L’Agenda 2030 dell’Onu è una delle conferme più evidente che le buone intenzioni, da sole, non bastano. Se è vero che i 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile (noti con le sigla Goal o SDGSs), indicati dalle Nazioni Unite nel 2015 e approvati da 193 Paesi, identificano gli ambiti in cui bisogna intervenire per assicurare la sostenibilità economica, sociale e ambientale del modello di sviluppo, è innegabile che il percorso compiuto finora ha lasciato più amarezze che soddisfazioni. Ne è prova la risoluzione finale annunciata dall’Assemblea generale dell’Onu il 19 settembre a New York, e che verrà ufficialmente adottata nel corso di questa settimana.
Le parole di António Guterres, segretario generale dell’Onu, sono in questo senso emblematiche. “Gli obiettivi di sviluppo sostenibile non sono una lista di obiettivi, ma contengono le speranze, i sogni, i diritti e le attese delle persone ovunque – ha detto Guterres in apertura del vertice USA – Solo il 15% degli obiettivi di sviluppo sostenibile sono sul percorso giusto ma per alcuni si sta addirittura tornando indietro. Invece di non lasciare nessuno indietro, rischiamo di lasciare indietro proprio gli SDGs”, ha ribadito il segretario generale invocando “un piano globale di salvataggio“, che richiede un supporto dei Paesi di “almeno 500 miliardi all’anno“.
A New York era presente anche Enrico Giovannini, ex ministro del governo Draghi e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). “Non era scontato arrivare a una sintesi comune, ma i Paesi del Sud restano in disaccordo con quelli del Nord su vaccini e clima. Tra le priorità italiane per i prossimi summit ci sarà il tema della sicurezza alimentare. Al di là del fatto che si poteva fare di più, non si tratta di un risultato scontato, la cosa positiva è che esiste una dichiarazione con la quale andare avanti per accelerare sull’Agenda 2030 – ha commentato Giovannini – Nel suo intervento il segretario generale Onu, António Guterres, ha chiesto di accelerare sulla base di quanto i Paesi avevano promesso ormai otto anni fa. Tocca ora vedere come questo impegno diventerà reale partendo dai prossimi grandi appuntamenti internazionali, come la Cop28 sul clima che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi, a Dubai”.
Le osservazioni di Giovannini sono importanti sia per il ruolo che lo stesso ex ministro da anni svolge per attuare gli obiettivi Onu sia per l’accenno alla situazione italiana. A che punto è l’attuazione dell’Agenda 2030 nel nostro Paese?
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La nuova versione italiana dell’Agenda 2030
In vista dell’appuntamento di New York il governo Meloni ha provato a farsi trovare preparato. Annunciando il 18 settembre che il CITE, il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica, ha approvato la revisione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. Il documento declina gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU adattandoli al contesto italiano: approvata la prima volta nel 2017, la Strategia, si legge nel comunicato stampa del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, “è stata revisionata nel 2022 dopo un ampio processo partecipativo, che ha coinvolto i ministeri competenti, la Conferenza Stato-Regioni-Province Autonome, gli enti territoriali, la società civile e gli attori non statali riuniti nel Forum nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
“La nostra Strategia – spiega il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto – si caratterizza per un approccio concreto e molto partecipativo, per unire tutti di fronte a obiettivi comuni: le grandi questioni climatiche hanno un riflesso evidente sull’ambiente, ma sono strettamente collegate anche a temi quali la crescita economica e l’esasperazione delle diseguaglianze sociali. Questa Strategia – conclude Pichetto – non è dunque un libro delle buone intenzioni, ma un quadro strategico di azione per portare avanti le tre dimensioni della sostenibilità ambientale sociale ed economica, che deve mettere in coerenza tutti i livelli amministrativi, con la spinta propositiva della società”.
Per raggiungere i 17 goals dell’Agenda delle Nazioni Unite, la Strategia parte dalle cosiddette cinque “P”, che connettono trasversalmente dinamiche economiche, questioni sociali e qualità ambientale: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership. Da queste discendono quindici scelte strategiche su tutti i campi d’azione della Strategia: dalla gestione sostenibile delle risorse naturali all’abbattimento delle emissioni climalteranti, dalla promozione di un benessere economico sostenibile, al contrasto alla povertà e allo sviluppo di un’occupazione di qualità, di una società non violenta, inclusiva e rispettosa dei diritti umani, senza discriminazioni.
