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L’indebolimento della direttiva sulla due diligence messo in atto dalla Commissione europea a febbraio con il pacchetto Omnibus I potrebbe compromettere la leadership globale dell’UE in materia di sostenibilità e diritti umani, oltre ad avere serie implicazioni economiche negative. Ad affermarlo sono più di ottanta economisti dei vari Stati membri, tra cui tredici italiani, nella dichiarazione congiunta “Oltre i profitti a breve termine: perché l’UE deve difendere la direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale e il Green Deal”.
Nel documento gli economisti contestano punto per punto i tentativi di annacquare la direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale (CSDDD). “È un passaggio cruciale ed efficace verso un’economia che rispetta i diritti umani, l’ambiente e il clima, e che inquadra le attività economiche in modo compatibile con i limiti planetari”, spiegano, e non è assolutamente vero che queste misure sono un limite alla competitività delle imprese. Anzi: “Sia in Europa che nel Sud del mondo – prosegue la dichiarazione – si prevedono effetti economici positivi per effetto dell’applicazione degli standard sui diritti umani e ambientali. In tempi turbolenti, la CSDDD crea anche un incentivo per l’economia europea a perseguire una specializzazione lungimirante, dove i profitti non siano più realizzati a spese dei diritti umani e dell’ambiente”.
Gli economisti spiegano, inoltre, che i costi di conformità per le grandi aziende nell’attuazione degli obblighi di due diligence sono trascurabili: in media solo lo 0,009% del fatturato. La maggior parte delle aziende, inoltre, è favorevole agli obblighi della due diligence, mentre in caso di revoca delle norme sulla sostenibilità ci sarebbero rischi per la fiducia degli investitori e la coerenza normativa. Perciò i firmatari esortano la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo a garantire “un’attuazione tempestiva e ambiziosa” della CSDDD e delle altre normative del Green Deal europeo e si “oppongono alla proposta del pacchetto Omnibus I della Commissione UE, che limiterebbe in modo significativo l’efficacia della direttiva”.
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I contenuti della Due Diligence Directive e il rinvio nel pacchetto Omnibus
La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) obbliga le imprese e i relativi partner a monte e a valle (compresi quelli per l’approvvigionamento, la produzione e la distribuzione) a prevenire, fermare o attenuare le ripercussioni negative delle loro attività su ambiente e diritti umani. Nella direttiva si citano a titolo di esempio schiavitù, lavoro minorile, sfruttamento dei lavoratori, perdita di biodiversità, inquinamento e distruzione del patrimonio naturale. Secondo la proposta inclusa nel pacchetto Omnibus e adottata dal Parlamento, i Paesi UE avranno un anno in più del previsto – fino al 26 luglio 2027 – per trasporre le norme nella legislazione nazionale.
Oltre all’adozione negli Stati membri, il rinvio di un anno si applicherà anche alle prime aziende interessate dalla direttiva. Si tratta delle imprese dell’Unione Europea con oltre 5000 dipendenti e un fatturato netto superiore a 1,5 miliardi di euro, e delle aziende non UE con un fatturato superiore all’interno dell’UE a tale soglia, che dovranno applicare le norme solo dal 2028 (e non dal 2027). La stessa data di applicazione varrà per la seconda mandata di aziende coinvolte, ovvero quelle dell’UE con oltre 3000 dipendenti e un fatturato netto superiore a 900 milioni di euro, e le aziende non UE con un fatturato nell’UE superiore a tale soglia.
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La due diligence non danneggia la concorrenza e ha costi modesti
Gli economisti contestano la miopia politica della scelta di Bruxelles: “La Commissione presenta il pacchetto Omnibus I come parte di una cosiddetta rivoluzione della semplificazione nel quadro del Nuovo Patto per la Competitività Europea, che si baserebbe sulla fiducia nelle imprese“. Tuttavia, sottolineano nella lettera, non viene fornita alcuna evidenza empirica che le normative sulla rendicontazione di sostenibilità e due diligence siano “una fonte significativa di oneri normativi”.
“Come economisti – prosegue il documento – non condividiamo una concezione della concorrenza che accetta l’esternalizzazione dei costi sociali e ambientali a spese della natura, del clima, dei lavoratori e di altri soggetti coinvolti nelle catene globali di approvvigionamento. Dal punto di vista economico, giuridico ed etico, non è accettabile che la popolazione e le future generazioni paghino i costi ecologici e sociali delle pratiche aziendali irresponsabili“.
