Athos, Porthos e Aramis. Ce li siamo sempre ricordati così i tre moschettieri, ma stavolta il terzo spadaccino amico fraterno di D’Artagnan si chiama Callisto ed è un progetto energetico per la cattura e lo stoccaggio della CO₂ (CCS). Insieme alla francese Air Liquide, la joint venture Eni Snam ha avviato la conquista climatica del Mediterraneo. Mentre l’affaccio al Mare del Nord sembra affollarsi con progetti di CCS tra il porto di Rotterdam e la costa francese di Dunkirk, tra cui i già citati progetti D’Artagnan, Porthos e Aramis, a garantire la decarbonizzazione del Mediterraneo sarà proprio Callisto, nei pressi di Ravenna, un progetto che rientra in un più ampio piano firmato da Francia, Grecia e Italia. Già a marzo 2023 infatti, assieme a Francia e Grecia, l’Italia ha presentato un Piano strategico per la CCS nel Mediterraneo a sostegno dello sviluppo delle infrastrutture di CCS nell’ambito di applicazione del Regolamento TEN-E (Trans-European Networks for Energy). Per Eni, Snam e Air Liquide “Callisto Mediterranean CO₂ Network” è il primo passo per la realizzazione dell’originario progetto italiano “Ravenna CCS”, che punta a raccogliere, trasportare e stoccare la CO₂ nei giacimenti di idrocarburi esauriti del Mare Adriatico.
Eni e Snam hanno annunciato a fine agosto l’avvio delle attività di iniezione della CO₂ nel giacimento relativo alla Fase 1 di Ravenna CCS e i giornali hanno seguito a ruota, ma in realtà il 29 agosto Snam ha pubblicato la richiesta di avvio per la procedura di Valutazione d’impatto ambientale (VIA) sul sito del MASE (il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) per cui la società civile può presentare le proprie osservazioni entro trenta giorni.
Si tratta di una corposa documentazione che esplora i dettagli del progetto. Nel documento sulla valutazione di conformità al principio DNSH (non arrecare danno significativo) per la cui redazione Snam ha delegato la società Ramboll Italia – per il progetto CCS Pianura Padana, Rete di Trasporto Co2, Gasdotti Ferrara Casalborsetti e Ravenna Casalborsetti – si afferma che gli impatti dell’opera rimangono trascurabili. Snam dovrà costruire l’intera infrastruttura realizzando le condotte che per consentire la consegna della CO₂ dalle industrie hard to abate delle aree di Ferrara e Ravenna e il convogliamento della CO₂ fino alla centrale di Eni di Casalborsetti.
Il progetto si dovrebbe sviluppare secondo due direttrici principali: una rete di trasporto della CO₂ dal polo industriale di Ferrara fino alla centrale di compressione di Casalborsetti per cui Snam dovrà costruire 75 chilometri di nuove condotte. La seconda direttrice prevede una rete di trasporto della CO₂ proveniente dal polo logistico e industriale di Ravenna, anche in questo caso fino a Casalborsetti attraverso la realizzazione da parte di Snam di 5 km di nuove condotte e la riconversione di 14 km di un gasdotto esistente, finora utilizzato a metano. L’opera dovrà passare nella provincia di Ferrara nei comuni di Voghiera, Portomaggiore e Argenta fino a raggiungere Ravenna.
SNAM prevede di elaborare un “programma di rilevamento e riparazione perdite” per il monitoraggio della CO₂ sull base “dell’esperienza del metano” non avendo mai trattato la CO₂ prima. Prevede anche di integrare nuovi giacimento per la Fase 2: un secondo giacimento esaurito già oggetto del programma “Ravenna CCS Fase 1”, e il giacimento in corso di esaurimento di Garibaldi-Agostino.
