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venerdì, Novembre 15, 2024

Report WRI: “Banche fuori strada rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione”

Secondo un’analisi condotta dal World Resources Institute su 17 diversi indicatori relativi agli impegni per raggiungere emissioni zero, le banche non stanno facendo abbastanza e i loro obiettivi, quand’anche fossero raggiunti, sono insufficienti

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Redazione EconomiaCircolare.com

La banche non stano facendo la loro parte contro la crisi climatica. Un’analisi del World Resources Institute (WRI) evidenzia come molti istituti di credito non stiano rispettando le loro promesse, e che quand’anche lo facessero gli impegni non sarebbero comunque allineati con gli obiettivi del trattato di Parigi che vorrebbe limitare il surriscaldamento globale entro 1,5 gradi.

Anderson Lee e Amanda Carter, un ricercatore e una ricercatrice del WRI, nell’articolo “Banks Are Not On Track to Meet Net Zero Commitments“, esaminano l’impegno delle banche a raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050. Quello che scrivono è sconcertante: “Abbiamo scoperto che non solo le banche non sono in grado di raggiungere gli obiettivi di zero netto, ma che molti dei loro impegni sono meno ambiziosi di quanto sembri a prima vista”.

Tracciare le emissioni delle banche: Net Zero Tracker

La analisi sulle iniziative delle banche si basano sui dati del Net Zero Tracker del World Resources Institute: uno strumento online sviluppato per analizzare i progressi di 25 banche selezionate nell’implementazione dei loro impegni per raggiungere le emissioni nette zero. Questo tracker “è stato progettato per fornire una visione dettagliata e comprensiva delle attuali politiche climatiche delle banche e per spingere verso una maggiore qualità e ambizione degli impegni climatici”. Il Net Zero Tracker offre una visione olistica degli impegni delle banche, analizzando indicatori come:

– i target di riduzione delle emissioni;

– il rapporto tra finanza verde e finanza fossile;

– le politiche per l’eliminazione dei finanziamenti ai settori del carbone, del petrolio e del gas;

– come le banche utilizzano la loro influenza per promuovere la sostenibilità tra i loro clienti e come partecipano al dialogo politico per supportare politiche climatiche;

– le strategie per affrontare l’impatto socio-economico della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Il campione delle banche analizzate nel rapporto del World Resources Institute comprende Le 25 banche del campione, spiega il WRI, sono state “selezionate per il loro ruolo significativo nei loro rispettivi mercati e per i loro impegni verso il raggiungimento delle emissioni nette zero”. Il campione include alcune delle banche più grandi al mondo per totale degli attivi, nonché istituzioni finanziarie più piccole “che giocano un ruolo prominente nei loro impegni di net zero”.

banche clima
Fonte: WRI

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Perché le banche sono importanti per arginare la crisi climatica

Le banche, “pur non producendo molte emissioni di gas serra direttamente, hanno un’influenza significativa attraverso la loro capacità di finanziare attività economiche”, spiegano i ricercatori. Perché possono – o meglio potrebbero – incentivare il passaggio verso soluzioni “amiche del clima”, riducendo i finanziamenti per i combustibili fossili e promuovendo investimenti in energie rinnovabili, trasporti puliti, edifici a basse emissioni e altre tecnologie verdi.

Strategie lacunose

“Nelle strategie di decarbonizzazione di molte banche mancano elementi chiave”, affermano i ricercatori. Spesso, i loro piani non includono politiche chiare per l’eliminazione graduale dei finanziamenti ai combustibili fossili o non coprono tutte le attività collegate al mondo delle fossili nei mercati dei capitali.

Facciamo l’esempio del carbone. La maggior parte delle banche del campione ha fissato delle tempistiche per eliminare gradualmente i finanziamenti al carbone, ma molte omettono alcune forme di finanziamento come i servizi di consulenza. Altre prevedono nei loro piani delle soglie di reddito o di fatturato, sotto le quali il carbone è come se sparisse dai radar. In altre parole, le banche stabiliscono che non finanzieranno più aziende che traggono più di una certa percentuale del loro reddito dal carbone. Tuttavia, le soglie stabilite sono spesso troppo alte, il che significa che molte aziende che traggono una parte significativa, ma non maggioritaria, del loro reddito dal carbone, non vengono incluse nelle restrizioni.

