Professoressa e ricercatrice di economia ecologica e industriale presso l’Università di Leeds, Julia Steinberger ha contribuito alla stesura del sesto rapporto di valutazione dell’IPCC.
Ha ricevuto un Leverhulme Research Leadership Award per il suo progetto di ricerca “Living Well Within Limits”, che indaga su come il benessere umano universale possa essere raggiunto all’interno dei limiti del pianeta.
L’abbiamo intervistata a Glasgow durante il panel “Our time is now”, tenutosi all’interno del People’s Summit, il controvertice di attivisti e organizzazioni sociali che ha dato vita a una quattro giorni di intense discussioni sul clima. Il Panel ha dato spazio a un dibattito tra i rappresentati dei principali gruppi attivisti per il clima, tra cui Mitzi Jonelle Tan dei Fridays For Future MAPA e l’economista ecologista Nnimmo Bassey, direttore di HOMEF, Health of Mother Earth Foundation.
Durante il panel, Steinberger ha affermato la necessità dei governi di concentrarsi sulle persone piuttosto che sul profitto e la crescita economica.
Quali sono gli scenari peggiori secondo l’IPCC a fine secolo e al 2050?
Se non riduciamo le emissioni e continuiamo così, arriveremo probabilmente a un aumento di circa 3°C, un livello già incompatibile con la capacità della popolazione di sopravvivere. Si stanno mettendo talmente a dura prova biodiversità ed ecosistemi che è difficile immaginare questo sforzo sulle coltivazioni e sul nostro sistema alimentare. Sono gli scenari più estremi, ma in realtà rappresentano solo la continuazione di ciò che stiamo facendo già ora. Dobbiamo cambiare direzione in modo assoluto e il più rapidamente possibile. Per ogni giorno, ogni anno, ogni decade che perdiamo contribuiamo a rendere il mondo un posto peggiore. Dovremo comunque cambiare radicalmente se vogliamo evitare questi impatti.
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Pensa che 1.5°C sia abbastanza?
Le persone stanno già morendo degli impatti delle catastrofi climatiche a 1.1°C-1.2°C, che è il livello a cui siamo adesso. Quindi sì, 1.5°C è già un livello pericoloso. Alcune persone, popolazioni, città e zone saranno colpite molto duramente, alcune isole scompariranno. Un futuro a 1.5°C non è un futuro senza impatti: è un futuro con incendi, alluvioni, tempeste, con grandi impatti. Non è sicuro. Però è già molto impegnativo dal livello di emissioni attuale quindi dobbiamo essere molto veloci nel raggiungere 1.5°C. Considerando dove siamo ora 1.5°C è una direzione ottimista. Dobbiamo anche lavorare sull’adattamento, ovvero proteggere le popolazioni più vulnerabili del mondo dall’impatto dei cambiamenti climatici.
Ha detto che i governi devono smettere di pensare ai profitti e occuparsi delle persone. Cosa intende con questo?
Al momento i governi si comportano come se la loro priorità fosse la crescita economica. Quello di cui i politici cercano di convincerci è che la crescita economica porti benessere e prosperità sociale. Ma non è vero: se guardiamo ai bisogni reali delle persone, capiamo che non è la sovrapproduzione ciò che serve. Le persone hanno bisogno di una vita dignitosa, di servizi sociali e di una buona infrastruttura pubblica. I nostri governi devono “essere cambiati”, perché non cambieranno da soli. Il motivo per cui rincorrono la crescita economica è perché questo è l’obiettivo dell’industria, delle imprese e delle persone più ricche che stanno di fatto accumulando per sé questa crescita. La crescita alimenta un meccanismo di ineguaglianza e accumulazione di ricchezza. In questo senso i governi devono essere costretti a mettere le persone al primo posto, non concentrarsi sull’1%, ma fornire a tutti gli altri buone condizioni di vita. Non è necessario che il benessere si accompagni allo sfruttamento delle risorse.
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Si parla tanto di “net zero”, ma è una vera soluzione? Qual è la differenza con il “real zero”?
In realtà originariamente net zero era una iniziativa positiva. Il punto è che è molto difficile raggiungere le zero emissioni. Ci sono alcune aree di produzione, come il settore agricolo, in cui è davvero difficile eliminarle, per cui l’idea in origine era di arrivare il più vicino possibile alle zero emissioni e poi permettere agli ecosistemi di immagazzinare carbonio naturalmente. L’idea di base è permettere alla natura di compensare le pochissime emissioni rimanenti. Ma ora “net zero” è diventato uno slogan di greenwashing delle aziende dell’industria fossile e di un sacco di governi a cui piace fare “bla bla bla”, come dice Greta Thunberg. I governi approfittano del net zero per continuare come al solito cercando poi di rimediare nel futuro a costi altissimi, così da non doversene preoccupare nel presente. È diventato un meccanismo di procrastinazione che evita di affrontare seriamente la sfida dell’azione climatica.
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La cattura di carbonio è parte di queste strategie?
Sì, anche qui l’idea non è di permettere agli ecosistemi di compensare naturalmente il carbonio. I governi immaginano di catturare e conservare il carbonio, sottraendolo dall’atmosfera e trasformandolo, trasportandolo e conservandolo sottoterra in vari modi. In alcuni casi ancora peggiori, immaginano di coltivare foreste per poi tagliarle e conservare il carbonio così. L’idea di usare terreno in cui si potrebbe coltivare cibo in un mondo in cui le persone già subiscono carestie climatiche perché alcuni governi sono stati troppo pigri per ridurre le emissioni penso che sia davvero criminale e, onestamente, osceno.
Riguardo all’accordo sulla riduzione di emissioni di metano del 30%: parlano sempre di numeri ma non di modalità
Molte delle emissioni di metano provengono dall’agricoltura destinata ad alimentare gli allevamenti. L’IPCC e tutta la letteratura scientifica concordano sul fatto che bisogna muoversi verso un’alimentazione a base vegetale, che non significa eliminare carne, latticini e pesce, ma ridurli a circa una volta a settimana, per tutti. Altrimenti non ce la faremo.
Intervista realizzata in collaborazione con A Sud Onlus
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