Le nuove condotte passeranno per due siti della Rete Natura 2000, un programma nazionale per la protezione della biodiversità. Il supporto del governo al progetto è evidente: il 26 gennaio 2023 è stata approvata la fase1 del progetto tra i programmi sperimentali del MASE mentre nell’aggiornamento di giugno del Piano Integrato Energia e Clima (PNIEC) il ministero ha sottolineato ancora una volta “il ruolo centrale a livello mediterraneo ed europeo” dell’Italia come un hub di generazione e transito di energia. Nel PNIEC vengono nominati sia il progetto di Ravenna che Callisto, i quali “includono la raccolta e il trasporto sia onshore, attraverso condotte già esistenti o nuovi gasdotti in superficie, sia via mare tramite spedizione di CO₂ da emettitori in Italia e Francia, con i relativi hub di rigassificazione e liquefazione della CO₂ situati nei due Paesi per poi procedere con lo stoccaggio finale nell’hub CCS di Ravenna a partire dal 2027”. Se da un lato, quindi, il governo rafforza i legami con i Paesi del Nord Africa esportatori di gas con il Piano Mattei, dall’altro considera la CCS una priorità per la decarbonizzazione del Paese.
Il progetto rientra inoltre tra le opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti, strategiche per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
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L’alleanza francese della CO₂
Grazie all’alleanza con la Francia e alla natura trasfrontaliera del piano, Callisto rientra tra i Progetti di Interesse Comune (PCI) che possono aspirare al Connecting Europe Facility (CEF), il fondo dell’UE per potenziare le infrastrutture energetiche, di trasporto e digitali. Un ghiotto bottino se si considera che il nuovo programma CEF stanzia un budget totale di 5,8 miliardi di euro per il settore energetico per il periodo 2021-2027. Mentre Aramis riceverà 124 milioni e D’Artagnan un massimo di 162 milioni dal CEF, Callisto sembra non aver ricevuto ancora nessun supporto pubblico. Ma quello europeo non è l’unico fondo a cui i progetti di CCS possono aspirare. Porthos, che non catturerà direttamente la CO₂ ma stoccherà nel mare del Nord il gas catturato da Shell, Air LIquide e Exxon, ha già ottenuto ben due miliardi di sussidi statali dal governo olandese
A maggio 2024 la Commissione Europea ha pubblicato il documento “Progetti di interesse comune e di interesse reciproco” sulle infrastrutture energetiche che connetteranno gli Stati Membri, in cui è possibile ritrovare Aramis, Callisto e Porthos come parte del più ampio progetto di trasporto della CO₂. Si tratta di un documento di 88 pagine in cui è possibile avere un’anteprima degli investimenti energetici che l’Europa intende perseguire nei prossimi anni. Nella scheda tecnica di Callisto sono elencate anche le 19 aziende promotrici che si dividono tra la Francia e l’Italia: Air Liquide France Industrie (FR) ; Enipower SpA (IT) ; Basell Polyoléfines France SAS (FR) ; Cabot Italiana SPA (IT) ; Elengy S.A (FR) ; Versalis SpA (IT) ; Marcegaglia Ravenna S.p.A (IT) ; Lafarge Ciments S.A. (FR) ; Herambiente S.p.A. (IT) ; Les Chaux de la Tour (LHOIST Group) (FR) ; Polynt S.p.A. (IT) ; Lyondell Chimie France (FR) ; PetroIneos Manufacturing France SAS (FR) ; Société du Pipeline Sud Européen (SPSE) (FR) ; Eni S.p.A. (IT) ; Snam S.p.A. (IT) ; ArcelorMittal Méditerranée (FR) ; Yara Italia SpA (IT) ; GRTgaz S.A (FR). Il piano transfrontaliero prevede un’infrastruttura dedicata in Francia, presso il porto di Marsiglia.
