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sabato, Novembre 30, 2024

È più sostenibile l’imballaggio riciclabile o quello riutilizzabile? Dipende. Lo studio dell’UNEP

Meglio gli imballaggi monouso o quelli riutilizzabili? Quelli in carta sono più sostenibili di quelli in plastica monouso o no? Uno studio dell’UNEP ci aiuta a capire che una soluzione passepartout non esiste. Ma delle priorità sì

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Le recenti polemiche sulla proposta di regolamento su imballaggi e rifiuti da imballaggio presentata dalla Commissione europea hanno innescato una discussione, finora lontanissima dei riflettori nel nostro Paese, sugli imballaggi riutilizzabili. Si fronteggiano due punti di vista: il punto di vista della Commissione, che spinge per la riduzione dei rifiuti e il riutilizzo degli imballaggi, oltre che per il loro riciclo, perché ritenuti più sostenibili (e d’altra parte ridurre, riutilizzare, e riciclare sono, in questo ordine, le prime tre R della gerarchia dei rifiuti e dell’economia circolare). Punto di vista criticato da parte delle imprese italiane del riciclo (e dal governo) e accusato di avere invece come effetto proprio la sterilizzazione dell’economia circolare nazionale.

Ma allora, qual è l’imballaggio veramente sostenibile? Dipende. Dipende da tanti fattori: dal contesto della filiera del riciclo nel quale l’imballaggio viene utilizzato; dalla maturità delle politiche a sostengo del riciclo e del riuso e dalla disponibilità dei consumatori ad una gestione più attenta degli imballaggi e dei rifiuti che ne derivano; dalla quantità di materia prima seconda utilizzata per realizzare l’imballaggio e dai chilometri che la logistica del riutilizzo deve percorrere.

La metanalisi dell’UNEP sulle LCA: le alternative alla plastica monouso negli imballaggi alimentari

Insomma, anche in questo caso, come ogni volta che si parla di sostenibilità, non c’è una soluzione semplice, non basta uno slogan per dipanare la questione. E anche la scelta che appare preferibile, sulla quale istintivamente verrebbe di puntare, può rilevarsi meno sostenibile di altre. Ad aiutarci a fare un passo in avanti verso la comprensione della questione è arrivato, ad ottobre di quest’anno, un documento dello United Nations Environment Programme (UNEP) elaborato nel nell’ambito della Life Cycle Initiative: “Single-use supermarket food packaging and its alternatives: Recommendations from life cycle Assessments”: “Una meta-analisi delle valutazioni del ciclo di vita che traccia raccomandazioni per i responsabili politici e i professionisti dell’LCA sulle soluzioni di imballaggio con il minor impatto ambientale per gli alimenti dei supermercati”.

Grazie all’LCA (Life Cycle Assessment, metodologia di analisi che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio lungo l’intero ciclo di vita) il rapporto confronta gli impatti ambientali degli imballaggi in plastica monouso rispetto alle opzioni alternative per alimenti da supermercato. “L’imballaggio alimentare – spiega l’UNEP – è ben rappresentato nella letteratura LCA. Questa meta-analisi si concentra sui recenti (pubblicati negli ultimi 10 anni) studi LCA comparativi che considerano alternative agli imballaggi in plastica monouso”. Dei circa 95 studi identificati in letteratura ne sono stati approfonditi 33. L’analisi ha raggruppato gli alimenti in tre tipologie: prodotti refrigerati, prodotti freschi e prodotti in scatola a lunga conservazione.

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Qualche dato di contesto sugli imballaggi in plastica

L’OCSE ci fa sapere che gli imballaggi rappresentano il 31% della domanda globale di plastica. Se, come fa l’UNEP, prendiamo ad esempio il mercato nordamericano, gli imballaggi in plastica coprono il 43% della quota di mercato dei contenitori rigidi (vaschette, vassoi, barattoli, bottiglie non per bevande, fusti ecc.), il 67% degli imballaggi flessibili (buste, involucri, sacchetti, teli, ecc.), 72% di tappi e chiusure e 100% di film (dati Franklin Associates). La stragrande maggioranza degli imballaggi in plastica è monouso, con il 40% dei rifiuti di plastica globali costituiti proprio da imballaggi (OCSE). Restando ai rifiuti, UNEP ricorda anche che le plastiche flessibili e multistrato rappresentano una “quota sproporzionata” di inquinamento da plastica, pari all’80% della plastica dispersa negli oceani (The Pew Charitable Trusts e Systemiq).

Secondo World Forum economico e Fondazione Ellen MacArthur, se mantenessimo gli attuali approcci di design degli imballaggi, il 30% della plastica da imballaggio non sarà mai riutilizzato o riciclato.

I risultati. La carne

Il quadro che emerge dalla metanalisi(analisi che combinare i dati di più studi condotti su di uno stesso argomento) è caratterizzato da grande complessità, come abbiamo anticipato. Non esiste una soluzione buona in ogni occasione, prodotto, contesto.

