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domenica, Dicembre 22, 2024

La cattura e stoccaggio di carbonio sta fallendo: lo dicono i risultati

Progetti interrotti in corso d’opera e prestazioni inferiori alle aspettative: la cattura e stoccaggio del carbonio non può essere la soluzione per il clima. E anzi rischia di peggiorare le cose, se la tecnologia viene utilizzata dai colossi petroliferi per estrarre più combustibili fossili. Ecco lo studio

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

La cattura e stoccaggio del carbonio per il momento non solo dimostra di non essere una tecnologia in grado di rappresentare una svolta nel limitare le emissioni di anidride carbonica e il riscaldamento globale, ma neppure lascia intravedere segnali incoraggianti. Queste sono le “lezioni” del documento The Carbon Capture Crux – Lessons Learned, recentemente pubblicato dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), una organizzazione non governativa statunitense, cioè di una delle nazioni dove più si punta su questa nuova tecnologia. E non è un caso che a investirci siano proprio gli Stati Uniti, dove hanno sede alcune delle più importanti multinazionali nell’estrazione di combustibili fossili.

Il principale problema della cattura e stoccaggio di carbonio non è la tecnologia in sé, quanto l’utilizzo che se ne vuol fare. Perché se tutto andasse come ipotizzato teoricamente, potrebbe essere una freccia in più nell’arco delle politiche da attuare per contrastare il riscaldamento globale. Non però se viene applicata per continuare a rilasciare carbonio nell’atmosfera, con la scusa di limitare i danni grazie allo stoccaggio di CO2 sottoterra, come vorrebbero le compagnie petroliferie e persino molti governi. Una rincorsa il cui esito è evidente e dannoso per il Pianeta: continuare a inquinare senza ridurre realmente la CO2 in circolazione.

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Scarse performance nella maggior parte dei casi

Quanto detto sopra varebbe soprattutto se la ccs, l’acronimo con cui nota la cattura e lo stoccaggio di carbonio,  fosse una tecnologia già avviata e con risultati tangibili. La realtà, però, è un’altra. “I governi nazionali si affidano alla cattura del carbonio nel settore dei combustibili fossili per arrivare all’obiettivo emissioni zero, e semplicemente non funzionerà” afferma l’autore dello studio, Bruce Robertson. Per il semplice fatto che molti progetti hanno fallito e continuano a fallire: “I dati complessivi indicano un quadro finanziario, tecnico e di riduzione delle emissioni che continua a sovrastimare gli obiettivi e sottostimare i risultati”.

Nel dettaglio, dei 13 progetti di punta su larga scala di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS) nei settori del gas, dell’energia e dell’industria studiati dall’IEEFA, “sette hanno avuto prestazioni inferiori alle previsioni, due sono stati un fallimento totale e uno è stato sospeso”. L’analisi è piuttosto impietosa, considerando che i 13 progetti coprono il 55% della capacità di cattura e stoccaggio di carbonio al mondo. Il progetto Shute Creek negli Stati Uniti ha registrato una capacità di cattura del carbonio inferiore di circa il 36% per tutta la durata dell’esperimento, Boundary Dam in Canada di circa il 50% e il progetto Gorgon, al largo delle coste dell’Australia occidentale, di circa il 50% nei suoi primi cinque anni.

Nel settore energetico addirittura quasi il 90% della capacità di stoccaggio stimata non è stata raggiunta o in fase di attuazione o perché i progetti sono stati sospesi in anticipo: tra questi, il progetto Petra Nova e la centrale di gassificazione del carbone di Kemper negli Stati Uniti. Performance così basse difficilmente si conciliano con l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% prospettato dall’industria con l’impiego della cattura e stoccaggio del carbonio. Mentre secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) la capacità annuale di cattura del carbonio dovrebbe aumentare a 1,6 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2030 per allinearsi con un percorso di “zero emissioni nette” entro il 2050: un traguardo allo stato attuale irraggiungibile.

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Costi lievitati negli anni e problemi tecnici e di sicurezza

A fronte di risultati deludenti, i costi sono lievitati nel tempo a causa di guasti e ritardi. Il progetto Kemper venne approvato nel 2010 dallo Stato del Mississippi con un costo stimato di 2,9 miliardi di dollari per diventare operativo nel 2014. I costi in quattro anni sono cresciuti del 250%, arrivando a 7,5 miliardi di dollari. Per realizzare il progetto a Shute Creek, nel Wyoming, ai 170 milioni di dollari iniziali sono stati aggiunti altri 86 milioni di dollari nel 2010 e nel febbraio 2022 ExxonMobil ha deciso di espandere ulteriormente la capacità di cattura di carbonio investendo altri 400 milioni di dollari: i primi risultati sono attesi nel 2025.

