Un nuovo preoccupante studio sull’inquinamento da plastica ci racconta quanto è aumentata l’ingestione di microplastiche (MP, particelle di dimensioni inferiori a 5 millimetri) in 109 Paesi del mondo (non c’è l’Italia). Lo studio, condotto da ricercatori della Cornell University, negli Stati Uniti, è stato pubblicato su Environmental Science & Technology.
“Abbiamo tracciato una mappa dell’assunzione di microplastiche da parte dell’uomo in 109 Paesi dei cinque continenti dal 1990 al 2018 – spiegano i ricercatori – concentrandoci sulle principali coste del mondo colpite dall’inquinamento da plastica che influisce sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite: SDG 6 (Acqua pulita e servizi igienici), SDG 14 (Vita sott’acqua) e SDG 15 (Vita sulla terraferma)”.
In pochi decenni, questo il contesto dal quale parte la ricerca, le materie plastiche sono diventate “la spina dorsale delle attività dell’Antropocene”, con una crescita della produzione di 240 volte tra il 1950 e il 2016.
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Microplastiche, un inquinante pervasivo legato allo sviluppo industriale
Le microplastiche sono oggi “un problema crescente per l’ambiente e la salute pubblica, in quanto vengono rilevate in modo pervasivo negli ambienti marini e d’acqua dolce, ingerite dagli organismi e poi penetrano nel corpo umano”.
Alla base del carico ambientale causato dalla formazione di MP e dall’assunzione da parte dell’uomo, osservano i ricercatori, c’è lo sviluppo industriale.
Un aspetto cruciale per comprendere il fenomeno dell’ingestione delle MP è la conoscenza delle vie e delle quantità di microplastiche assunte con la dieta e con l’aria, “fondamentale per elaborare strategie efficaci per mitigare l’esposizione umana e i suoi potenziali effetti sulla salute”.
Microplastiche e Sustainable Development Goals
L’inquinamento dell’ambiente marino e terrestre a causa dele microplastiche e la contaminazione del nostro corpo mettono a rischio il raggiungimento di alcuni degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Questi minuscoli inquinanti “possono diffondersi nell’aria, nell’acqua e nel suolo, infiltrandosi nell’ecosistema e contaminando le specie alimentari incorporate nella rete alimentare (3), in contrasto con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite, tra cui l’SDG 14 (Vita sott’acqua) e l’SDG 15 (Vita sulla terraferma)”.
Molti studi, si legge nella ricerca della Cornell University, hanno dimostrato che gli alimenti, come il sale da cucina, i frutti di mare e il pesce, la carne e le bevande, spesso contengono MP che gli esseri umani consumano insieme a questi alimenti.
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Le vie delle microplastiche che portano all’essere umano
Sono due, affermano i ricercatori, le principali autostrade che portano microplastiche nel nostro organismo: quella alimentare e quella aerea, fonti delle MP che respiriamo e di quelle che ingeriamo col cibo e l’acqua.
Le microplastiche alimentari comprendono quelle accumulate negli alimenti e le perdite di materiale derivanti dall’uso della plastica nella produzione, nella lavorazione e nell’imballaggio di alimenti e bevande. Le MP aerotrasportate provengono principalmente dall’abrasione di materiali plastici, come quelli contenuti nei pneumatici, e dal particolato plastico acquatico.
Come ormai sappiamo, una delle principali fonti di MP acquatiche è rappresentata dai deflussi di rifiuti plastici gestiti in modo scorretto dalle discariche o dagli scarichi a cielo aperto, che entrano nelle acque superficiali e generano macroplastiche attraverso la degradazione naturale. “Le microplastiche negli ambienti d’acqua dolce e salata vengono poi disperse attraverso le correnti d’acqua o la trasmissione aerea e penetrano nella catena alimentare”. Si comincia col plancton, per risalite tutti gli anelli fino agli esseri umani. Ingerendo il plancton, “i pesci commerciali e altre specie ittiche possono trattenere MP in vivo, che subiscono una biomagnificazione (aumento di concentrazione, ndr) lungo la catena alimentare e infine entrano nel corpo umano quando si consumano questi alimenti acquatici nella dieta”.
I rischi per la salute
Con l’assorbimento attraverso l’alimentazione e l’inalazione, le MP, come ormai numerosi studi hanno dimostrato, possono arrivare agli organi attraverso i fluidi corporei o il contatto diretto. “L’evidenza scientifica della presenza di microplastiche nei fluidi corporei ha dimostrato la loro distribuzione pervasiva nell’organismo – affermano i ricercatori -. Penetrando nei tessuti connettivi, queste particelle estranee possono raggiungere i sistemi respiratorio e digestivo con il rilascio di sostanze chimiche tossiche, tra cui il Bisfenolo A, e danneggiare potenzialmente gli organi associati”. La valutazione dei tassi di permanenza di MP in vivo può quindi aiutare ad analizzare ulteriormente i loro potenziali rischi per la salute pubblica in particolare, scrivono i ricercatori, “in relazione al cancro ai polmoni e alle malattie infiammatorie intestinali”.