Nell’ottica di dare quanta più concretezza al percorso, tra le novità della nuova Strategia vi è la definizione di “valori obiettivo”, che sono misurati annualmente attraverso una serie di indicatori: 55 sono definiti di primo livello e costituiscono un nucleo comune per tutte le amministrazioni centrali e territoriali. Altri 190 si definiscono di secondo livello e garantiscono il monitoraggio complessivo degli obiettivi posti. Nella stesura del testo, si è deciso inoltre di dare particolare evidenza ai cosiddetti tre “vettori di sostenibilità”: la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile, la cultura e la partecipazione per lo sviluppo sostenibile. Viene evidenziata l’importanza dei territori e di una governance multilivello, delle attività di valutazione e monitoraggio, di educazione, formazione e comunicazione, di collaborazioni e partenariati. Per l’attuazione della Strategia il CIPESS (il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), lo scorso 20 luglio, ha stanziato per l’annualità 2023/2024 una cifra pari a circa 17 milioni di euro. Bruscolini rispetto ai 500 miliardi chiesti da Guterres a New York.
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I dati Istat sull’Agenda 2030 (in attesa del rapporto ASviS)
Lo dicevamo all’inizio: le buone intenzioni, da sole, non bastano, se non sono accompagnate da finanziamenti adeguati a sostenerle e da politiche coraggiose che possano rovesciare il paradigma di sviluppo che ha condotto a un Paese largamente insostenibile, nelle tre accezioni definite dall’Onu e dal governo (ambientale, sociale ed economica). È la sensazione che emerge consultando la sesta edizione del rapporto Istat sui Sustainable Development Goals (SDGs), diffuso lo scorso giugno. Nel quadro del monitoraggio degli avanzamenti dell’Agenda 2030 a livello globale, il rapporto italiano è stato chiuso con le informazioni disponibili al 14 giugno 2023: rispetto alla diffusione di ottobre 2022, sono state aggiornate 223 misure statistiche e ne sono state introdotte cinque nuove. E come ce la passiamo? Non proprio bene. Gli andamenti relativi all’ultimo anno mostrano che il 42,6% delle misure è in lieve miglioramento, il 24,6% è stazionario e il 32,8% è in peggioramento. In un pezzo pubblicato su ilmanifesto Livio De Santoli, prorettore per la sostenibilità all’università La Sapienza di Roma, traccia un bilancio critico.
“La percentuale di misure con variazione positiva è buona per il Goal 17 (Partnership per gli obiettivi), per il quale migliorano tutte le misure che riguardano l’uso dell’ICT, anche se il nostro Paese rimane agli ultimi posti in Europa. Anche il Goal 5 (Parità di genere) registra un miglioramento, in particolare per la presenza delle donne nelle posizioni direttive. Nel Goal 7 (Energia pulita) si riscontra il maggior numero di indicatori in peggioramento a causa della forte ripresa dei consumi energetici dopo la pandemia, e di una contenuta crescita dei consumi da fonti rinnovabili – scrive De Santoli – Per il Goal 16 (Istituzioni) la percentuale di misure in peggioramento è consistente, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di affollamento delle carceri e della minore soddisfazione verso i servizi pubblici. Mentre nei Goal 8 (Lavoro), 12 (Consumo e produzione responsabile), 16 (giustizia) tre quarti o più delle misure presentano una variazione positiva, nei Goal 2 (Fame zero), 4 (Istruzione), 11 (Città e comunità sostenibili) 13 (Cambiamento climatico) peggiora più di un terzo degli indicatori”.
Ulteriori informazioni si apprendono poi dalla conferenza stampa organizzata dall’Istat il 20 giugno scorso. La dottoressa Paola Ungaro, prima ricercatrice Istat, ha focalizzato la propria attenzione anche sulle disparità regionali, constatando che la maggior parte sulle disuguagliazanze si registrano nei Goal 7 (Energia), a causa dell’aumento delle distanze fra regioni per quote di consumi energetici e per l’alta intensità energetica dell’industria, e nel Goal 11 (Città), per i divari di accesso al trasporto pubblico. D’altra parte quasi i due terzi delle migliori performance degli ultimi anni si registra nel Nord Italia. È stato poi sottolineato anche il potenziale ruolo del PNRR per attutire le disuguaglianze tra regioni, in sintonia molto spesso con gli obiettivi dell’Agenda 2030, anche se, pure nell’ambito dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, le buone intenzioni stanno faticando a essere concretizzate.
Il prossimo appuntamento per verificare progressi e ritardi del nostro Paese verso il raggiungimento dei 17 Goal dell’Agenda 2030 è il 19 ottobre: in quell’occasione sarà presentata l’ ottava edizione del rapporto ASviS, realizzato con il contributo di mille esperte ed esperti. “Per consentire all’Italia di attuare l’Agenda 2030, firmata da 193 Paesi delle Nazioni unite, è necessario infatti – si legge sul sito di ASviS – modificare significativamente le politiche pubbliche, nazionali ed europee, le strategie del settore privato e i comportamenti individuali e collettivi. L’urgenza è dettata dalle numerose crisi, a partire dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, che hanno pesato negativamente sugli sforzi fatti dal 2015 a oggi”. A partire da questo appello, aggiungiamo noi, va poi dato un ruolo centrale all’economia circolare: pur non prevista specificatamente in nessuno dei 17 obiettivi ONU è in realtà trasversale e tocca, in misura più o meno evidente, ciascuno di essi.
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