Ecco allora che per alimenti come la carne, la cui produzione è associata ad alti impatti ambientali, l’UNEP raccomanda che l’imballaggio dovrebbe dare “la priorità alla minimizzazione degli sprechi alimentari”. Infatti, le LCA sugli imballaggi di carne, sottolineano i ricercatori, mostrano chiaramente che il contributo maggiore all’impatto ambientale è lo spreco alimentare, “con gli impatti degli imballaggi in gran parte trascurabili”. Dunque si dovranno privilegiare imballaggi che prolungano la durata e riducono lo spreco alimentare anche quando sono associati a maggiori danni sull’ambientali. Un peso determinante, poi, a parità di tecnologia, lo avranno i consumi dei consumatori: “Non è sufficiente dimostrare le proprietà tecniche superiori dell’imballaggio per renderlo migliore. Il comportamento e le preferenze dei consumatori sono identificati da molti studi come un fattore determinante per lo spreco alimentare”.

Dove sussistono buoni sistemi raccolta e gestione dei rifiuti, spiega l’UNEP, l’uso di plastica biobased e compostabile può essere un aspetto positivo perché favorisce lo smaltimento congiunto del cibo non consumato e del packaging. Altro elemento positivo, una volta garantito quanto già illustrato, è la riduzione dell’imballaggio, sempre a patto che non alimenti gli sprechi.

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Gli altri alimenti

Diverso il discorso per gli imballaggi utilizzati per tutti gli altri cibi. I latticini, ad esempio, per i quali “gli impatti ambientali legati alla produzione sono paragonabili a quelli legati agli imballaggi”: adora mancano quindi chiare raccomandazioni dalle valutazioni del ciclo di vita. Per questo il programma ambientale dell’ONU raccomanda “Imballaggio selezionato per ridurre al minimo lo spreco alimentare o ridurre i materiali di imballaggio (comprese le opzioni riutilizzabili)”, a seconda di quale delle opzioni offra maggiori benefici nel caso specifico. In questo caso sia la riduzione dei rifiuti alimentari che quella dei materiale di imballaggio “sono entrambi fattori importanti”.

Esclusa la carne, “ovunque il tipo di cibo lo consenta, questo dovrebbe essere venduto non imballato o in imballaggi riutilizzabili: questo è quasi sempre ambientalmente preferibile alla confezione monouso”. Infatti, per gli alimenti la cui produzione ha a un più basso impatto ambientale, “l’imballaggio dovrebbe essere ridotto al minimo: dovrebbe essere eliminato o progettato per essere riutilizzabile ovunque fattibile”. “Ovunque fattibile” vale a dire “ovunque gli impatti delle perdite alimentari e/o le operazioni logistiche non sono superiori agli impatti dell’imballaggio”.

UNEP ricorda ad esempio come le LCA sugli imballaggi dei prodotti freschi mostrano che significativi vantaggi ambientali possono essere ottenuti con imballaggi per il trasporto riutilizzabili, “che possono essere impiegati anche nell’esposizione al dettaglio dei prodotti, eliminando così la necessità di una confezione destinata al consumatore”. Per questo, sottolinea l’UNEP, “dovranno essere trovate soluzioni per riconfigurare le catene di approvvigionamento e il retail, con l’obiettivo di rendere facile e conveniente per le persone acquistare prodotti sfusi”. Infatti,

Nel caso dei prodotti a lunga conservazione, deve essere sempre la minimizzazione o l’eliminazione dell’imballaggio a guidare la scelta (“l’imballaggio dovrebbe essere ridotto al minimo/evitato/ricaricabile/restituibile”). UNEP distingue diverse opzioni di contesto per fare la valutazione migliore. Per i prodotti a lunga conservazione, in contesti con legislazioni e consumatori favorevoli, sono da preferire imballaggi riutilizzabili dove i sistemi di gestione dei rifiuti non siano efficienti; dove invece lo sono si può scegliere il riutilizzo efficiente (logistica adeguata e alto numero di riutilizzi) o l’usa e getta con imballaggi ad alto contenuto riciclato.

Per i prodotti secchi , nel caso di sistemi di gestione inadeguati, la scelta dovrebbe ricadere sullo sfuso gestito con imballaggi di trasporto riutilizzabili (casse in plastica), che in questo contesto risultano più efficiente degli imballaggi monouso. Nel caso invece di sistemi più efficienti di gestione dei rifiuti, vince ancora lo sfuso ma il trasporto verso il retail può avvenire o con imballaggi riutilizzabili o con cartoni ad alto contenuto di materia riciclata.

La sostituzione della plastica monouso

L’UNEP boccia la soluzione ‘facile’ della sostituzione del monouso in plastica col monouso di altro materiale, “che nella maggior parte dei casi non rappresenta una soluzione”. Infatti le LCA degli imballaggi monouso, leggiamo nel documento, “tendono a mostrare che le materie plastiche hanno gli impatti più bassi, principalmente grazie al loro peso ridotto rispetto ad altri materiali”. Le sostituzioni con cartone, vetro, acciaio o alluminio tendono a mostrare “impatti più elevati, oppure nella migliore delle ipotesi, un compromesso tra diversi impatti”.