Una recente indagine ha evidenziato il 50% in più di MP nelle feci di persone affette da malattie infiammatorie intestinali rispetto a individui sani, mettendo in luce le “potenziali minacce alla salute pubblica associate all’SDG 3 (Buona salute e benessere)”.
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I risultati. Più della metà delle microplastiche viene dal mare
La fonte principale di assunzione di microplastiche è rappresentata “da alimenti, bevande e acqua, nota come assunzione alimentare”. Questa assunzione è ovviamente determinata dalla struttura della dieta e dalla concentrazione di MP negli alimenti. Ma il pesce e i frutti di mare rappresentano (vedi immagine seguente) la maggiore fonte di microplastiche in tutti i Paesi analizzati. In particolare nei Paesi del Sud-Est asiatico, che sono al primo posto a livello globale per l’assunzione di MP con la dieta, ben il 70,4% deriva dal consumo di pescato. Questo risultato, avvertono gli studiosi, “segnala l’urgente necessità di arrestare l’ingresso del MP nella rete alimentare marina attraverso l’aria e la dieta”.
Plastica, microplastiche e industrializzazione
I risultati hanno rivelato che i Paesi di recente industrializzazione con alto valore aggiunto industriale, tra cui Indonesia e Malesia, hanno registrato un aumento di oltre 59 volte dei tassi di accumulo giornaliero di microplastiche. Ciò è dovuto, spiega lo studio, “a un aumento del consumo di plastica e del rilascio di rifiuti nei bacini idrici, nelle zone umide, nelle pianure alluvionali e nei laghi di queste regioni, che generano detriti di plastica in loco e nei vicini ambienti marini”.
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L’Indonesia guida la classifica globale di assorbimento delle microplastiche
I paesi dell’Asia orientale e meridionale sono i maggiori protagonisti dell’assorbimento umano di microplastiche a livello globale. In un contesto di rapida crescita industriale, l’Indonesia guida la classifica mondiale dell’assunzione pro capite di MP con 15 g al mese: per avere un’idea, 4 monetine da 10 centesimi pesano 15 grammi. “Il nostro studio ha rilevato che i Paesi in rapida industrializzazione, come l’Indonesia, la Malesia, le Filippine e il Vietnam, sono in cima alla classifica dei consumi di MP a livello globale, grazie all’elevato consumo di pesce”.
Nei Paesi asiatici, africani e americani, tra cui Cina e Stati Uniti, l’assunzione di MP nell’aria e nella dieta è aumentata di oltre 6 volte dal 1990 al 2018.
Ridurre l’ingestione
Poiché, secondo le stime legate all’aumento di produzione di plastica, il livello di microplastiche è destinato a salire di oltre il 50% nel 2040 a livello globale, “per evitare l’assunzione di MP sono necessarie soluzioni olistiche che affrontino sia l’esistenza che le cause alla radice della generazione di MP”. Un buon Trattato globale contro l’inquinamento da plastica potrebbe essere un passo decisivo.
Come suggerito dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), la prevenzione della generazione e dell’esposizione alle microplastiche “richiede una collaborazione globale nella gestione dei rifiuti, ma le pratiche attuali rimangono per lo più localizzate e mancano di una comprensione di base della variabilità spaziale dell’inquinamento da plastica”. Secondo i ricercatori “l’eliminazione del 90% dei detriti plastici acquatici globali può contribuire a ridurre l’assorbimento di MP di oltre il 48% nei Paesi del Sud-Est asiatico”. Per ridurre l’assorbimento di MP e i potenziali rischi per la salute pubblica, “i governi dei Paesi in via di sviluppo e industrializzati di Asia, Europa, Africa, Nord e Sud America dovrebbero incentivare la rimozione dei detriti plastici liberi dagli ambienti di acqua dolce e salata attraverso un trattamento avanzato delle acque e pratiche efficaci di gestione dei rifiuti solidi”.
Microplastiche e cibo, ma anche imballaggi
Per i Paesi più compromessi come Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam sarà necessario, afferma la ricerca, ridurre al minimo il contenuto di MP negli alimenti crudi, e poi l’esposizione attraverso i materiali di imballaggio e il rilascio durante la lavorazione degli alimenti. Ad esempio “la sostituzione delle materie plastiche poliolefiniche monouso con alternative innovative e altamente degradabili, come i materiali biobased commestibili, potrebbe contribuire a ridurre al minimo il rilascio di MP dai materiali di imballaggio, soprattutto nelle bevande”. In queste regioni, le pratiche necessarie includono “la sostituzione dell’uso della plastica e un efficace riciclo dei rifiuti solidi per consentire l’assorbimento delle plastiche domestiche scartate e limitare sufficientemente il rilascio di MP negli ambienti naturali”. L’adozione di queste misure in queste regioni richiede anche sforzi di collaborazione internazionale, come il supporto tecnologico da parte delle regioni sviluppate, per adottare queste tecnologie in modo efficace.
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