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venerdì, Novembre 15, 2024

Perché la lobby delle armi preme per entrare nella tassonomia sociale dell’Unione europea

La Commissione europea al lavoro per una social taxonomy sul modello della tassonomia verde per favorire gli investimenti sociali. Ma le lobby sono già al lavoro per allargare le maglie. La più forte è quella delle armi

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Una finanza sostenibile non lo è solo se gli investimenti tutelano l’ambiente, ma anche gli aspetti sociali. Come i flussi di denaro non possono essere indirizzati alle attività economiche inquinanti, lo stesso deve avvenire per chi non rispetta i diritti umani o dei lavoratori e per le attività economiche dannose per la comunità. Mentre sono agevolati i prodotti finanziari che favoriscono lo sviluppo sociale e migliorano la qualità della vita delle persone, al pari di quelli “green”.

Ecco perché l’Unione europea sta lavorando su due tavoli. Da un lato la tassonomia verde, per individuare i criteri ambientali degli investimenti “green”, dall’altro la tassonomia sociale, in cui stabilire i requisiti per una sostenibilità sociale dei prodotti finanziari. A fine febbraio la Piattaforma per la finanza sostenibile, organo consultivo della Commissione europea, ha pubblicato il report sulla social taxonomy, in cui si delinea la possibile architettura della tassonomia sociale.

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Chi resterà fuori dalla tassonomia sociale

Eppure, proprio come è avvenuto durante il dibattito per approvare la tassonomia verde e le recenti polemiche per l’inclusione di energia nucleare e gas, si assiste già alle prime crepe e ritardi nel prendere le decisioni, con lobby pronte a tutto pur di rientrare nei criteri e il timore di assistere a un “assalto alla diligenza”.

Addirittura la potentissima lobby delle armi: spaventata dalla possibilità di perdere finanziamenti con lo sviluppo di un mercato di prodotti finanziari sostenibili, ha immediatamente sfruttato la guerra in Ucraina per lavorare affinché le spese militari per la “difesa nazionale” siano considerate attività “socialmente positiva”.

L’azienda italiana nel settore della difesa Leonardo ha già attivato linee di credito legandole a indicatori Esg (Enviromental, Social and Governance) come la promozione dell’occupazione femminile in materie Stem e la riduzione di CO2. Mentre la banca svedese Seb (Skandinaviska Enskilda Banken) aveva escluso dai fondi controllati azioni di società della difesa: a marzo è tornata sui suoi passi.

Certo, si tratta di scelte di privati e non di normative europee, ma Bruxelles non sembra “sorda” al tema. In un recente documento ha ribadito la necessità di agevolare l’accesso al credito nelle spese di difesa europea. È di pochi giorni fa l’annuncio del cancelliere tedesco Olaf Scholz di un piano massiccio da 100 miliardi di euro in spese militari.

La credibilità di una tassonomia, però, si fonda proprio su cosa ne resterà fuori. Come i combustibili fossili sono considerati nella tassonomia green un’attività dannosa perché è impossibile utilizzarli come fonte energetica rispettando gli Accordi di Parigi, lo stesso deve valere per quelle attività impossibili da rendere meno dannose socialmente.

Sorprende ancora di più il nascente dibattito sulle armi visto che sono proprio loro il primo esempio citato dalla Piattaforma per la finanza sostenibile come tipo di attività da tenere al di fuori dalla tassonomia sociale, sebbene il documento si riferisca solo a certe armi convenzionali disciplinate dalle Convenzioni Onu.

Se fortunatamente non ci sono dubbi sull’esclusione dei beni prodotti con lo sfruttamento del lavoro o dei terreni, gli evidenti danni del tabacco sulla salute pubblica sarebbero una ragione sufficiente per identificare produzione e marketing di sigarette come attività socialmente dannosa. È anche evidente, però, quanto sia combattiva la lobby del tabacco.

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Tassonomia sociale: come funziona

Non è difficile immaginare il ripetersi di certe dinamiche come accaduto con la tassonomia green, perché il meccanismo alla base della social taxonomy è lo stesso. Il punto di partenza è un’analoga constatazione. “La domanda elevata di social bond per finanziare edilizia sociale, assistenza sanitaria e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate – rileva il documento della Piattaforma per la finanza sostenibile – è la dimostrazione che gli investitori vedono questi strumenti di investimento come un’opportunità che si traduce nella possibilità di indirizzare i capitali privati verso attività di elevato valore sociale”.

