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venerdì, Novembre 15, 2024

K_Alma, la falegnameria dei diritti

La Falegnameria e officina sociale K_Alma nasce da un viaggio a Berlino e dalla volontà di creare qualcosa che prima non c’era. Da un’idea di Gabriella Guido, concretizzatasi nell’Associazione K_Alma, la falegnameria sociale apre i battenti a Roma, all’interno del Villaggio Globale, a maggio 2017

Sara Dellabella
Sara Dellabella
Giornalista freelance. Attualmente collabora con Agi e scrive di politica ed economia per L'Espresso. In passato, è stata collaboratrice di Panorama.it e Il Fatto quotidiano. È autrice dell'ebook “L'altra faccia della Calabria, viaggio nelle navi dei veleni” (edizioni Quintadicopertina) che ha vinto il premio Piersanti Mattarella nel 2015; nel 2018 è co-autrice insieme a Romana Ranucci del saggio "Fake Republic, la satira politica ai tempi di Twitter" (edizione Ponte Sisto).

K_Alma è una falegnameria sociale che sorge nel cuore di Testaccio, uno dei quartieri più antichi di Roma. Nata nel 2017 e da subito ospitata all’interno del Villaggio Globale, che nel tempo si è trasformato in hub del terzo settore, dove realtà che si muovono con finalità sociali oltre a convivere nello stesso spazio possono mettersi in rete. A raccontare gli albori di questa avventura è Gabriella Guido, che al lavoro in una Ong affianca l’impegno e l’attivismo. “Avevo visto un progetto analogo a Berlino e ho pensato di replicarlo qui a Roma. In un momento abbastanza difficile e in una città abbastanza complessa, ma sono stata fortunata” racconta “a Roma progetti così non ce n’erano e non ce ne sono e in più diamo un’offerta formativa gratuita. In particolare, per soggetti svantaggiati. Nati per immigrati e richiedenti asilo che non potevano avere i soldi e le risorse per pagarsi un corso di formazione, alla fine abbiamo aperto anche agli italiani disoccupati, soprattutto dopo il Covid”. Così dopo un incontro con un collettivo di design e attivisti migranti e tedeschi nel febbraio del 2016 e un workshop in Trentino-Alto Adige, la scommessa è stata quella di provare ad avviare un progetto stabile e strutturato in una “periferia urbana” come può apparire una città grande come Roma a chi non ha mezzi. Così la falegnameria, censita dal nostro Atlante dell’economia circolare prende vita e con essa decine di oggetti frutto del lavoro di immigrati e disoccupati impegnati a imparare un mestiere antico come quello del falegname.

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Chi lavora al progetto

Oggi al progetto, oltre a Gabriella, lavorano 4 falegnami, 3 assistenti senior, un’operatrice sociale e un’insegnante di italiano. “Nei primi anni abbiamo anche cercato di offrire ai nostri ragazzi un percorso di inclusione professionale – lavorativa, procurando colloqui di lavoro. Dopo il Covid tutto si è ristretto, dando una spallata alle reali opportunità di inclusione. Questo ci ha portato a cominciare a intensificare il lavoro verso l’esterno, sia con commesse con privati, enti e istituzioni, che in autoproduzione. – spiega Gabriella – Noi ci autofinanziamo e facciamo politiche di sostegno al reddito lavorando per altri. Studiamo dei prototipi di alcuni complementi di arredo e quando siamo convinti, avviamo una piccola produzione. È un mercato molto piccolo, ma molto solidale. Ogni pezzo è fatto a mano, non esistono catene di montaggio. I nostri prezzi sono bassi, ma a livello di economia civile è un progetto molto interessante. Perché magari ci commissionano un tavolo e la volta dopo chiedono ai ragazzi di aggiustare una persiana o montargli i mobili del colosso svedese. Dopo cinque anni, la sfida sta funzionando. Abbiamo tanti lavori, le persone ci conoscono e ci ordinano dei pezzi che spediamo in tutta Italia”. Per ora non esiste uno store online e forse non ci sarà mai, però assicurano che basta una mail per vedersi recapitati sgabelli, taglieri, giochi per bambini e tutto quello che si può vedere sul sito di K_Alma.

K_Alma falegnameria sociale
K_Alma falegnameria sociale

Legno certificato

La falegnameria però non è sostenibile solo dal punto di vista dei diritti umani, ma l’attenzione è rivolta anche ai materiali. I legni utilizzati sono certificati FSC e perché è importante questa scelta è sempre Gabriella a spiegarlo: “La filiera etica del legno equivale alla filiera etica dei diritti umani. Non è facile, perché i materiali certificati costano di più alle aziende e dall’Emilia in giù è molto complesso trovare legnami certificati. Con il fatto che siamo un progetto sociale, le aziende hanno tutto l’interesse a mandarcelo, anche se nelle piccole quantità che servono a noi”.

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Pandemia da crisi a opportunità

Ma purtroppo non è tutto rose e fiori. Perché quando si parla di immigrazione nel nostro Paese si parla anche di permessi legati a contratti di lavoro. Chi lavora all’interno della falegnameria lo fa in maniera volontaria, così spesso i ragazzi sono costretti ad accettare contratti da pizzaiolo per assicurarsi il rinnovo dei documenti.  E la pandemia non ha fatto che aumentare i problemi di chi già vive ai bordi della sopravvivenza. Quei mesi hanno rappresentato un “momento di ansia per i ragazzi, soprattutto quelli che non erano più nel circuito di accoglienza perché magari avevano un affitto da pagare, senza lavoro e senza sussidi. Noi ci siamo tutti autotassati per sostenerli – continua – ma molti si sono spostati al nord o al sud dove iniziavano i periodi di raccolta nei campi. Magari poco, ma un po’ di soldi in tasca alla fine riuscivano ad averli”. Non esiste un tempo in cui si può stare alla falegnameria. Ognuno arriva quando se la sente e se ne va quando decide. Non ci sono paletti precisi perché di imparare non si smette mai, soprattutto nei lavori artigiani.
Il Covid 19 ha spalancato le porte delle difficoltà anche a chi finora era riuscito a vivere del proprio lavoro. Così la falegnameria si è trovata ad accogliere anche molti italiani che erano rimasti disoccupati da un giorno all’altro, rinnovando quella che era stata la sua mission fino a quel momento. Però dalle crisi, possono nascere anche delle opportunità: “Uno dei nostri assistenti senior è arrivato così. Aveva perso il lavoro e invece di consegnare le pizze a 55 anni, ha preferito dedicarsi alla falegnameria”. Con una storia che potrebbe dirsi a lieto fine, che in tempo di pandemia è una cosa rara.

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