giovedì, Novembre 6, 2025

Finanziare la transizione ecologica tassando ricchi e aziende fossili: la campagna di CAN Europe

L’associazione CAN Europe propone una tassazione redistributiva che permetta agli Stati di avere le risorse necessarie per finanziare la lotta ai cambiamenti climatici e politiche per la sostenibilità ambientale. A pagare siano i super ricchi e le aziende fossili, che inquinano più degli altri

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Introdurre nuove imposte redistributive ed eliminare i sussidi ai combustibili fossili: lungo queste due direttrici si gioca la possibilità per gli Stati di avere le risorse necessarie a finanziare la transizione ecologica. È il messaggio che è emerso, forte e chiaro, durante il webinar organizzato da Climate Action Network (CAN) Europe, a cui ha partecipato EconomiaCircolare.com. Esperti e attivisti hanno discusso il problema del finanziamento delle azioni necessarie a mitigare i cambiamenti climatici e raggiungere gli obiettivi net zero, evidenziando da un lato le carenze del sistema attuale e proponendo, dall’altro, soluzioni fiscali e strategie per sbloccare risorse pubbliche e private.

La transizione ecologica richiede un impegno senza precedenti, su questo tutti sono d’accordo. E gli attuali strumenti di bilancio sono insufficienti per colmare il gap nei finanziamenti. Ecco perché serve cambiare, trovando risorse “dove sono i soldi”, come recita lo slogan della campagna di CAN Europe: tassando i profitti ed eliminando i sussidi alle aziende attive nei combustibili fossili. Ovvero le principali responsabili dell’attuale crisi climatica. Ma anche chiedere di più a chi ha più risorse. Perché la transizione ecologica non sia solo una questione ambientale, ma anche una battaglia per la giustizia economica e sociale. E l’unico strumento a disposizione, secondo CAN Europe, è una tassazione redistributiva.

Investimenti pubblici per finanziare la transizione ecologica

“Non stiamo mobilitando risorse sufficienti per raggiungere tutti gli obiettivi ambientali dell’Unione Europea: la biodiversità, l’economia circolare, la riduzione dell’inquinamento richiedono investimenti ingenti” è stata la prima considerazione di Olivier Vardakoulias, economista e membro di CAN Europe. Indipendentemente dall’approccio adottato, che sia una transizione basata sull’efficienza energetica o sulla riduzione della domanda, occorrono risorse, mentre l’attuale livello di finanziamento pubblico è totalmente insufficiente, con un gap stimato rispetto a quanto servirebbe calcolato tra il 3% e il 3,5% del Pil dell’Unione Europea ogni anno fino al 2030.

Il primo ostacolo, dunque, è prima di tutto politico e istituzionale: “Il problema è che per quanto riguarda la finanza pubblica, dobbiamo fare tutto questo in un contesto di austerità”, ha precisato Vardakoulias. Oltretutto, “dal 2024 in poi le regole fiscali dell’Unione Europea porteranno a ulteriori tagli di bilancio”. In poche parole molti Stati membri ridurranno la spesa pubblica e aumenteranno le tasse per riequilibrare i bilanci e i primi a rimetterci saranno gli investimenti nella transizione ecologica. “Gli investimenti pubblici stanno declinando e, anche dove crescono, l’aumento è molto limitato. Non possiamo aspettarci che gli Stati membri coprano il gap senza un cambiamento strutturale”, ha concluso Vardakoulias.

Dove trovare i soldi: la campagna di CAN Europe

Trovare i fondi necessari a tutto ciò è l’obiettivo della campagna di CAN Europe. Sostanzialmente ci sono tre vie: i bilanci nazionali, i fondi europei e la finanza privata. All’interno dei bilanci nazionali, la prima soluzione sono gli investimenti pubblici: ma questa strada, come abbiamo visto, è limitata dalle regole fiscali dell’Unione Europea. La seconda è la ridistribuzione delle spese. Secondo CAN Europe è proprio qui che c’è margine di manovra, eliminando i sussidi fossili, oppure tassando di più chi può permetterselo.

In aggiunta, ci sono altri fondi europei da considerare, come il Fondo climatico sociale, il Fondo per la modernizzazione, e una serie di iniziative della Banca europea per gli investimenti. L’UE ha promesso di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno per il finanziamento climatico, ma il target non è stato ancora raggiunto: “C’è grande incertezza su cosa accadrà dopo la fine del ciclo attuale del bilancio dell’UE, che ha visto i fondi raddoppiare ma scadrà nel 2025”, si chiede Oliver. E le premesse per affrontare le negoziazioni per il prossimo bilancio dell’UE non sono le più positive: sebbene alla Commissione si stata rieletta Ursula von der Leyen, il peso dei popolari e dei partiti di destra è aumentato nelle ultime elezioni europee e si farà sentire negativamente nelle politiche green europee.

Infine, ci sono gli investimenti privati. Sebbene il focus del webinar fosse principalmente sulla finanza pubblica, Olivier Vardakoulias ha precisato che “la finanza privata è altrettanto importante”, ma servono ugualmente politiche pubbliche per indirizzare il mercato verso la transizione ecologica: “Esistono diversi strumenti per facilitare questo cambiamento, come la regolamentazione finanziaria (la tassonomia europea e la direttiva CSRD), la politica monetaria abbassando i tassi di interesse, e gli incentivi ai privati per determinare le direzioni degli investimenti, come nel caso delle politiche fiscali legate alla tassazione del carbonio”, ha concluso l’economista di CAN Europe.