Attraverso gasdotti dedicati al trasporto della CO₂, la Francia intende raccogliere le emissioni degli impianti industriali situati nella Valle del Rodano e nelle zone industriali di Fos du Mer, presso Marsiglia, dove opera l’acciaieria di Arcelor Mittal, l’ultima compagnia proprietaria dell’ex Ilva. Lì Air Liquide si occuperebbe di liquefare la CO₂ e iniettarla in navi dedicate. Da lì le navi potrebbero prendere due direzioni: circumnavigare l’italia passando attraverso la Corsica e la Sardegna e sotto la Sicilia per raggiungere le coste dell’Adriatico, o circumnavigare la Spagna per poi risalire verso la Francia verso un altro sito di stoccaggio detto Pycasso. Dato atto di una certa fantasia nello scegliere i nomi, entrambi i progetti sono estremamente complessi ed energivori per il viaggio che le navi devono intraprendere.
L’altro elemento da tenere in considerazione è che tutte queste condotte per la cattura e il trasporto della CO₂ vanno ancora costruite. Le emissioni catturate dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di Casalborsetti (Ravenna) sono convogliate verso la piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettate nell’omonimo giacimento a gas esaurito, nell’offshore ravennate. Nei prossimi anni nello stesso hub di Ravenna è previsto l’avvio di una Fase 2 di carattere industriale che contribuirà alla decarbonizzazione dei settori “hard to abate” e termoelettrici presenti sul territorio nazionale e dell’Europa meridionale. I piani di sviluppo del progetto prevedono l’avvio nel 2027 e il raggiungimento di una capacità di iniezione di 4 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno entro il 2030. Successive fasi di espansione potranno consentire di raggiungere una capacità di iniezione di 12 MtCO₂/anno intorno al 2035 per arrivare negli anni successivi a un plateau di circa 16 MtCO₂/anno nel periodo 2040-50.
Nel PNIEC si precisa che tale potenziale di sviluppo della capacità di iniezione ha solo un valore programmatico e non è vincolante. Eni e Snam, insomma, si riservano la possibilità che il progetto non sia efficiente quanto dichiarato o diversamente, che ci sia la necessità di aumentare la capacità di iniezione in risposta a un eventuale aumento della domanda nazionale: un’autorizzazione ad emettere? Per la parte italiana la CO₂ sequestrata sarà stoccata nell’hub CCS a Ravenna, che Eni come operatore sta sviluppando in joint venture con Snam, dotato di una grande capacità di stoccaggio, stimata in oltre 500 milioni di tonnellate, con l’obiettivo sviluppare il più grande network multimodale nel Mediterraneo per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio di CO₂, offrendo una soluzione di decarbonizzazione per le industrie hard to abate (come cementifici, fertilizzanti, acciaierie etc.) e proponendosi come riferimento per il Sud Europa.
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Le critiche attorno al business della CO₂
Le discussioni attorno ai progetti di punta europei come Porthos sono già avviati: la cattura del carbonio aiuterà davvero a ridurre le emissioni che alimentano la crisi climatica? O il sostegno governativo a queste tecnologie servirà invece a preservare i modelli di business dei combustibili fossili che l’hanno causata? Forse bisogna porsi le stesse domande per il progetto di Eni e Snam. La tecnologia CCS è ancora lontana dall’essere considerata stabile e affidabile.
Secondo l’European Environmental Bureau, la più grande organizzazione ambientalista con sede a Bruxelles, la CCS viene presentata come una soluzione per tutte le emissioni industriali, mentre dovrebbe concentrarsi sulle emissioni di carbonio che non possono essere evitate alla fonte con altri mezzi economicamente più efficaci. Per l’EEB la forte dipendenza dalla CCS distrae i fondi pubblici dagli adeguati investimenti per la decarbonizzazione e condanna l’Europa a una dipendenza dai combustibili fossili per i prossimi decenni.
