% delle emissioni di metano del bestiame entro il 2030, ma non raccomanda una riduzione del consumo di carne e latticini.
Non è un caso che diversi lobbisti della carne abbiano salutato questa dichiarazione, proprio come la Roadmap della FAO come “musica per le orecchie”.
Cosa aspettarci dalla Cop29?
Sebbene la COP29 sia ancora in corso, basta dare un’occhiata alla COP16 sulla biodiversità in Colombia per avere una previsione di come potrebbero andare le cose. La COP16, che è come una COP sul clima ma con focus specifico la biodiversità, è stata assaltata da numeri record di rappresentanti aziendali e lobbisti dell’industria della carne e dell’agribusiness in generale – oltre a quella dei combustibili fossili. Solo un dato, fornito ancora da DeSmog: è aumentata del 460% la partecipazione di realtà collegate con la trasformazione alimentare – per esempio Nestlé aveva ben 10 rappresentanti. Dati gli output critici di questa COP16, viene da pensare che l’intensificazione della presenza di pressioni per favorire la produzione agricola abbia avuto un impatto.
Per capire cosa potrebbe succedere, sicuramente è utile dare un occhio alla lista ufficiale dei partecipanti. Anche quest’anno possiamo notare una massiccia presenza di persone collegate con i grandi dell’agroindustria e nello specifico con l’industria della carne e dei latticini – fortunatamente, sembra minore dell’anno scorso, ma lo è anche il tema del cibo in questa Conferenza sul clima. Ci sono diverse associazioni di categoria come l’Animal Agriculture Alliance, World Farmers’ Organisation, European Dairy Association e la Global Dairy Platform, Inc. Alcuni lobbisti dell’industria sono ancora, come l’anno scorso, all’interno delle delegazioni nazionali – spicca il Brasile per numeri, ma anche la Russia e l’Australia. E la loro presenza è sinonimo di una cosa chiara: anche quest’anno, proveranno a difendere gli interessi di un’industria che, insieme ai combustibili fossili, sta causando direttamente la crisi climatica. Per ora non ci resta che aspettare.
Leggi anche: Alla Cop di Baku una selva di lobbisti delle imprese fossili: aiuteranno forse la decarbonizazione?
© Riproduzione riservata