Tassare per finanziare la transizione ecologica

 Se mancano i soldi, per uno stato il metodo più rapido ed efficace è recuperarli attraverso la tassazione, ovviamente in un’ottica di equità sociale. “C’è stata una straordinaria concentrazione di ricchezza negli ultimi anni”, ha ricordato Brachet, di CAN Europe nel suo intervento al webinar. La distribuzione della ricchezza, infatti, è diventata sempre più diseguale, con un enorme trasferimento di capitali dalle classi medie e basse verso l’élite: l’1% più ricco possiede il 47% della ricchezza finanziaria totale in Europa.

Con una ricaduta diretta sulle emissioni di carbonio, perché sono le fasce più ricche della popolazione a inquinare di più: “Dobbiamo garantire che i più ricchi contribuiscano in modo equo alla transizione”, è la conclusione di Brachet. Per avere un’idea, il 10% più ricco dei cittadini europei ha un’impronta di carbonio di 29,2 tonnellate di CO₂ per persona all’anno, mentre il 50% più povero ha un’impronta di carbonio di circa 5 tonnellate di CO₂ per persona all’anno.

Sono due le strade evidenziate da Isabelle Brachet. Un’opzione è una tassa sulla ricchezza estrema, che colpirebbe una percentuale minima della popolazione, ossia coloro che possiedono patrimoni superiori a diversi milioni di euro. Questa tassa dovrebbe essere progressiva, con aliquote che vanno dall’1% al 5%, in modo da garantire una maggiore equità. Inoltre, dovrebbe includere misure per contrastare l’elusione fiscale, come l’istituzione di un registro europeo dei beni e un aumento della trasparenza sulla proprietà delle aziende.

La proposta di una tassa sulle grandi ricchezze nell’UE potrebbe generare tra i 180 miliardi di euro e i 1280 miliardi di euro all’anno, mentre una tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe generare tra i 34 miliardi e i 300 miliardi di euro all’anno. Una parte significativa del gettito derivante da questa imposta sarebbe destinata direttamente al bilancio dell’Unione Europea, con l’obiettivo di finanziare la transizione ecologica e promuovere la giustizia sociale: “La tassa sulla ricchezza estrema non solo aiuta a finanziare la transizione, ma riduce anche le disuguaglianze”, ha concluso Brachet.

jet dei ricchi

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Tassare ed eliminare i sussidi ai combustibili fossili

L’altra opzione è introdurre una tassa sui profitti dell’industria fossile, per disincentivare gli investimenti nelle fonti energetiche inquinanti e raccogliere fondi da destinare allo sviluppo delle energie rinnovabili. Invece, nonostante gli impegni internazionale, i sussidi ai combustibili fossili e alle infrastrutture a essi legate continuano a crescere e hanno toccato nel 2022 la cifra record di 136 miliardi di euro.

“I governi continuano a spendere più in sussidi ai combustibili fossili che in rinnovabili. Tutto ciò – ha denunciato Isabelle Brachet – non è compatibile con l’Accordo di Parigi. Abbiamo bisogno di una strategia chiara per eliminare i sussidi alle aziende fossili sia a livello nazionale che europeo”. CAN Europe propone perciò di rimuovere i combustibili fossili dai finanziamenti europei, modificando le regole sugli aiuti di Stato per impedire il supporto ai settori inquinanti e garantire una maggiore trasparenza e la rendicontazione sui sussidi.

A cui aggiungere una vera e propria tassa sui profitti di queste aziende inquinanti. “Sarebbe necessario – si legge nel position paper di CAN Europe – un regolamento europeo per garantire un’introduzione coordinata di tale imposta in tutti gli Stati membri. Ciò ridurrebbe le possibilità di pianificazione fiscale aggressiva e di elusione fiscale all’interno dell’Unione Europea. Un buon precedente su cui basarsi potrebbe essere il contributo di solidarietà per l’industria dei combustibili fossili (previsto dal regolamento del Consiglio europeo del 2022), che forniva un quadro comune con requisiti minimi condivisi (aliquota fiscale minima, definizione di profitto imprevisto).

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La mobilitazione e le campagne per tassare le fonti fossili

Numerose campagne e mobilitazioni stanno spingendo per l’adozione di queste misure. Oltre a quella di Climate Action Network Europe di cui si è discusso nel webinar, Tax the Super Rich di Greenpeace, per introdurre imposte sulla ricchezza estrema, Make Polluters Pay, per far pagare le industrie fossili per i danni ambientali, più altre mobilitazioni internazionali in occasione del G7 e della COP30 per ottenere impegni più concreti dai governi. Tra queste anche ASud, associazione editrice di EconomiaCircolare.com con la campagna Clean the COP ha chiesto di estromettere i lobbisti delle aziende fossili dalle Conferenze per il clima.

Una strategia basata sulla mobilitazione dal basso, con campagne che coinvolgano cittadini, comunità locali e attivisti, per spingere i governi a tassare i grandi patrimoni e i profitti dell’industria fossile è la via indicata da Nicolò Wojewoda, dell’organizzazione ambientalista 350.org. Mai come adesso c’è bisogno di ribaltare la narrazione: “Non è una questione di pagare più tasse, ma di far pagare chi ha guadagnato enormemente senza contribuire al bene comune”. L’opposto di quanto stanno cercando di fare i movimenti populisti anti-climatici: “Vogliono spostare l’attenzione dai veri responsabili della crisi – i super-ricchi e le grandi aziende fossili – per far ricadere i costi della transizione sulle classi medie e lavoratrici”, ha messo in guardia Wojewoda.

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