“Quando ho iniziato a lavorare in questo campo, quello dell’inquinamento da metano dell’industria oil&gas, mi veniva detto da chiunque che si trattava di un argomento di nicchia; la guerra in Ucraina ci ha fatto capire che si tratta di una questione centrale e che deve uscire da quell’angolo in cui l’abbiamo relegata”.
Da quando Flavia Sollazzo si occupa della campagna per ridurre le emissioni di metano dal settore energetico, alla ripresa post-Covid si è accompagnato il conflitto in Ucraina che, come sappiamo, ha visto l’Europa preoccuparsi principalmente di sostituire il gas russo con altro gas, soprattutto Gas Naturale Liquido, in giro per il mondo. Eppure, come testimoniano una recente inchiesta del Guardian e il report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, il tema delle emissioni di metano è cruciale per affrontare realmente la crisi climatica. Soprattutto perché il metano nell’arco di 20 anni è fino a 80 volte più potente dell’anidride carbonica, come ha ricordato recentemente l’Onu.
Serve allora agire immediatamente sull’industria fossile, affinché diventi almeno più efficiente, e sulle politiche normative che dovranno indirizzare le questioni energetiche: sono questi i principali obiettivi della ong Environmental Defense Fund Europe. In questa intervista per EconomiaCircolare.com Flavia Sollazzo ci spiega il punto di vista di EDFE, a partire dal fatto fondamentale che le soluzioni ci sono già ma serve la volontà politica di applicarle e farle applicare.
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Come giudicate la politica europea e italiana dopo la guerra in Ucraina?
Fino a quando il metano rimaneva una questione prettamente ambientale restava un argomento di nicchia. La guerra in Ucraina, col suo conseguente problema di sicurezza energetica, ha fatto sì che l’interesse si allargasse. Il messaggio principale per noi è che il gas estratto deve essere usato nel modo più efficiente possibile.
Come giudicate la bozza di regolamento europeo sul metano, recentemente resa nota dal Consiglio dell’Unione europea e sulla quale dovrà pronunciarsi a breve il Parlamento europeo?
I tre punti che tocca il regolamento per il settore oil&gas sono: standard per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica delle emissioni (cosiddetto MRV); protocolli di mitigazione per individuare le perdite (cosiddetto LDAR); limiti al venting and flaring (sfiati e combustione in torcia). Si tratta comunque del primo regolamento del genere, che riguarda 27 Stati membri e quasi 500 milioni di abitanti. Va tenuto anche in considerazione che fino a pochi anni fa non c’erano dati certi sulle emissioni di metano ma soltanto delle stime: ecco perché è importante comunque il regolamento venga approvato. D’altra parte secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia i dati ufficiali sottostimano il valore reale delle emissioni del 70%, quindi il fatto che il regolamento metta degli standard per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica dei dati è una buona cosa. È un inizio, certamente, che si spera poi possa essere replicato nelle altre parti del mondo, dove il gas viene prodotto.
Ecco, la questione del gas importato è fondamentale, visto che l’Europa importa il 90% del gas utilizzato. Come si può incidere in questo ambito?
Mettere delle regole lungo tutta la filiera permette di definire uno standard che poi potrà applicarsi anche agli altri Paesi, anche perché il fatto che l’Europa importi così tanto gas significa comunque che ha un peso commerciale notevole.
Quali sono le priorità per ridurre le emissioni?
Una priorità è proprio quella del gas che viene semplicemente sprecato: o per emissioni fuggitive o lungo la catena di approvvigionamento, attraverso alcune pratiche di routine come lo sfiato o la combustione in torcia. In uno studio effettuato da S&P global è emerso che nei sei Paesi dove ci sono le maggiori esportazioni di gas ben 80 miliardi di metri cubi di gas potrebbero essere catturati e reimmessi all’interno della catena di produzione per poi essere riportati sul mercato.
Ciò andrebbe a vantaggio perfino delle stesse compagnie energetiche, no?