L’Unione europea spera così di raggiungere più rapidamente gli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite. Secondo le stime, per colmare nel prossimo futuro il gap con i Paesi in via di sviluppo, saranno necessari circa 2500-3000 miliardi di dollari all’anno. Impossibile arrivarci solo con la spesa pubblica degli singoli Stati.

L’altro scopo della social taxonomy è di combattere il social washing (la sostenibilità sociale di facciata). Lo strumento scelto è il solito: la disclosure, la trasparenza su dati e informazioni sensibili. In modo che gli investitori sappiano realmente a chi è diretto il loro denaro. Le norme di riferimento, oltre alla social taxonomy, sono la direttiva “NFRD” (e la proposta di direttiva “CSRD”) per gli operatori non finanziari e il regolamento “SFRD” per gli operatori finanziari.

L’assunto è che le società emittenti abbiano tutto da guadagnare ad allinearsi ai criteri. “Allo stesso tempo, gli operatori finanziari sono consapevoli che trascurare l’aspetto sociale comporta il rischio di vedersi associati a violazione dei diritti umani, come il lavoro minorile o in condizioni di sfruttamento”, spiega il documento della Piattaforma per la finanza sostenibile.

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Gli obiettivi della tassonomia sociale: contributi sostanziali e DNSH

Gli obiettivi della social taxonomy sono principalmente tre:

  • Lavoro dignitoso in tutta la catena del valore
  • Standard di vita adeguati e benessere per gli utilizzatori finali
  • Comunità e società sostenibili e inclusive

Ci sono poi una serie di sotto-obiettivi, indispensabili per ottenere la “certificazione sociale”: gli emittenti di prodotti finanziari dovranno, infatti, provare di rispettare criteri nelle condizioni di salute e di sicurezza per i lavoratori, alle condizioni abitative, ai livelli salariali, all’attenzione per la salute dei consumatori e per i mezzi di sussistenza delle comunità del territorio, ma anche aspetti di governance come la parità di genere e la tutela delle diversità culturali.

Potrebbero sembrare conclusioni “scontate”. Eppure, nell’Unione europea c’è estremo bisogno di combattere le ineguaglianze e la marginalizzazione. Secondo un recente rapporto di Bruxelles, quasi un quarto (il 24%) della popolazione in età lavorativa dei 27 Stati membri si è trovata almeno una volta negli ultimi quattro anni al di sotto della soglia di povertà e il 19% si trova attualmente in questa condizione.

L’Unione europea ribadisce quindi il principio del Do not significant harm, vale a dire il danno non signicativo: perseguire uno degli obiettivi della social taxonomy non può compromettere gli altri. Come nella tassonomia verde, sono individuate le attività economiche capaci di fornire un “contributo sostanziale” ad almeno uno dei tre obiettivi sociali.

Ad esempio, le attività che hanno di per sé un impatto sociale positivo, come la ricerca medica e farmacologica. Oppure le attività che ne favoriscono altre per ottenere benefici sociali o quelle volte a ridurre gli impatti negativi sui lavoratori, i consumatori e le comunità (i tre soggetti beneficiari della social taxonomy individuati da Bruxelles).

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Tassonomia sociale e verde: come interagiranno

Resta da approfondire, a livello tecnico, come misurare un investimento sociale. Si tratta di una delle poche differenze tra tassonomia verde e tassonomia sociale. Nel primo caso la classificazione ambientale si basa su evidenze scientifiche, nel secondo su fonti normative: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione ILO sui principi e i diritti fondamentali del lavoro e altri documenti come le line guida dell’OCSE per le imprese multinazionali e i principi guida per il business e i diritti umani delle Nazioni Unite.

A rendere difficile la valutazione, c’è però una ragione più complessa. Mentre la maggior parte delle attività economiche ha un impatto negativo sull’ambiente, può avere un impatto positivo sulla comunità: nella creazione di posti di lavoro, nella produzione di beni e servizi socialmente utili oltre a contribuire alla tassazione e quindi al welfare. Inoltre, attività o prodotti finanziari sostenibili sotto il profilo ambientale, possono non esserlo dal punto di vista sociale, se ad esempio gli stipendi dei dipendenti sono bassi o le condizioni di lavoro non sono adeguate.

Insomma: tassonomia verde e tassonomia sociale sono due facce della stessa medaglia della finanza sostenibile. La speranza è che a Bruxelles ci si concentri sugli aspetti normativi per permettere una loro integrazione ed evitare conflitti normativi. Molto meglio che riflettere sui possibili “benefici sociali” delle armi.

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