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venerdì, Novembre 15, 2024

Macchina da caffè con capsule. È davvero il regalo migliore?

Rifiuti, emissioni e consumo di energia. La macchina da caffè con capsule è davvero meglio della buona vecchia moka?

Anche quest’anno tra i regali di Natale più gettonati c’è la macchina da caffè per uso domestico. L’offerta è ampia e diversificata e porta con sé un altro importante business: quello delle capsule, il cui utilizzo ormai è pervasivo in Europa e in Nord America e inizia a farsi largo anche sul mercato asiatico. Quasi la metà degli statunitensi ha una macchina da caffè con capsule o cialde in casa e si stima che nel 2025 il giro d’affari globale dei vari tipi di capsule si aggirerà intorno ai 30 miliardi di euro. Anche in Italia la moka sembra cedere il passo alla “moda” del caffè monoporzione, che ha conquistato il 40% circa delle famiglie portando nelle case circa 1,5 miliardi di capsule l’anno.

Macchina da caffè con capsule: un’autostrada di rifiuti

Le stime parlano già oggi di un quantitativo di rifiuti da capsule equivalente a una fila di 28.800 tir da 20 tonnellate, per un totale di circa 576.000 tonnellate. Ciò senza tener conto degli imballaggi nei quali queste capsule vengono trasportate e commercializzate. Giorno dopo giorno scopriamo nuove iniziative per ridurre questo impatto, dalle capsule monomateriale più facilmente riciclabili alle cialde compostabili, fino a quelle svuotabili e riutilizzabili. Ma prima di pensare a come ridimensionare il peso di questa scelta di consumo sull’ambiente ha senso porsi qualche domanda. C’era davvero bisogno di tante macchine da caffè con capsule nelle nostre case e uffici? Soddisfano davvero un bisogno così impellente e insostituibile? E soprattutto, il costo decisamente più elevato di questa scelta è giustificato da una effettiva comodità e rapidità di utilizzo?

Quanto al bilancio ambientale, probabilmente questo è uno dei pochi casi in cui per decidere quale sia la migliore delle opzioni disponibile non serve un’analisi LCA. Da una parte – pensando al mercato italiano ma non solo – c’è la buona vecchia moka, con una durata media di 5-6 anni (che con una corretta manutenzione possono diventare anche 10), una riciclabilità pressoché totale (a fine vita va tolta soltanto la guarnizione prima di conferirla nel contenitore del metallo, perché il manico di bachelite viene separato negli impianti) e la ricarica che necessita di pochi secondi e un cucchiaino. Dall’altra, invece, c’è un elettrodomestico fatto di plastica, metalli e componenti elettriche ed elettroniche, che a fine vita va portato all’isola ecologica o a un rivenditore, ma soprattutto che porta con sé un’enorme quantità di rifiuti di plastica o alluminio (se si opta per le capsule usa e getta non biodegradabili) e altri imballaggi.

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Capsule e cialde: un’esperienza di consumo spinta dalla pubblicità

La capsula o cialda monouso resta in ogni caso un’opzione sempre più diffusa: tanti consumatori acquistano una macchina da caffè espresso domestica perché in pochi secondi possono avere una tazzina di espresso cremoso e fumante “come al bar”, senza dover “caricare” la moka e magari rischiare di bruciare il caffè, se si passa a fare altro dopo aver acceso il fornello. A questo si è aggiunto il battage dei grandi brand, che hanno reso questo consumo un’esperienza di consumo fatta di pubblicità, confezioni luccicanti, store dedicati, decine di gusti e varianti tra le quali scegliere. Non è un caso se nel 2021, stando al report “Cialde e Capsule” 2022 di Competitive Data, la cosiddetta “area famiglie” abbia fatto registrare in Italia un aumento del 13,6% del volume di vendite di cialde e capsule. Secondo il report, aumenterebbe anche l’attenzione alla sostenibilità da parte dei produttori che, come accade anche in altri settori, provano ad aggiustare il rito nel tentativo di tenere a bada le polemiche sull’eccessiva produzione di rifiuti. Scaricando sui consumatori la responsabilità di contribuire al corretto smaltimento di un rifiuto che non hanno scelto loro di produrre.

La corsa a ridimensionare il peso dei rifiuti sull’ambiente

È così che si tenta di produrre capsule svuotabili dopo l’uso ricorrendo a un solo materiale e non più al mix di plastica (per la vaschetta) e alluminio (per il coperchio da staccare) e si suggerisce al consumatore di mettere il caffè usato nel bidoncino dell’organico e di conferire il contenitore svuotato nella relativa frazione, spesso chiedendo però di controllare le indicazioni del Comune di residenza. A questo proposito c’è anche chi ha pensato di facilitare il lavoro del consumatore mettendo a punto un “apri capsule” domestico: si chiama Re-fè e con una semplice pressione separa la capsula di alluminio dal caffè contenuto all’interno. A questo punto però viene da chiedersi: la nostra macchina per il caffè domestica non ci doveva far risparmiare tempo? E inoltre: se si deve perder tempo a separare il caffè dall’involucro in plastica o alluminio è decisamente più conveniente ricorrere a una capsula riutilizzabile, dal momento che si può riempire con qualunque miscela e il costo del caffè è di gran lunga inferiore rispetto a quello in capsula.

