Spesso essere al centro di un sistema turistico per una zona di montagna significa perdere la sua autenticità, diventare il rifugio dall’estiva noia cittadina, d’altra parte ribadire la propria esistenza al mondo e aprirsi ad esso implica guardare la propria terra con occhi diversi, apprezzarne le qualità e la bellezza a cui, col tempo, si finisce per essere assuefatti: esporla all’estraneo ma in qualche modo, proteggerla.
È un equilibrio difficile da trovare ma qualcuno ci sta provando. Nell’entroterra abruzzese, tra L’Aquila e Sulmona e nel cuore del Parco regionale Sirente Velino, si estende la media valle dell’Aterno, uno spaccato di natura incontaminata attraversato dal fiume Aterno e costeggiato da montagne dal verde rigoglioso sotto il massiccio del Sirente. Qui troviamo piccoli paesi che conservano un’importante impronta di stampo medievale. Un tempo, la zona vedeva vigneti e frutteti popolare le campagne ma, con il trasferimento in città di molti abitanti, ora sono in pochissimi a portare avanti l’agricoltura. Il verde e la roccia ne definiscono quindi una bellezza totalmente selvaggia, dove è facile ascoltare il bramito dei cervi a settembre o l’ululato dei lupi e imbattersi negli stessi, insieme a caprioli, tassi, istrici, volpi e rapaci.
Sembrerebbe un posto idilliaco, destinato a diventare, nel boom del turismo di prossimità della post-pandemia, una meta turistica per gli amanti della natura e del silenzio e magari uno di quegli agognati borghi del futuro (come professa il Pnrr e il video promozionale) dove poter lavorare in smart working e vivere in una modernità a misura d’uomo; eppure le cose finora non sono andate così, purtroppo o forse per fortuna.
Il castello dimenticato
Il castello medievale di Beffi è un piccolo borgo fortificato, facente parte del paese di Beffi, nel comune di Acciano (L’Aquila), da cui emerge una torre in pietra alta più di 20 metri. Le prime documentazioni che attestano il paese risalgono al secolo X e XI ma si presume si sia avuto un vero sviluppo a partire dal XII-XIII secolo, quando i Normanni si lanciarono alla conquista della regione, dando il via ad una ripresa economica e sociale.
Nel corso del Novecento, quando la manutenzione di edifici storici è iniziata ad essere difficile per i pochi abitanti, è stato progressivamente abbandonato a favore di nuove e più sicure abitazioni in un’altra parte del paese. Così, pur conservando in ottime condizioni l’originale assetto storico – composto dalla torre ma anche da scalini, dedali di piccoli vicoli e balconate, dal pozzo e dalle mura – il luogo è rimasto spento, in attesa, per lungo tempo.
Alla fine degli anni Novanta un nuovo fermento ha interessato la zona: la torre è stata ristrutturata, si è avviato il progetto per un orto botanico lungo il pendio su cui si erge il borgo; inoltre, un’associazione del luogo ha messo su una piccola festa medievale, in cui per un attimo ci si ricordava quanto straordinario fosse quel luogo, per poi tornare di nuovo nell’oblio fino all’anno successivo.
“A Beffi prima c’erano più persone, – racconta Serena Della Fornace, abitante nel Comune, volontaria e proprietaria di un’attività nel castello – e una piccola comunità che riusciva a dar vita all’iniziativa. Qualcuno si è tirato fuori tra i soliti litigi di paese e la cosa è andata sfumando: nessuno si è più preso cura del giardino botanico e hanno lasciato tutto così com’era. Quando siamo arrivati nel castello c’erano tanti rovi e rifiuti, anche dentro i locali”.
Per qualche tempo una stanza è stata data in uso al medico di base del Comune, ma poi si è optato per un trasferimento in un altro paese, Acciano, vicino alla farmacia, uno dei pochi servizi per gli abitanti della zona.
A seguito del terremoto dell’Aquila del 2009, una parte del complesso del castello – fortunatamente non la parte attigua alla torre – ha subito dei danni: da allora gli edifici sono ancora puntellati ma, quando partiranno e si concluderanno i lavori, potrebbe rappresentare un’ulteriore possibilità di sviluppo.
Nel 2018 le ragazze ed i ragazzi dell’associazione Aternostrum – nata ad Acciano, nel 2010, quando nel post terremoto diversi ventenni si erano ritrovati insieme con la voglia di fare qualcosa di buono per il paese – hanno avuto l’idea di occuparsi della torre medievale di Beffi: così, dopo averla pulita e aver allestito un piccolo museo, hanno iniziato a realizzare visite guidate, permettendo agli abitanti di vedere la riapertura della torre dopo molto tempo. In quell’anno anche il Comune ha contribuito con l’organizzazione di qualche concerto nel borgo. In seguito è stata presa in gestione dall’associazione anche la torre di un paese a un paio di chilometri, Roccapreturo, una torre situata sulla parete calcarea della montagna che gode di una vista mozzafiato su tutta la valle.
