Le fiere d’arte sono un barometro delle tendenze del mondo e, soprattutto, del mercato dell’arte. Tra arrivi internazionali, spostamento di opere e grandi spazi ad alto consumo energetico, di certo non sono eventi sostenibili. Ma hanno un grosso potenziale nel mettere in circolazione idee e calarle nella realtà. Per questo fa piacere vedere che alla recente Expo Chicago, la fiera d’arte più importante del Midwest degli Stati Uniti che si è svolta dal 13 al 16 aprile, c’era tanta arte con il Pianeta nel cuore. Soprattutto, ci ha fatto piacere constatare che c’era tanta circolarità.
La circolarità ci salverà
Opere d’arte e artisti che usano materiali di recupero non sono una novità. Ma che ci fosse un intero stand dedicato a questi temi, ci ha sorpresi. A realizzarlo è stata 6018North, spazio culturale non profit con sede a Chicago. Con il titolo Can Circularity Save Us?, l’organizzazione ha portato in fiera un progetto che esplorava il design circolare come soluzione per affrontare la crisi climatica, incoraggiando un ripensamento della domanda di beni, del loro uso e valore, di ciò che scartiamo e delle possibilità di rigenerazione di oggetti e materiali. Lo stand metteva in mostra quello che si può fare adottando un approccio circolare, attraverso lavori di diversi artisti e attività partecipative. La stessa struttura dello stand offriva un esempio di circolarità: le pareti infatti, opera dell’artista Lan Tuazon, erano realizzate con Waterbricks, contenitori in plastica spesso utilizzati per portare acqua nelle zone colpite da emergenze umanitarie e riutilizzabili come materiale da costruzione.
All’interno dello stand, erano in mostra le creazioni del progetto dell’artista Tria Smith, Trash Transformation, A Circular Fashion Experience, in collaborazione con altri artisti e designer: borse di Declan Flynn, abiti di Alex McDermott, giacche di Lilith Parker, accessori e vestiti di Khôi, il tutto realizzato con buste della spazzatura, plastiche di scarto, confezioni di snack, pluriball. A riempire gli spazi dello stand, per la durata della fiera, ci sono state performance, passerelle e attività con il coinvolgimento del pubblico, organizzate in collaborazione con gli artisti Adelheid Mers e Freyja Acassi.
Tra i corridoi dell’Expo, si potevano incontrare modelli che indossavano con eleganza gli estrosi abiti e accessori in mostra per il progetto. Il pubblico era invitato a portare oggetti di scarto e a collaborare alla realizzazione di nuovi abiti. Una lunga gonna fatta di plastica da imballaggio e decorata con le buste delle patatine in vendita in fiera è stata una delle creazioni più sorprendenti. Il pubblico poteva inoltre provare tutti gli accessori e gli abiti. Chi li ha indossati ci ha detto che erano comodi e leggeri. Un giaccone fatto di buste di Doritos e decorato con paillettes era il capo che andava per la maggiore.
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Il consumismo è un’opera d’arte
Altri stand della fiera esponevano opere realizzate con oggetti di recupero e materiali di scarto. Tra le nostre preferite Red Bird, Blue Bird, We’re All Screwed Bird, di Thomas Deininger(in copertina). Assemblando piccoli giocattoli e altri oggetti in plastica, l’artista crea una figura che, vista da una certa angolazione, è un uccello dal piumaggio rosso ma che, guardata frontalmente, si rivela una caotica e insensata accozzaglia di prodotti di consumo.
Invita invece a riflettere sull’impatto dei poteri coloniali sul Sud del Mondo l’opera di Patrick Bongoy. L’artista, originario della Repubblica del Congo, lavora con camere d’aria, pneumatici, materiali da imballaggio, corde e sacchi che, attraverso un meticoloso processo di taglio e tessitura che attinge alla tradizione dell’artigianato africano, trasforma in elaborate composizioni tridimensionali. Le sue opere, scure e dalle forme organiche, evocano la disumanizzazione che risulta da sfruttamento del lavoro, degrado ambientale, lotta per le risorse e violenza sociopolitica.
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Artiste per il clima
Infine, ai temi ecologici era dedicato un altro stand, dal tenore diverso. Con il titolo How on Earth, la non-profit Art At a Time Like This, in collaborazione con il Natural Resources Defense Council, ha allestito una mostra che, attraverso media diversi, voleva mettere in luce il ruolo dell’arte e degli artisti nel creare cambiamento e ispirare azioni concrete per affrontare la crisi climatica e i suoi effetti sulla popolazione femminile. Tra i lavori esposti, Motherfire, dell’artista Lily Kwong, un’installazione di 55 pali di legno bruciato con la tecnica giapponese del shou sugi ban, al cui interno germogliano piante native della California. L’opera è una riflessione sulle capacità rigenerative delle piante native in zone colpite da incendi e, secondo le parole dell’artista, “esplora le complesse interconnessioni tra conservazione dell’ambiente, resilienza degli ecosistemi e pratiche culturali”.
Janet Biggs, Helina Metaferia e Jennifer Wen Ma erano le altre artiste coinvolte nel progetto che, oltre alla mostra, prevedeva una serie di conversazioni su ecologia e arte, all’interno dell’Expo e in altri luoghi della città.
Se è vero che non basta una fiera per far primavera, è anche vero che i segnali visti a Chicago sono incoraggianti. Che artisti e creativi si occupino di ambiente ed ecologia nel loro lavoro non è una novità. Che il mercato dell’arte se ne accorga è una speranza che, a Chicago, sembra aver messo qualche seme.
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