Alcuni marchi, invece, ritirano le capsule esauste e pensano loro a separare il caffè (che viene avviato a progetti di produzione di compost) dalla capsula di alluminio, che trova una sua seconda vita con il riciclo. L’idea in questo caso è che si lascino le vecchie capsule al negozio dove si acquistano quelle nuove.  Il quantitativo di capsule recuperate grazie a questi progetti è in costante crescita, ma va detto che parallelamente aumenta anche l’immesso al consumo e aumentano gli acquisti on line. Inoltre, non è ancora chiaro se con l’aumento del ricorso alle capsule compatibili sia possibile tracciare con precisione questi flussi, così diventa difficile stabilire davvero quanto alluminio e quanta plastica si recuperino rispetto al totale delle capsule che entrano nelle nostre case e quanto invece finisca in inceneritori e discariche.

Cialde biodegradabili e compostabili: carta e polimeri per ridurre l’impatto

Un’opzione proposta dal mercato è quella delle cialde biodegradabili in carta di vari tipi: nessuno sforzo per separare contenitore e contenuto in caffè e la possibilità di conferirle nella frazione dell’organico con un solo gesto, esattamente come avviene per tè e tisane. Ma l’ultima invenzione in materia di monodose “disimballato” arriva dalla Svizzera: si chiama CoffeeB e consiste in una piccola sfera di caffè pressato avvolto in un sottilissimo film ottenuto da polimeri di alghe. Per utilizzare queste palline, che hanno lo stesso prezzo medio delle capsule, bisogna per ora acquistare necessariamente la macchina da caffè del relativo marchio. Queste cialde polimeriche hanno poi il vantaggio di contenere meno caffè delle capsule, perché completamente attraversate dall’acqua, dunque basta un quantitativo minore per preparare un caffè. Ma a questo punto perché non preferire una macchina domestica che utilizza caffè macinato o macina i chicchi al momento ed evita ogni tipo di imballaggio? Tra i prototipi più recenti di questa tipologia di macchine ce n’è una che promette di essere facilmente smontabile e riparabile, con la possibilità di stampare in 3D i pezzi di ricambio. L’ha progettata il designer Thomas Mair e si chiama Kara: la sua manutenzione è molto intuitiva e se non bastasse ci sono scritte e Qr code ad aiutare nella riparazione.


Carbon footprint: la sfida tra moka e macchina da caffè con capsule

Post scriptum. Un confronto scientifico tra moka e macchinetta del caffè con capsule esiste. Lo scorso anno è stata pubblicata una ricerca comparativa condotta da ricercatori dell’Università della Tuscia e dell’Università della Calabria, intitolata “Impronta di carbonio dei diversi metodi di preparazione del caffè”. Utilizzando il metodo di valutazione standard PAS 2050 (PAS sta per Publicly Available Specification), i ricercatori hanno valutato l’impronta carbonica (carbon footprint in inglese) di una tazzina di caffè da 40 ml preparata con diversi metodi, tra cui una moka da 3 tazze e tre macchine da caffè monodose, e confezioni di differenti formati.

Qual è stato l’esito? Produrre una tazzina di caffè con la moka a induzione ha generato 45-57 grammi di anidride carbonica (CO2) mentre con la moka a gas i grammi di CO2 emessi sono saliti a 47-59. La macchina per il caffè espresso è invece quella con le emissioni più elevate: 74-96 grammi di CO2, seguita da quella con le cialde (72-92 grammi) e da quella con le capsule (57-73 grammi). Su queste ultime però vanno fatte due precisazioni: la prima è che lo studio considera che capsule e cialde finiscano incenerite o in discarica, la seconda è che il bilancio delle emissioni aumenta considerevolmente se si considera il ciclo di produzione e di smaltimento delle cialde e delle capsule. La moka a induzione, che peraltro si spegne in automatico evitando di bruciare il caffè, vince dunque in termini di emissioni. Ma la nostra tazzina di caffè, se preparata con la moka, consuma anche meno energia elettrica della tazzina preparata con la macchina da caffè a cialde (6,8 Wattora contro 12) e capsule (8,5 Wattora). E quanto agli imballaggi, non c’è confronto: passiamo dagli 0,5 grammi della tazzina preparata con la moka (caffè macinato in buste di poliaccoppiato da 250 g) ai 6,4 g del caffè in cialde fino a 3 grammi e più per le capsule. Ora abbiamo qualche elemento in più per decidere qual è la macchina del caffè di cui abbiamo davvero bisogno.

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