Piuttosto, si chiarisce che tra i fattori strutturali che contribuiscono al rallentamento economico dell’Europa figurano i decennali ritardi su investimenti in infrastrutture e servizi pubblici, il calo della domanda interna alimentato dalla persistenza di bassi salari e le crescenti disuguaglianze. A cui si aggiungono i costi enormi della distruzione ambientale e della crisi climatica. Proprio quei costi che direttive come la CSDDD e la CSRD potrebbero contribuire ad attenuare.
L’altra argomentazione smontata dagli economisti è quella secondo cui le normative sulla sostenibilità comportino oneri eccessivi per le imprese, definendola “fondamentalmente errata“: “I costi di implementazione della CSDDD sono molto modesti. Uno studio della London School of Economics commissionato dalla Commissione UE stima che i costi per l’adempimento degli obblighi di due diligence sui diritti umani e sull’ambiente per le grandi imprese siano mediamente pari allo 0,009% dei loro ricavi”, si legge. In genere le imprese possono accedere ai dati necessari senza sostenere costi aggiuntivi significativi perché sono spesso già disponibili pubblicamente.
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Bloccare il percorso verso la sostenibilità crea incertezza tra gli investitori
Inoltre, studi indipendenti indicano che la maggior parte delle imprese sostengono gli obblighi di due dilgence, mentre si oppongono solo alcune lobby. “In Germania, ad esempio – si legge nel documento – solo il sette per cento delle imprese rifiuta la due diligence obbligatoria, come ha rivelato uno studio del 2024 del Handelsblatt Research Institute commissionato da Creditreform basato su un sondaggio rappresentativo di 2000 aziende tedesche. L’81% degli intervistati – proseguono gli economisti – ha dichiarato di rispettare già o in parte gli obblighi di due diligence. Un terzo vede anche opportunità di business, come un aumento della reputazione aziendale, una maggiore qualità dei componenti per la produzione e una maggiore resilienza nella catena di fornitura”.
C’è poi un altro aspetto fondamentale: le regolamentazioni sulla sostenibilità stanno iniziando a produrre effetti. Perciò, mettono in guardia gli economisti, “compromettere l’attuazione in questo momento destabilizzerebbe fortemente il quadro giuridico, creerebbe incertezza per gli investitori e probabilmente arresterebbe i progressi finora ottenuti”. Peraltro in settori in cui sono fondamentali finanziamenti privati “per colmare il gigantesco gap di investimenti superiore a 750 miliardi evidenziato nel Rapporto Draghi: senza parametri che possano guidare le loro decisioni d’investimento verso attività economiche sostenibili, potrebbe emergere un livello pericoloso di incoerenza e incertezza“, avvertono.
La Campagna Impresa 2030 contro lo smantellamento della due diligence
Invece di eliminare gli obblighi, concludono gli economisti, “un regime di responsabilità civile in tutta l’Unione Europea per i danni causati dalle imprese e multe collegate ai ricavi sono indispensabili per indirizzare le attività economiche verso percorsi sostenibili e garantire il diritto delle parti interessate al risarcimento”. Parole molto apprezzate dalla Campagna Impresa 2030, il cui scopo è “trasformare il contesto di sostanziale impunità in cui le imprese multinazionali si trovano oggi ad operare in tutto il mondo dove sono coinvolte, direttamente o indirettamente, in devastazioni ambientali, violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, espulsioni di popoli indigeni e sfruttamento del lavoro minorile”.
Per questo motivo la Campagna Impresa 2030 sostiene l’approvazione della direttiva comunitaria europea sulla due diligence e ritiene che l’avvertimento degli economisti non possa essere ignorato dalla politica. “L’Istat ha di recente confermato una forte relazione positiva tra sostenibilità e produttività tra le imprese più impegnate nella tutela dell’ambiente”, dichiara Cristiano Maugeri di ActionAid, coportavoce della Campagna Impresa 2030. “La garanzia dei diritti delle persone che lavorano lungo le filiere globali raggiunto con la direttiva Due Diligence – prosegue Maugeri – rappresenta un valore aggiunto da tutelare per l’Europa e su cui investire, non certo da smantellare cedendo alle pressioni delle lobbies che vogliono allontanare l’UE dalla transizione ecologica giusta”.
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