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lunedì, Dicembre 9, 2024

Direttiva sulla due diligence, ok definitivo dell’Europarlamento

Ok definitivo da parte del Parlamento UE sulla nuova direttiva "due diligence", che obbliga le grandi aziende a rispettare diritti umani e ambiente. Ma a quali imprese si applica e quali sono gli obblighi e le sanzioni? Tutto quello che c'è sapere

Mercoledì 24 aprile è arrivato il via libera definitivo del Parlamento europeo alla nuova direttiva sulla due diligence, la cosiddetta CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence directive, che obbliga le grandi aziende a mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente. Il voto dell’Assemblea di Strasburgo cade nell’undicesimo anniversario del crollo dell’edificio Rana Plaza a Savar, dell’area metropolitana di Dacca, capitale del Bangladesh. Quell’edificio ospitava circa 5.000 lavoratrici e lavoratori delle fabbriche della catena di fornitura di famosi marchi del fashion: il crollo uccise 1.138 persone e ne ferì più di 2.500.

Direttiva due diligence: il voto e le prossime tappe

Con 374 voti favorevoli, 235 contrari e 19 astensioni la nuova direttiva, frutto di un accordo con il Consiglio europeo che ne aveva ridimensionato la portata in maniera significativa, impone alle imprese e ai loro partner a monte e a valle, compresi fornitura, produzione e distribuzione, di prevenire, porre fine o mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente. Tale impatto includerà la schiavitù, il lavoro minorile, lo sfruttamento del lavoro, la perdita di biodiversità, l’inquinamento o la distruzione del patrimonio naturale.

Dopo il voto dell’EuroCamera, uno degli ultimi di questa legislatura europea che volge al termine, la direttiva ora deve essere approvata formalmente dal Consiglio, firmata e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. Entrerà in vigore venti giorni dopo e gli Stati membri avranno due anni per recepirla nelle legislazioni nazionali.

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A quali imprese si applica la direttiva sulla due diligence

Il perimetro della CSDDD, ridimensionato dal compromesso raggiunto dal Consiglio UE lo scorso marzo, riguarda circa 5.500 aziende (contro le 16.000 iniziali). Le norme si applicheranno alle imprese europee e alle società madri con oltre 1.000 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro. Coinvolte anche le aziende con accordi di franchising o di licenza nell’UE che garantiscono un’identità aziendale comune con un fatturato mondiale superiore a 80 milioni di euro, se almeno 22,5 milioni di euro sono stati generati da royalties. Saranno coperte anche le società extra-UE, le società madri e le società con accordi di franchising o di licenza nell’UE che raggiungono le stesse soglie di fatturato nell’UE.

Le nuove regole (ad eccezione degli obblighi di comunicazione) si applicheranno gradualmente alle grandi imprese UE e a quelle extra UE che raggiungono le stesse soglie di fatturato nell’UE. In particolare:

  • dal 2027 alle aziende con oltre 5.000 dipendenti e fatturato mondiale superiore a 1.500 milioni di euro;
  • dal 2028 alle imprese con oltre 3.000 dipendenti e 900 milioni di euro di fatturato mondiale;
  • dal 2029 a tutte le restanti imprese rientranti nel campo di applicazione della direttiva (comprese quelle con oltre 1.000 dipendenti e fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro)
Due diligence, manifestazione per le vittime di Rana Plaza
Due diligence, manifestazione per le vittime di Rana Plaza – Foto: Flickr

Gli obblighi di due diligence delle imprese

Queste aziende dovranno integrare la due diligence nelle loro politiche: gli amministratori dovranno effettuare gli investimenti necessari ad assicurare la “dovuta diligenza”, chiedere garanzie contrattuali ai propri partner, migliorare il proprio piano aziendale o fornire supporto ai partner commerciali di piccole e medie dimensioni per garantire che rispettino i nuovi obblighi. Nei loro confronti si profila una sorta di responsabilità oggettiva per quello che accade lungo l’intere catena di fornitura.