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Ancora troppa energia fossile

Le banche analizzate hanno mantenuto un rapporto medio di 1,3:1 tra finanziamenti verdi e finanziamenti per i combustibili fossili. Questo rapporto è molto al di sotto del rapporto di 10:1 raccomandato dall’International Energy Agency (IEA)per il 2030, necessario per sostenere la transizione verso un’economia sostenibile. “Questo mette in evidenza – affermano Anderson Lee e Amanda Carter – la necessità per le banche di aumentare drasticamente i loro investimenti in energia pulita”.

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Fonte: WRI

Disallineamento degli obiettivi di Parigi

Le riduzioni delle emissioni riportate dalle banche nei settori critici come petrolio, gas, energia, trasporti e industria” non sono in linea con i percorsi di riduzione delle emissioni necessari per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C entro il 2030”. I ricercatori del WRI puntano il dito contro “decarbonizzazioni di facciata” ed “emissioni che vengono ridotte solo sulla carta” attraverso ristrutturazioni di portafoglio o volatilità del mercato senza sforzi reali di decarbonizzazione nel mondo reale. “Abbiamo scoperto che, per la maggior parte dei settori, le banche in media non hanno allineato i loro sforzi di riduzione delle emissioni a percorsi di 1,5 gradi centigradi e non prevedono di farlo entro il 2030. In altre parole, le banche non pianificano nemmeno di ridurre le proprie emissioni nella misura necessaria, per non parlare dell’effettiva attuazione degli impegni presi”.

Nel settore automobilistico, ad esempio, le emissioni del portafoglio riportate dalle banche nel 2022 “erano in media del 28% superiori rispetto a dove avrebbero dovuto essere per allinearsi al limite di riscaldamento globale di 1,5°C”. E, sottolinea il WRI, se le tendenze attuali continueranno “si prevede che queste emissioni saranno 3 volte superiori al benchmark entro il 2030”.

Obiettivi insufficienti nei settori ad alta emissione

Molte banche non hanno ancora fissato obiettivi specifici per settori chiave ad alta emissione, come l’industria automobilistica, l’aviazione, il cemento, l’acciaio e l’edilizia. Gli obiettivi fissati, poi, sono fuorvianti, in una sorta di gioco delle tre carte per ingannare i consumatori e il mercato. Infatti sono spesso basati sull'”intensità delle emissioni fisiche”, come le emissioni di CO2 per unità di produzione. Un dato interessante se impiegato per misurare i progressi di un’azienda per confrontarli con quelli di altre aziende dello stesso settore, ma non si può fare a meno di considerare anche le emissioni assolute.

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Fonte: WRI

Leggi anche: Quanti finanziamenti ricevono gli allevamenti intensivi? I dati

Greenwashing in azione

Banche e finanza sono dunque complici della crisi climatica. Lo conferma anche un’inchiesta di Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos su voxeurop che racconta come le istituzioni finanziarie europee etichettano ingiustamente come “verdi” investimenti in settori altamente inquinanti, contribuendo al greenwashing e ostacolando la lotta contro la crisi climatica.

“Attraverso i cosiddetti fondi ‘Planet Saver’, gestiti da banche, fondi pensione e compagnie assicurative, viene finanziato più di un quarto degli investimenti europei in aziende tra le 200 principali emettitrici di gas serra nei settori più inquinanti come i combustibili fossili, l’agroalimentare e la moda”, leggiamo. Nonostante questi fondi siano regolamentati dalla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) dell’UE e siano formalmente classificati come “green”.

La normativa SFDR richiede la divulgazione degli obiettivi ambientali e sociali delle attività finanziate, ma “lascia spazio a interpretazioni flessibili” che permettono agli asset manager di “capitalizzare sul successo dei mercati finanziari verdi in Europa” anche investendo in aziende ad alta emissione di carbonio. Le maggiori istituzioni finanziarie coinvolte includono Deutsche Bank, BlackRock, Amundi, JP Morgan, e altre, che, attraverso una gestione poco trasparente dei fondi, promuovono l’immagine di essere sostenibili senza ridurre concretamente le emissioni di carbonio. “Abbiamo scoperto – scrivono gli autori – che i primi 10 gestori patrimoniali (sopra citati) sono responsabili di oltre un quarto di tutti gli investimenti dei ‘fondi verdi’ regolamentati dall’UE (87 miliardi di euro) nei 25 maggiori emettitori di gas serra in ciascuno degli otto settori economici a maggiore intensità di carbonio “.

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