Serena Della Fornace e Stefano Rispoli, coppia nella vita e in affari, si sono però resi conto che non bastava il volontariato della stessa associazione di cui facevano parte per promuovere il territorio, c’era bisogno di fare un passo in più.
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Partire o restare?
I ragazzi, dopo aver avuto diverse esperienze professionali, lui nel settore del turismo, lei nel campo della progettazione per i fondi europei, ma vivendo ancora una precarietà lavorativa, hanno deciso di mettersi in gioco e investire nella propria terra.
Qualcosa di coraggioso, forse anche folle, in un paesino di 20 abitanti che d’inverno cambia pelle e mostra la sua vera anima, fatta anche di difficoltà e solitudine. C’era però, racconta Della Fornace, un senso di responsabilità che molti ragazzi si portano dietro quando decidono se partire o restare. “Ci tenevamo – precisa Della Fornace – anche a fare qualcosa per questi luoghi, con cui abbiamo un forte legame. Abbiamo pensato: se andiamo via noi che siamo giovani, chi rimane a fare queste cose?”.
La coppia ha visto un potenziale in un luogo che tutti sapevano avere ma su cui nessuno si è mai preso la briga di lavorare. Dopo aver adeguato due piccoli locali e pulito, grazie anche ad alcuni abitanti del luogo, una parte del giardino, hanno iniziato la loro attività nel settembre 2020: un pub-ristoro che tra lo spazio interno ed esterno conta circa 25 posti e che punta su prodotti locali. Qui, per forza di cose, buona parte dell’esperienza è data dall’eccezionalità del luogo ma si è creata una sorta di reciprocità tra la coppia ed il castello, dove i benefici riescono a toccare entrambe le parti.
L’affitto esiguo dato dal fatto di trovarsi in un paese ed il tacito accordo con il Comune di Acciano, che gli ha permesso di disporre anche della parte esterna, ha rappresentato per la coppia un’opportunità di lavoro che forse in una grande città, con un affitto più oneroso, non sarebbe stata semplice cogliere. D’altronde, i due si occupano del ripristino e della manutenzione anche di altre zone di cui non usufruiscono, ripulendole da rovi e rifiuti.
L’apertura del locale ha portato poi, nonostante lo sfortunato periodo di pandemia, ad una maggiore frequentazione della zona, come punto di sosta per turisti ma anche per chi dalle città vicine viene ad esplorare il suo territorio: i punti di ristorazione nella valle e nello specifico nel Comune di Acciano si contano però sulle dita di una mano e anzi, spesso d’estate non è facile, raccontano, soddisfare tutte le richieste dei passanti. Sono diversi i bar e i ristoranti che negli ultimi anni hanno chiuso l’attività; dunque il principio di qualsiasi cambiamento è un evento: per intenderci, in zona quando apre un bar è una festa, un segno di qualcosa che rimane in piedi, seppur precariamente.
Fortunatamente tra le poche attività ricettive e di ristoro sul territorio si è instaurata una buona collaborazione, che permette di creare una minima continuità di servizi per turisti in un territorio che non ne ha, neppure per i suoi abitanti. “Sin dall’inizio – dice Della Fornace – ci siamo appoggiati a delle realtà già esistenti, per non essere completamente isolati: a Fontecchio (un comune vicino, ndr) c’è una realtà associativa più sviluppata ed è stato recentemente lanciato il progetto di gestione forestale, Foresta Modello, su cui confidiamo molto. Lo scorso anno siamo anche stati invitati e torneremo al Festival dei giovani dell’Appennino per poter conoscere ragazzi di altri paesi che si danno da fare ed inserirci in una rete”.
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Il lungo inverno
D’estate, ma per lo più ad agosto, i frequentatori del Comune di Acciano, tra chi torna nelle seconde case anche da Francia e Belgio e i turisti, sono diversi. Ad ottobre però le cose cambiano in maniera drastica: nonostante tra i colori dell’autunno la valle dia il meglio di sé, per le attività come quelle di Della Fornace è difficile anche solo restare aperte.
“Da ottobre – racconta – già si sente la differenza: girano meno persone, si riesce a lavorare solo la domenica nelle belle giornate perché la gente del posto esce poco, dunque attraendo turisti o persone di passaggio, è necessario organizzarsi sulla promozione. Apriamo quando qualche gruppo ci chiama: abbiamo provato ad aspettare che passi qualcuno e non è conveniente a livello economico”.
“Le ultime generazioni che hanno avuto un vero rapporto con il luogo – riflette – sono i più anziani: avevano terre coltivate al fiume e orti nel castello, pulivano i sentieri. Il mito della città e del lavoro ha fatto il resto. Forse però nelle persone più giovani c’è una tendenza a riscoprire questo legame, e anche a dargli un senso a livello di risorse”.
