Dimmi che codice Ateco hai e ti dirò chi sei. Questo vale per tutte le attività d’impresa ma non per i mercatini dell’usato, che in teoria dovrebbero avere i codici relativi ai negozi al dettaglio, ma nella realtà sono finiti in un ginepraio. Ciascuna Camera di Commercio, infatti, a seconda della propria sensibilità, può definirli o meno dettaglianti. Una vicenda emblematica messa in luce dai cosiddetti decreti Ristori, emanati dal governo per sostenere gli operatori economici maggiormente colpiti dalle misure restrittive messe in campo per fronteggiare la pandemia da coronavirus. Dopo una prima esclusione nel primo decreto di fine ottobre, era intervenuta la rete Onu, rete nazionale degli operatori dell’usato, per farvi rientrare anche i mercatini dell’usato, inquadrati grazie all’attività di intermediazione con uno specifico codice Ateco. Salvo poi scoprire che, in alcune zone, i mercatini sono registrati con altri codici, non inseriti dal governo tra quelli che possono usufruire dei sussidi previsti. A denunciare il cortocircuito è Alessandro Giuliani, fondatore di Leotron (azienda da cui nascono i network Mercatopoli e Baby Bazar) e vicepresidente della rete Onu, l’associazione nazionale che rappresenta migliaia di operatori dell’usato che operano su tutto il territorio italiano.
A ciascuno il suo codice
“Il problema è strutturale, e la vicenda dei ristori paradossalmente l’ha messo in luce – spiega Giuliani a EconomiaCircolare.com – Coi mercati dell’usato, infatti, non si ragiona in termini di filiera. È per questo che la nostra categoria si ritrova senza un codice Ateco specifico, per cui normalmente quello applicabile ai mercati dell’usato è il 461902, ovvero l’intermediazione. Però molte Camere di Commercio non accettano questo codice, perché dicono che i gestori non sono procacciatori di affari, e quindi applicano ai mercatini altri codici come quello relativo ai servizi generici”. Capita perciò che un mercatino di una stessa catena sia identificato al Nord come intermediatore e al Sud come servizio, o viceversa. Anzi, le differenze possono sussistere all’interno della stessa Regione. “Faccio un esempio – dice Giuliani – Io sono il fondatore della rete Mercatopoli. I nostri soci rientrano quasi tutti nel codice 461902. Ma il Mercatopoli di Caserta è registrato col codice 749099, ovvero altre attività professionali non censite in altro modo. Ciò crea un’evidente disparità, perché la nostra socia di Caserta non può usufruire di alcun ristoro, al contrario dei suoi colleghi e nonostante abbia la stessa attività”.
Una situazione alquanto paradossale e che non è stata ancora sanata. “Fintanto che non si andrà a discutere di una legge unitaria, che tra l’altro esiste ed è già incardinata in Parlamento – osserva ancora Giuliani -, non si andrà lontano. Non essere ben inquadrati ci crea ad esempio problemi a livello di Tari: non essendo considerati come attività che fanno prevenzione di rifiuti, ma spesso come pure attività commerciali, andiamo a pagare le tasse pure sui non rifiuti, cioè oggetti che andiamo a intercettare prima che vadano in discarica”. In pratica, invece di essere premiati per l’incentivo al riutilizzo è come se i mercatini dell’usato venissero puniti per il mancato smaltimento.
Una proposta di legge in congelatore
La proposta di legge a cui Giuliani fa riferimento è la n°1065, presentata alla Camera il 6 agosto 2018 e intitolata “Disposizioni per la disciplina dell’economia dei beni usati e la promozione del settore del riutilizzo, nonché istituzione del Tavolo di lavoro permanente sul riutilizzo”. Una proposta bipartisan, anzi di più, che vede come primo firmatario il deputato pentastellato Stefano Vignaroli e che sembrerebbe godere dell’appoggio trasversale di Pd e Lega. Eppure, nonostante ciò, da due anni è ancora all’esame delle commissioni congiunta Attività produttive e Ambiente.
Ma le incongruenze non finiscono qui. “Ci sono Comuni che valutano la nostra attività come prevalentemente artigianale, perché ad esempio interveniamo sui mobili che poi mettiamo in vendita, e quindi danno a disposizione spazi dal costo più contenuto – dice il vicepresidente della rete Onu – Mentre per altri Comuni la nostra attività è assimilabile a quella commerciale, e dunque la destinazione d’uso dei nostri spazi è commerciale e perciò molto più alta. Quel che più è incredibile è che il mercato dell’usato, secondo un’indagine Doxa che viene aggiornata ogni anno, vale circa 24 miliardi di euro. La parte per conto terzi, cioè la parte formalizzata con registro Iva, vale circa un miliardo. Questo vuol dire che una buona parte dell’usato in Italia è ancora informale, o al massimo è one to one, dove una persona vende a un’altra persona e dove ovviamente l’erario non prende un euro. Se ci fosse una legge, le attività dell’usato verrebbero inquadrate e agevolate e le casse dello Stato ne guadagnerebbe parecchio. In questi tempi difficili sarebbe una mossa win-win, anche nell’ottica del recente piano per l’economia circolare che è stato approvato: penso per esempio al capitolo in cui si parla della responsabilità estesa dei produttori”.
Il successo dell’usato nell’era della pandemia
Il quadro tracciato da Giuliani non è comunque del tutto fosco. Anche perché c’è sempre maggiore consapevolezza e attenzione, da parte della popolazione, su un settore economico, quello dell’usato, che non solo è importante in questo periodo complicato ma è assolutamente strategico in termini di economia circolare, soprattutto alla luce dell’anno che sta per arrivare. “Dal punto di vista del mercato, le persone stanno reagendo bene – osserva -. Lo vediamo anche coi mercatini dell’usato, che in questo periodo hanno visto aumentare notevolmente il flusso di persone in entrata. Con i Dpcm che ci chiudono facciamo fatica, così come facciamo fatica quando i decreti non ci supportano, ma i mercatini che riescono a restare aperti battono record su record, e ciò ci rinfranca delle difficoltà”. Solo nell’ambito del vestiario a livello globale parliamo di un giro d’affari tra i 30 e i 40 miliardi di dollari in crescita costante, fino al 20% annuo nei prossimi anni. A dispetto a chi ancora associa questo mercato a oggetti di scarso valore e qualità.
© Riproduzione riservata