Il sistema di cattura e stoccaggio di carbonio nell’impianto di gas liquefatto di Gorgon, in Australia, ha cominciato a lavorare tre anni e mezzo dopo l’entrata in funzione dell’impianto stesso, a causa di numerosi problemi tecnici: sono state individuate perdite nei tubi, valvole corrose e un eccesso di acqua nelle tubature che dalla centrale portano al sito di stoccaggio, con un potenziale rischio di corrosione. Tanto da spingere gli enti regolatori australiani a ordinare la diminuzione del volume di carbonio catturato per ragioni di sicurezza.

Incidenti che indicano un problema più generale, legato alla sicurezza. “Trovare siti di stoccaggio adeguati vicino agli impianti e mantenerli – si legge nel report – è un’altra una sfida importante: la CO2 intrappolata nel sottosuolo deve essere monitorata per secoli per garantire che non ritorni nell’atmosfera e dovranno essere messi a punto meccanismi di compensazione in caso di guasto”. Ad esempio nel sito di Weyburn, in Canada, le perdite di CO2 individuate non erano legate al procedimento di iniezione del carbonio nel sottosuolo, ma si trattava di CO2 originata da processi biologici del suolo in cui era stato costruito il sito di stoccaggio.

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Non si impara dalle lezioni del passato

Insomma, mancano i dati oggettivi per sostenere sia indispensabile investire in questa tecnologia, ma si continua a “ignorare le lezioni del passato”. Perché la tecnologia di cattura del carbonio non è nuova e non ha mai rappresentato una soluzione climatica. “La CCS è in circolazione da decenni, principalmente nell’industria petrolifera, attraverso il recupero avanzato del petrolio. Circa l’80-90% di tutto il carbonio catturato nel settore del gas viene utilizzato per questo scopo, eppure a sua volta porta a maggiori emissioni di CO2”, afferma Robertson.

In pratica, dei 39 milioni di tonnellate di CO2 catturati ogni anno dagli impianti di CCUS, circa 28 milioni di tonnellate sono indirettamente reimmessi nell’atmosfera: il carbonio sequestrato nei giacimenti petroliferi, infatti, migliora il recupero di petrolio stesso, di fatto permettendo di estrarre dal suolo più idrocarburi. Se non fosse per questo scopo, gli investimenti multimiliardari apparirebbero, quantomeno, discutibili.

Non è un caso se l’unica tecnologia ad essere diffusamente utilizzata è proprio la CCUS applicata all’estrazione dei combustibili fossili e due dei progetti di maggior successo – Sleipner e Snøhvit – sono nel settore del gas e in Norvegia. “Ciò è dovuto principalmente al contesto normativo unico della nazione, favorevole per le compagnie petrolifere e del gas”, fa notare l’autore dello studio.

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Quindi non c’è futuro per la cattura e stoccaggio di carbonio?

Lo studio dall’IEEFA non esclude, come sostengono anche molti altri esperti con una posizione laica sulla cattura e stoccaggio di carbonio, che questa tecnologia possa avere un ruolo in settori inquinanti e con emissioni difficili da abbattere, come i cementifici, le acciaierie e nella produzione di fertilizzanti. Una soluzione “parziale e temporanea” per contribuire a raggiungere l’obiettivo di “emissioni nette zero”: ma di sicuro non è una soluzione climatica.

Invece, per la smania di avere una via d’uscita politicamente facile da far digerire all’opinione pubblica, nonostante gli investimenti non diano i frutti sperati, i governi dei Paesi occidentali si lanciano in annunci trionfalistici. Come l’Australia, “nella posizione ideale per diventare un leader mondiale in questo settore emergente” che “ha un ruolo vitale da svolgere per aiutare il Paese a raggiungere i suoi obiettivi di emissioni nette zero”. Facili da digerire in apparenza, peraltro, perché spesso la responsabilità del progetti è ricaduta sui contribuenti a causa dei forti investimenti pubblici.

Per questo, conclude il rapporto, anche nel caso in cui si decida di investire in ricerca nel settore della cattura e stoccaggio del carbonio, “le grandi compagnie petrolifere e del gas che beneficiano di questa tecnologia devono essere responsabili per eventuali guasti/perdite e costi di monitoraggio dei progetti”. E, soprattutto, “i progetti di cattura del carbonio non devono promuovere un maggiore recupero del petrolio” e il ccs “non deve essere utilizzato dai governi per dare il via libera o prolungare la vita di qualsiasi tipo di risorsa a combustibili fossili”. Il greenwashing, altrimenti, è dietro l’angolo.

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