Un destino che sembra segnato quello della zona, acuito dalle restrizioni degli anni di pandemia, ma non deve per forza essere così: il castello di Beffi con la sua torre pentagonale aveva originariamente la funzione di avvistamento e difesa, in relazione alle torri di altri paesi vicini, Roccapreturo, Goriano Valli e Tione degli Abruzzi. Queste, insieme alle numerose torri del territorio aquilano, costituivano un ampio sistema di comunicazione e di difesa.
Secondo Della Fornace si potrebbe pensare ad un sentiero delle torri, cioè un percorso che colleghi le torri da poter fruire in qualsiasi stagione. Forse è poco, ma per un territorio dove l’immobilismo ha contraddistinto gli ultimi trent’anni e dove invece di andare verso una maggiore preservazione del patrimonio naturale, il Parco Sirente Velino è stato ridotto di 6.500 ettari, è già qualcosa, e calcherebbe la mano sull’identità del luogo, su una natura intesa come risorsa e non solo come un problema. Inoltre, alcuni dei paesi citati saranno inclusi a breve dal Parco Nazionale della Maiella nel Cammino di Celestino, per ripercorrere i passi del papa Celestino V verso L’Aquila, dove venne incoronato papa nel 1294: un passo concreto verso il turismo slow, l’unico che sembra davvero adatto per un posto del genere.
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È possibile un turismo sostenibile?
Una volta in un incontro pubblico, un gestore di un’attività recettiva della zona disse che era una fortuna che la valle fosse rimasta dimenticata, fuori dai riflettori: intendeva dire che questo aveva permesso in qualche modo di preservare la natura e l’assetto originale, come se le amministrazioni locali non fossero in grado di gestire la delicata bellezza del luogo. Si può essere d’accordo o meno, in molti direbbero che i borghi intesi come conservazione statica di un passato che non c’è più rivestono una sorta di feticismo verso l’autenticità, che tutti speriamo di trovare uscendo dal caos della città, ma di cui rischiamo di stancarci presto. Vivere e lavorare in piccoli paesi dove non prende neanche il cellulare, e dove i servizi essenziali sono carenti o molti distanti non è un gioco, eppure è come se alcuni abitanti, almeno per quel che concerne il Comune di Acciano, abbiano accettato queste mancanze pur di non scendere a patti con la bellezza che, temono, gli possa essere tolta. Perché sono consapevoli che in quei luoghi la natura, il paesaggio è così presente da essere tutto.
“Il fatto di ritrovarsi completamente soli – dice Serena – è una cosa che ci fa arrabbiare: non ti puoi interfacciare con nessuno o avere sostegno. A volte vediamo il lato negativo, ma è una piccola parte perché riusciamo davvero a godere della bellezza di questi luoghi: ci piace vivere nel silenzio, che per noi è un valore aggiunto. A volte alcuni posti turistici abbracciano il caos: come è avvenuto a Rocca Calascio (un castello ai piedi del Gran Sasso, ndr) o a Santo Stefano di Sessanio (un borgo dell’aquilano, ndr), dove molte persone non frequentano più questi luoghi proprio per via della confusione”.
“Quindi – prosegue – vorremo riuscire a fare il contrario di quel che si è fatto negli ultimi decenni in questi luoghi, ok il turismo ma senza un’invasione perché non ci sono strutture per accogliere troppe persone. Penso che qui non si andrà verso la massa, piuttosto ha senso concentrarsi su un turismo più lento e sostenibile, adatto ai posti più piccoli”.
L’interrogativo sulla possibile realizzazione di un vero turismo sostenibile, dunque, rimane: il rischio di cadere nella trappola di un turismo vuoto, senza prospettive, che non vada di pari passo con un miglioramento della vita dei cittadini e che in qualche modo si sostituisca alla comunità c’è e non è forse possibile eluderlo. Sarà compito, per una volta, delle istituzioni convogliare ed indirizzare le tante realtà che attivamente si stanno muovendo sul territorio abruzzese e in tutti gli Appennini, per arrivare ad assumere un’identità, una direzione che abbia prima di tutto rispetto della natura, del luogo e dei suoi abitanti.
“Non mi piace – conclude – tutta questa retorica sui borghi: anche il Pnrr che dà fondi a pioggia solo su alcuni siti. Ci dovrebbe essere un’attenzione maggiore su chi vive realmente i paesi e sui loro bisogni però in questa valle, tra le attività di Gagliano Aterno e di Fontecchio (due comuni vicini, ndr), qualcosa si sta muovendo. Nel mio piccolo cerco di interfacciarmi con il Comune e mi piacerebbe anche coinvolgerlo in questo movimento di valorizzazione dei paesi che qui ancora non è arrivato: tra qualche anno, forse, c’è un po’ di speranza”.
Un nuovo punto di ristoro dunque non è tanto, non è tutto, non è la soluzione per lo spopolamento delle aree interne e il soddisfacimento dei bisogni e dei diritti fondamentali dei suoi abitanti, ma è già qualcosa.
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