È importante aumentare la raccolta e il tasso di riciclaggio dei rifiuti per migliorare la sostenibilità degli imballaggi. Maggiore contenuto riciclato nei materiali di imballaggio ne riduce gli impatti ambientali.

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Le raccomandazioni

“Gli attuali ambienti legislativi – sottolinea l’UNEP – tendono a favorire i sistemi di imballaggio monouso. Creare condizioni di parità è quindi essenziale per la diffusione di sistemi di imballaggio riutilizzabili”. Da questo punto di vista, alcune misure possono fare la differenza:

  • Misure economiche che aiutano a rimuovere le barriere del mercato per i sistemi di imballaggio riutilizzabili, ad esempio agendo sulle tasse su rifiuti di imballaggio;
  • Norme per l’imballaggio alimentare che affrontino l’over-packaging e richiedono un migliore design;
  • Legislazione sulla responsabilità estesa del produttore (EPR), che dovrebbe includere misure concrete di stimolo al riutilizzo, ad es. obiettivi da raggiungere, cosa che “manca nella maggior parte dei Paesi che hanno implementato l’EPR”.

Le raccomandazioni per gli imballaggi riutilizzabili

Dal programma ONU per l’ambiente arrivano raccomandazioni anche per i sistemi di imballaggi riutilizzabili, delineando un perimetro all’interno del quale sono più sostenibili di altre soluzioni:

  • E’ necessario considerare l’intero sistema di confezionamento quando si scelgono imballaggi riutilizzabili. Lo sfuso rivolto al consumatore non è necessariamente la migliore soluzione ambientale “a meno che l’imballaggio utilizzato nella distribuzione del prodotto sfuso verso il punto vendita sia notevolmente più efficiente dal punto di vista dei materiali rispetto al tradizionale imballaggio monouso”. Imballaggi a rendere e imballaggi riutilizzabili per il trasporto (ad esempio le casse) possono essere un’opzione inadatta quando la reverse logistics è inefficiente; quando le distanze percorse per il trasporto durante la raccolta e la ridistribuzione delle casse sono elevate; quando il numero di riutilizzi è basso e i requisiti di lavaggio/igienizzazione sono molto elevati (o eseguiti in modo inefficiente);
  • Gli impianti di lavaggio/distribuzione degli imballaggi riutilizzabili diffusi sul territorio sono preferibili ad un unico impianto centralizzato: questo minimizza la distanza media del trasporto e quindi le emissioni. I meccanismi di pooling in cui diverse aziende condividono la stessa risorsa per ottimizzare operazioni e costi possono essere utili per raggiungere questo obiettivo;
  • Promuovere l’uso di energia rinnovabile nel lavaggio e negli impianti di ricondizionamento;
  • Incoraggiare la standardizzazione degli imballaggi, poiché questo facilita i sistemi di pooling e deposito su cauzione (un’azienda/cliente “affitta” anziché possedere la confezione). Sia il pooling che gli schemi di deposito su cauzione “si sono dimostrati altamente efficaci nell’aumentare i tassi di restituzione degli imballaggi riutilizzabili e ridurre le emissioni (attraverso una migliore logistica)”;
  • Per i sistemi di imballaggio alimentare riutilizzabili si dovrebbero garantire prezzi competitivi rispetto a quelli monouso, sia per il retailer che per il consumatore. Questo è possibile garantendo premi al rivenditore che sceglie questa opzioni, e attraverso una legislazione che assicuri i giusti incentivi economici (ad esempio agevolazioni fiscali sui prodotti venduti in confezioni riutilizzabili).

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Le raccomandazioni per gli imballaggi in plastica monouso

Laddove il monouso in plastica sia preferibile, l’UNEP fornisce raccomandazioni anche per renderlo più sostenibili:

  • I tassi di raccolta e riciclaggio devono essere “drasticamente” migliorati. E deve aumentare la quantità di materia prima seconda negli imballaggi;
  • Per ottenere questo risultato, l’imballaggio deve essere progettato per essere riciclato. Tra la soluzioni indicate, ad esempio, il passaggio al monomateriale; evitare materiali multistrato e compositi; evitare coloranti, pigmenti e altri additivi che possono compromettere il riciclo; evitare polimeri che sono difficili da riciclare o per i quali mancano infrastrutture per il riciclaggio;
  • Nel caso di imballaggi alimentari contaminati dal loro contenuto, l’UNEP ricorda che l’uso di plastiche biobased e biodegradabili potrebbe essere la giusta soluzione (a patto che si garantisca una corretta gestione dei rifiuti evitando la contaminazione incrociata coi rifiuti in plastica tradizionale).
  • L’ecodesign ha sempre un ruolo centrale. Infatti un design di imballaggio non efficiente provoca impatti indiretti come la difficoltà ad estrarre l’intero contenuto alimentare della confezione (con la conseguenza di un maggiore spreco di cibo). In casi come questo si corre il rischio che tutti i benefici garantiti dalla qualità ambientale dei materiali vengano ribaltati dagli impatti ambientali del cibo sprecato (su questo tema, sottolinea UNEP, non ci sono sufficienti studi LCA).

© Riproduzione riservata

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