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venerdì, Novembre 15, 2024

Campagna elettorale e programmi dei partiti secondo Legambiente

Davvero la campagna elettorale è povera di contenuti sui temi ambientali? Lo abbiamo chiesto a Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente. "Le vecchie ricette non sono mai la soluzione"

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Redazione EconomiaCircolare.com

È ormai vulgata comune che la campagna elettorale, e questa in particolare che ci porterà al voto il 25 settembre per eleggere il nuovo (e dimezzato) Parlamento, sia povera di contenuti. Ma è davvero così? E quanto c’è di reale in questo assunto soprattutto sui temi che più ci stanno a cuore, vale a dire l’economia circolare, la sostenibilità, gli impatti ambientali?

Fedeli all’idea di giornalismo costruttivo che anima il nostro magazine sin dalla nostra nascita nell’ottobre del 2020, abbiamo deciso di incrociare vari punti di vista sia sul fronte dei partiti che della società civile. Insieme alle classiche interviste ai candidati e alle candidate, troverete anche le interviste alle associazioni, ambientali e sociali, che più si occupano di ecologia. È il caso di Legambiente, la storica organizzazione no-profit che da più di 40 anni si batte a tutela del Pianeta.

A rispondere alle nostre domande è Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente.

Fonte: profilo Twitter
Questa campagna elettorale e i programmi presentati dai partiti, secondo voi, hanno visto assegnare all’economia circolare un ruolo adeguato? Perché? Quali partiti si sono in particolare distinti?

I temi ambientali, tra cui l’economia circolare, e più in generale quelli relativi alla lotta alla crisi climatica, non stati assolutamente oggetto di discussione della campagna elettorale, nonostante siamo nell’anno della siccità in pianura padana già nei mesi invernali, della tragedia della Marmolada causata dallo scioglimento del ghiaccio, delle ripetute ondate di calore che faranno dell’estate del 2022 uno delle più calde della storia. Per fare economia circolare servono quei mille nuovi impianti industriali di riciclo, a partire dal centro sud, che servono a raggiungere l’obiettivo “rifiuti zero” a smaltimento. Serve semplificare l’iter tortuoso di approvazione dei decreti end of waste, serve penalizzare economicamente lo smaltimento in discarica molto di più di quanto si faccia oggi e applicare l’obbligo di tariffazione puntuale su tutto il territorio nazionale. Qualcuno ne ha sentito parlare in queste settimane?

Le misure proposte per la progressiva riduzione delle forniture di gas russo (ad esempio i rigassificatori), sono un realistico compromesso tra l’urgenza del bisogno di energia e i tempi fisiologici del passaggio alle rinnovabili? O vengono usati dai partiti come occasione per prolungare lo status quo?

È ovvio che in una situazione di criticità, come quella legata alle speculazioni e al conflitto tra Russia e Ucraina, bisogna agire con misure emergenziali ma temporanee finalizzate al raggiungimento della messa in sicurezza. Ma affianco a queste sono necessarie azioni strutturali in grado di risolvere il problema alla radice. E il problema alla radice è che il nostro Paese è troppo dipendente dall’estero per approvvigionarsi delle fonti necessarie alla produzione energetica di cui abbiamo bisogno. Che si parli di gas, carbone o petrolio non cambia. Non siamo un Paese ricco di idrocarburi ma su questi abbiamo basato il nostro sistema energetico. Quindi non basteranno due rigassificatori a risolvere il problema di dipendenza italiano, così come stando ai tempi di realizzazione non serviranno neanche ad affrontare l’emergenza legata ai prezzi. Tutte le stime e tutti gli studi continuano a parlare di prezzi oltre i 200 euro a megawatt all’ora (MWh) per i prossimi anni. La beffa è che, come dichiarano le stesse aziende, siamo in grado di realizzare 20 gigawatt di rinnovabili l’anno. Raggiungendo in poco tempo non solo l’indipendenza dalla Russia, ma anche da tutti gli altri Paesi. Viene da sé che la politica che sceglie di sostenere il gas vuole difendere uno status che farà solo male al Paese, ma molto bene al solito settore oil&gas.

Il nucleare può essere una soluzione?

Le vecchie ricette non sono mai una soluzione. Se iniziassimo a costruire una centrale nucleare domani non avremmo il primo kWh prodotto prima di 10/15 anni nella migliore delle ipotesi. Quindi non può certamente considerarsi una soluzione a una situazione di emergenza. Peggio se parliamo di nucleare sicuro. Ad oggi, una chimera che forse vedrà la luce tra almeno 20 anni. È evidente quindi come anche solo parlare di nucleare è una perdita di tempo in questo momento. Giusto continuare a fare ricerca, ma per combattere la crisi energetica abbiamo bisogno di soluzioni pronte oggi. E le rinnovabili lo sono!

Restiamo ancora sulla crisi energetica: le misure indicate dai partiti in questa campagna elettorale a favore dell’efficienza sono, secondo voi, adeguate? Vi convince il piano di riduzione dei consumi indicato dal governo, che spinge sulla sensibilizzazione dei singoli senza indicare misure coercitive?

Ci sono programmi in cui la parola efficienza viene scritta due sole volte, e neanche legata all’edilizia o più in generale al tema energetico. Un tema tanto importante, anche per ridurre la dipendenza dal gas, tanto quanto sottovalutato. Concordi con la stabilizzazione del superbonus e con una sua revisione. Ma poi, come hanno dimostrato in questi anni, bisogna vedere quali saranno le azioni concrete per valorizzare l’unico incentivo che ha saputo mettere in moto tanti cantieri, molti dei quali oggi bloccati, mettendo insieme lavoro, ambiente, crisi climatica e qualità della vita.

Secondo voi le misure previste dai partiti per la transizione ecologica tengono in giusto conto anche la giustizia sociale e la difesa dei soggetti più deboli? Cosa bisognerebbe fare in tal senso?

Quello che oggi sembra difficile comprendere alla politica è che il tema energetico, che ricordiamo essere la voce di spesa più rilevante per una famiglia o un’impresa, oggi, finalmente, può svolgere un ruolo di welfare strutturale a costo quasi zero per lo Stato. È scontato che qualsiasi modifica, cambiamento richieda un investimento, ma investire oggi in efficienza e produzione da FER (fonti energetiche rinnovabili, nda) non è solo una questione di kilowattora. Basterebbe poco a volte. Ci sono diverse soluzioni che vengono proposte nei programmi, molte delle quali richiedono un investimento o una spesa. Oggi, se davvero vogliamo aiutare famiglie e imprese e ridurre fino, volendo ad azzerare, le spese energetiche basterebbe, ad esempio, difendere due strumenti che già abbiamo. Il superbonus che come dicevamo viene richiamato nei programmi, rendendolo strutturale e con premialità collegate a reddito e risultati e le comunità energetiche, dove si è appena avviata la consultazione con ARERA per i provvedimenti attuativi dei decreti legislativi sull’autoconsumo, con un ritardo di 5 mesi che andrà ad aumentare vista la proroga di quasi 20 giorni per la scadenza delle osservazioni e dove accumuliamo un ritardo di oltre due mesi per gli incentivi che dovrebbe emanare il Ministero della Transizione Ecologica. Ritardi gravi che non permettono a famiglie, condomini e terzo settore né di fare investimenti né di poter attivare meccanismi che potrebbero arrivare a ridurre le bollette di percentuali davvero importanti. Come dimostrano le esperienze già attive in tutto il nostro Paese.

Leggi anche: Campagna elettorale e programmi dei partiti secondo il Forum Disuguaglianze e Diversità

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