Le impresa coinvolte dalle previsioni della CSDDD sono anche obbligate, all’articolo 15 a “garantire, attraverso i migliori sforzi, che il modello di business e la strategia dell’azienda siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile” e ad adottare un “piano di transizione” per rendere il proprio modello di business compatibile con il limite di 1,5°C di aumento della temperatura media del Pianeta rispetto ai livelli preindustriali, come previsto dagli Accordi sul clima di Parigi. Il Consiglio europee, durante la trattativa che ha depotenziato il testo originario, ha ottenuto che si eliminasse l’obbligo per le aziende di collegare la retribuzione degli amministratori alla programmazione di lungo periodo e al buon esito dei piani di transizione.

I requisiti di rendicontazione dei piani di transizione climatica del CSDDD sono allineati ai requisiti della CSRD, la Corporate Sustainability Reporting Directive, garantendo così che le aziende rientranti nell’applicazione di entrambe le direttive non debbano effettuare una doppia segnalazione. Il piano di transizione climatica richiesto dalla CSDDD sarà riportato nel report CSRD, a condizione che l’azienda rispetti i requisiti di attuazione del CSDDD per il piano di transizione elencati di seguito:

  • un obiettivo intermedio di 5 anni, limitato nel tempo, dal 2030 al 2050, che copra, ove opportuno, le emissioni di gas serra Scope 1, 2 e 3;
  • Principali attività pianificate per il raggiungimento degli obiettivi;
  • Aspetti finanziari finalizzati a realizzare il piano di transizione;
  • Informazioni sulla governance del piano di transizione.

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Le sanzioni e i risarcimenti

Gli Stati membri saranno tenuti a fornire alle aziende informazioni dettagliate sui loro obblighi tramite portali contenenti gli orientamenti della Commissione. Nasceranno inoltre autorità nazionali di vigilanza per indagare e imporre sanzioni alle imprese che adottano condotte non conformi. Le aziende saranno responsabili dei danni causati dalla violazione degli obblighi di dovuta diligenza e dovranno risarcire integralmente le loro vittime.

Tra le sanzioni è previsto il cosiddetto “naming and shaming”, vale a dire la messa all’indice attraverso una denuncia esplicita della condotta che impatti negativamente su diritti umani e ambiente e di chi se ne rende responsabile. Accanto a questo danno reputazionale si possono comminare multe fino al 5% del fatturato netto mondiale delle aziende.

La Commissione Ue istituirà una Rete europea delle autorità di vigilanza, in modo da sostenere la cooperazione tra le autorità nazionali e consentire lo scambio delle buone pratiche.

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I commenti dopo il voto

Dopo il voto in plenaria Lara Wolters, eurodeputata dell’alleanza Socialisti e Democratici, ha parlato di “una pietra miliare per una condotta aziendale responsabile e un passo considerevole verso la fine dello sfruttamento delle persone e del pianeta”. Non nega la dura battaglia che ha portato in ogni caso a un compromesso che ha ridimensionato la versione iniziale della direttiva (presentata dalla Commissione il 23 febbraio 2022), escludendo ad esempio la possibilità di applicarla tout court ad alcuni settori particolarmente impattanti, ma si dice soddisfatta del lavoro svolto con gli alleati progressisti. “Nel prossimo mandato del Parlamento, lotteremo non solo per la sua rapida attuazione, ma anche per rendere l’economia europea ancora più sostenibile” chiosa poi Wolters.

L’associazione per i diritti umani Human Right Watch pone l’accento sull’iter travagliato della direttiva sulla due diligence: “I governi di Francia, Italia e Germania hanno notevolmente ridotto la portata della legislazione, limitandone l’applicazione a società molto grandi, escludendo alcuni settori ed estendendo il tempo necessario” per la sua entrata in vigore. “L’undicesimo anniversario del disastro del Rana Plaza – ha affermato Aruna Kashyap, direttore associato per la responsabilità d’impresa di Human Rights Watch – è un triste promemoria del perché una legge sulla due diligence è attesa da tempo. Il voto del Parlamento europeo invia un messaggio forte: l’UE non dovrebbe più permettere alle grandi aziende di farla franca con gli abusi dei diritti umani e dell’ambiente”.

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