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giovedì, Novembre 14, 2024

Comunità energetiche e autoconsumo collettivo. Viaggio nell’energia “green e smart” del futuro

Il quadro normativo attorno alle comunità energetiche e all’autoconsumo collettivo ormai è completo. I cittadini potranno diventare prosumer, cioè insieme produttori e consumatori. Ed è lunghissima la lista dei potenziali vantaggi. Insomma: il futuro è ora, ed è rinnovabile e "intelligente"

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Redazione EconomiaCircolare.com

“Quello delle comunità energetiche è un processo in grado di innescare un circolo virtuoso di vantaggi e benefici ambientali, sociali ed economici, ma soprattutto serve a ridurre gli impatti e affrontare i rischi del cambiamento climatico e a favorire concretamente la transizione energetica del nostro Paese”. È il 19 novembre scorso quando il senatore M5s Pietro Lorefice gioisce con queste parole a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto “Incentivi” del ministero dello Sviluppo Economico. Si tratta dell’ultimo atto che completa il quadro legislativo relativo alle comunità energetiche e all’autoconsumo collettivo, introdotte su iniziativa del MoVimento 5 Stelle nel decreto Milleproroghe. Il provvedimento anticipa parzialmente l’attuazione della direttiva europea RED II sulla promozione del ricorso alle ecoenergie. Prima che si arrivasse all’attuale crisi di governo, il provvedimento aveva raccolto unanimi consensi in tutto l’arco parlamentare, tra le associazioni dei produttori di energia solare e quelle ambientaliste. In ogni caso la rotta è stata tracciata.

Da cittadini a prosumer

Come si spiega un fronte così trasversale di adesioni? Con il decreto Incentivi viene in pratica lanciato un nuovo modello di produzione e consumo di energia rinnovabile: famiglie, piccole e medie imprese, enti locali si uniscono per condividere l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, potendola così autoprodurre, autoconsumare, immagazzinare oppure vendere.

Nello specifico le famiglie e gli altri soggetti che si trovano nello stesso edificio o condominio possono attivare forme di autoconsumo collettivo, mentre persone fisiche, piccole e medie imprese ed enti locali ubicati in un perimetro più ampio rispetto a quello dei condomini possono dar vita alle comunità energetiche. In questo scenario i cittadini diventano “prosumer”, cioè soggetti al tempo stesso produttori e consumatori di energia pulita, con un grande vantaggio per le loro tasche e per l’ambiente.

Nella guida Le comunità energetiche in Italia, realizzata nell’ambito del progetto europeo Geco e cofinanziato da EIT Climate-Kic, si legge che “in vista della riduzione delle emissioni di carbonio nel settore elettrico prevista per il 2050, si stima che 264 milioni di cittadini dell’Unione europea si uniranno al mercato dell’energia come prosumer, generando fino al 45% dell’elettricità rinnovabile complessiva del sistema”. E in Italia? Un rapporto del Politecnico di Milano, intitolato Electricity Market Report, stima che entro il 2025 potrebbero essere coinvolte un milione di utenze residenziali e tra le 150mila e le 300mila utenze non residenziali. Insomma: una vera e propria rivoluzione.

Le caratteristiche principali

Per comunità energetiche rinnovabili si intende un soggetto giuridico, autonomo e controllato da azionisti o membri – persone fisiche, piccole o medie imprese,  autorità locali (comprese le amministrazioni comunali) – che si uniscono per produrre, autoconsumare e vendere energia prodotta da fonti rinnovabili. L’obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera. Per questo motivo è stato stabilito che la partecipazione alla comunità non può costituire l’attività commerciale principale. A chi aderisce è attribuito per 20 anni un incentivo sull’energia prodotta di 100 o 110 euro/MWh, a seconda della configurazione adottata dai membri della comunità.

Per poter costituire uno schema di autoconsumo collettivo o una comunità di energia rinnovabile è necessario che gli impianti di produzione siano entrati in esercizio dopo il 1° marzo 2020, che abbiano complessivamente una potenza non superiore ai 200kW e che siano di proprietà di tali comunità.

La misura poi è attivabile anche su impianti che verranno costruiti col Superbonus 110%. “L’incentivo Superbonus – si legge nel decreto che lo istituisce – spetta anche alle comunità energetiche rinnovabili, limitatamente alle spese sostenute per impianti a fonte rinnovabile”. In particolare, i primi 20 kW hanno accesso al Superbonus 110%, mentre per la potenza restante si applica l’aliquota ordinaria del 50%, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate. La parte che usufruisce del Superbonus ovviamente NON avrà accesso all’incentivo di 100/110€ a MWh, e viceversa.

Per quanto riguarda la gestione degli impianti, la norma nazionale è chiara e inderogabilmente protetta anche dalla norma superiore europea: la gestione sarà sempre nelle mani dei cittadini/enti pubblici, mai delle imprese.