Secondo lo studio dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) “The Carbon Capture crux: lessons learned”, pubblicato nel settembre 2022, circa tre quarti della CO₂ catturata annualmente è rigettata in pozzi esausti per produrre la fuoriuscita di altro gas e petrolio dal sottosuolo. Il report sottolinea alcuni punti critici e sostiene che la CCS sia spinta dalle aziende fossili per giustificare la prosecuzione del loro business as usual: i progetti falliti/insufficienti infatti superano notevolmente le esperienze di successo. Lo IEEFA sottolinea che per molte compagnie fossili la CCS rappresentata una parte fondamentale della loro strategia per ridurre le emissioni. Tuttavia, per gli estrattori di petrolio e gas significa interrare solo una piccola parte delle emissioni totali di ciascun giacimento di gas o petrolio: circa il 10% delle emissioni totali. Secondo un recente report dell’ong climatica Oil Change International, in USA dove tutti i progetti di CCS operano solo grazie a sussidi statali, l’80% dei progetti fallisce per problemi tecnici, i costi eccessivi e nessun ritorno sul finanziamento inziale.
L’IPCC ha dimostrato che la CCS è una delle misure più costose e meno efficaci per ridurre le emissioni, mentre le energie eolica e solare hanno il maggiore potenziale di mitigazione al costo più basso. Dopo oltre 50 anni di investimenti, nel mondo sono in funzione solo 41 progetti CCS su larga scala, che catturano poco più dello 0,1% delle emissioni. Secondo BloomberNef la quantità di CO₂ catturata oggi è di appena 43 milioni di tonnellate. Se tutti i progetti annunciati di CCS entrassero in funzione, entro il 2030 si raggiungerebbero 279 milioni di tonnellate di CO₂ catturate ogni anno, pari allo 0,6% delle emissioni attuali.
C’è inoltre da tenere in considerazione che le infrastrutture per la CCS sono agli stadi iniziali di sviluppo e corrispondono a progetti, approvati o meno, che necessitano di fondi ingenti per essere portati avanti e la cui realizzazione è ancora incerta. Come nel caso di Callisto e Ravenna CCS. La stessa IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, nell’aggiornamento 2023 del report “Net Zero Roadmap: A Global Pathway to Keep the 1.5 °C Goal in Reach” ha tagliato del 40% il contributo stimato della CCS alla roadmap declassandone sostanzialmente il ruolo come soluzione efficace a livello climatico. Dopo anni di esiti tutt’altro che soddisfacenti, sembra suggerire l’Agenzia, sarebbe bene concentrarsi su altro.
Eni non ha solo Ravenna come progetto nel cassetto, ma un piano progressivo di stoccaggio della CO₂. Entro il 2030 punta a raggiungere uno stoccaggio complessivo annuo di circa 10 milioni di tonnellate di (MTPA) e una capacità lorda complessiva di 30 MTPA per poi arrivare a uno stoccaggio di circa 35 MTPA nel 2040 e di circa 50 MTPA nel 2050. Per fare ciò ha in cantiere due progetti nel Regno Unito, l’HyNet North West e la Bacton Thames Net Zero, sul Mare del Nord meridionale britannico, il progetto Bahr Essalam in Libia, con una capacità totale di stoccaggio di 50 MT di CO₂ e intende espandersi in Egitto, Australia ed Emirati Arabi Uniti. L’unico progetto attivo è lo Spleipner in Norvegia, che dal 1996 ha stoccato 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Proprio su questo progetto l’ong Oil Change riporta che il gas prodotto nei giacimenti di Sleipner e Snohvit emette 25 volte più CO₂ rispetto a quella catturata durante la lavorazione del gas. Resta il fatto che a 50 anni dall’avvio dei primi progetti di CCS, come già accennato, sono in funzione solo una quarantina di progetti a livello globale, con un potenziale combinato di cattura di poco più di 50 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno. Infine, come ha scritto ripetutamente il giornale di incheista DeSmog, quasi l’80% della CO₂ catturata viene iniettata nel sottosuolo per pompare altro petrolio e altro gas che, una volta raffinati e bruciati, aggiunge altra CO₂ all’atmosfera.
Forse dovremmo lasciare i tre moschettieri tra le pagine di un libro.
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