Nell’interesse dell’ambiente, dei consumatori e dell’economia. Proprio su questi tre aspetti si concentra la nostra ultima campagna comunicativa. In essa sottolineiamo ad esempio che in questo modo ci sarebbe più gas a disposizione e dunque si abbasserebbero i prezzi sul mercato. È importante notare che gli 80 miliardi di metri cubi rappresentano il 60% del gas importato dall’Europa prima della guerra in Ucraina. Inoltre metà di questi 80 miliardi possono essere condotti sul mercato senza costruire altre infrastrutture ma semplicemente con quello che già esiste e che è già in costruzione. Ciò ci aiuterebbe a breve termine anche dal punto di vista economico. Allo stesso tempo un’iniziativa del genere non intacca il phase out (l’uscita graduale, ndr) dal gas, che deve restare la nostra priorità. Ma fino a che continuiamo a usare il gas allora è meglio utilizzarlo nel modo più efficiente. È un’iniziativa prevista nel REPowerEu a cui però non è stato dato ancora seguito.
Come EFDE avete da poco diffuso un documento che elenca una serie di soluzioni basate sulla scienza che si potrebbero immediatamente attuare. Ce le vuoi illustrare?
Il primo punto è quello che abbiamo affrontato precedentemente, cioè protocollare il monitoraggio, la ricerca e la riparazione delle perdite. Come ci ha insegnato la vicenda del North Stream (il gasdotto nel mar Baltico dalla Russia alla Germania è stato distrutto da alcune esplosioni il 26 settembre 2022, ndr), le perdite lungo la catena di rifornimento possono avere dimensioni enormi. In quel caso ci siamo molto soffermati sulla questione della sicurezza energetica e poco su quanto il danno sia stato enorme, sia in termini di emissioni (quanto presente nei due condotti corrisponde a quanto l’intera industria globale emette ogni due giorni), ma anche in termini di sprechi e perdite che avvengono di routine lungo l’intera catena di approvvigionamento e che se utilizzati avrebbero un netto impatto sulla nostra sicurezza energetica. Infatti, a parte le rotture così clamorose come quella del North Stream, più spesso succede che magari si allenta una vite o un sifone e lì, chiaramente, più frequenti e più mirati sono i controlli più velocemente si può vedere e riparare la perdita. Se è vero che si nota di più un episodio così clamoroso come il sabotaggio di un intero gasdotto, le perdite più frequenti e costanti sono quelle piccole che però, se non vengono accertate e riparate,nel tempo possono arrivare a emettere ingenti quantità. Le tecnologie sono già esistenti e a costo molto ridotto. Penso per esempio alle nuove tecnologie a infrarossi, già disponibili per la misurazione diretta del metano all’interno e all’esterno dei confini dell’Unione europea, in linea con standard OGMP 2.0. Oppure penso per esempio al monitoraggio satellitare, tra cui il satellite avanzato MethaneSAT, che verrà lanciato alla fine di quest’anno, e contribuirà a rafforzare ulteriormente la trasparenza e la responsabilità in materia di clima. Con questo strumento i dati non dovranno essere elaborati successivamente all’ individuazione della perdita, come è successo con il North Stream dove furono necessarie alcune ore prima di poter effettivamente quantificare le emissioni, ma saranno immediatamebnte visionabili e disponibili a chiunque: governi, industrie, ong, mondo dell’informazione, società civile.
Quali sono allora le difficoltà e le resistenze ad applicare queste soluzioni, se già ci sono e sono così convenienti?
La crisi energetica rivela la fragilità di un sistema globale troppo dipendente dall’energia fossile. Una dipendenza che non solo guida la crisi climatica ma rende anche le economie vulnerabili ai ‘capricci’ e all’inerzia di chi contrasta il cambiamento. La transizione verso le fonti energetiche rinnovabili deve essere l’obiettivo dell’Europa, ma nel frattempo sicurezza energetica, sicurezza economica e sicurezza climatica vanno di pari passo. Come dicevo prima, è il primo regolamento di questa portata e deve, per la prima volta e a livello continentale, affrontare aspetti tecnici complessi e trovare il massimo comune denominatore senza andare a discapito dell’obiettivo primario: ridurre le emissioni lungo tutta la catena produttiva… non un compito facile. Abbiamo la possibilità di ridurre le emissioni di un potente inquinante climatico soddisfacendo al contempo un bisogno a breve termine. Non dobbiamo perdere questa opportunità. Io credo che questo sia davvero il momento propizio per agire: anzi, più precisamente siamo quasi al termine del momento propizio, tra poco non saremo più in tempo, ma è sulle riduzione delle emissioni di metano che bisogna puntare se vogliamo raggiungere gli obiettivi climatici che dall’Accordo di Parigi che l’Europa ha fissato. C’è una rivoluzione in atto, di innovazione e tecnologica, che bisogna cogliere.
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