Autoconsumatori collettivi

Sono garantite poi le collaborazione, attraverso l’istituzione degli autoconsumatori collettivi, vale a dire un “gruppo di almeno due autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente e si trovano nello stesso edificio o condominio”. Un meccanismo che ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza nella produzione e consumo di energia delle famiglie e di contribuire a combattere la povertà energetica mediante la riduzione delle tariffe di fornitura non solo per le persone che vivono in abitazioni unifamiliari, ma anche per chi alloggia in condominio.

Il futuro è ora, ed è rinnovabile

Secondo un recente sondaggio Ipsos, solo il 6% degli italiani dichiara di sapere bene cosa sono le energie rinnovabili. Inoltre la maggioranza degli intervistati pensa alle rinnovabili come qualcosa di futuribile ma ancora poco immediato, al contrario di ciò che in realtà avviene, come ad esempio ha spiegato Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, in un intervento su EconomiaCircolare.com. È facile immaginare che per la diffusione delle comunità energetiche sarà determinante il ruolo dei soggetti proponenti, ovvero di chi prende l’iniziativa.

Autoconsumo e comunità energetiche, all’insegna dell’energia rinnovabili, sono dunque ufficialmente riconosciute in una norma nata in particolare dal lavoro del senatore 5 Stelle Gianni Girotto, che ne ha proposto le specifiche dapprima in Europa e quindi a livello nazionale, addirittura in anticipo rispetto alla scadenza naturale.

Le configurazioni di comunità energetiche, autoconsumo individuale e collettivo possono diventare una straordinaria opportunità sia in ambito urbano, nei quartieri e nei condomini, sia nei distretti produttivi che nelle aree agricole e periferiche. Se consideriamo i circa 1,2 milioni di condomini del nostro Paese, gli oltre 140 distretti industriali, 1.000 tra centri commerciali e outlet, le aree artigianali nei Comuni e quelle agricole, si può stimare un potenziale di circa 40 GW di solare fotovoltaico installabile con questo modello (attualmente sono installati circa 20GW di fotovoltaico). E, in questo senso, appare interessante anche il potenziale contributo dell’idrogeno verde, così come accertato dalla bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Per combattere la povertà energetica

Insieme a misure come il Superbonus 110%, autoconsumo e comunità energetiche vanno in soccorso ai tanti cittadini in situazione di povertà energetica, vale a dire che non riescono a pagare i servizi energetici primari. Con il Superbonus, infatti, si possono realizzare gratis cappotti termici e impianti fotovoltaici per autoprodurre energia da autoconsumare, conservare o addirittura vendere.

Autoconsumo e comunità energetiche consentiranno all’Italia di migliorare la propria posizione in Europa nella classifica della povertà energetica. Oggi siamo 19esimi su 28 Paesi (considerando anche il Regno Unito). Secondo un’indagine di Spi-Cgil e Fondazione Di Vittorio, attualmente vivono in povertà energetica poco più di 9 milioni di italiani, ossia più del 15% del totale (in gran parte anziani).

Tutti i vantaggi

Lo studio “Il contributo delle comunità energetiche alla decarbonizzazione in Italia”, realizzato da Elemens per Legambiente, ipotizza un pieno recepimento della direttiva RED II e IEM.  E descrive lo scenario di sviluppo in Italia entro il 2030, individuando una serie di vantaggi che qui riassumiamo:

  • il contributo in termini di nuova capacità rinnovabile può arrivare a 17,2 GW, incrementando la produzione elettrica di rinnovabili di circa 22,8 TWh, coprendo il 30% circa dell’incremento di energia verde prevista dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima)  per centrare i nuovi target di decarbonizzazione individuati a livello europeo;
  • gli investimenti stimati in nuova capacità rinnovabile sono di 13,4 miliardi di euro;
  • gli investimenti attivati genererebbero ricadute economiche sulle imprese italiane attive lungo la filiera delle rinnovabili pari a circa 2,2 miliardi di euro in termini di valore aggiunto contabile;
  • si prevede un incremento del gettito fiscale di circa 1,1 miliardi di euro;
  • si stima una riduzione della CO2 di 47,1 milioni di tonnellate;
  • l’impatto in termini di unità lavorative dirette, relative soltanto agli impianti, sarebbe pari a 19mila addetti. A ciò va aggiunto l’indotto che si verrebbe a creare attraverso gli interventi di efficienza energetica e gestione degli impianti, di integrazione della mobilità sostenibile, che si può stimare di almeno altrettanti;
  • zero burocrazia, in quanto basterà una comunicazione al GSE (Gestore Servizi Energetici) di avvenuta installazione dell’impianto, che varrà come autocertificazione. Niente bandi, nessuna complicata formalità.
  • risparmio sulla bolletta
  • coinvolgimento e partecipazione popolare nel processo di transizione energetica, con lo sviluppo di energia pulita a km zero.

E se ciò non bastasse va aggiunta la considerazione che produrre e consumare (o immagazzinare) energia nello stesso edificio o in edifici vicini significa evitare di disperdere circa il 7% dell’energia che si spreca nel viaggio per raggiungere spesso luoghi molto distanti (come se un acquedotto bucato perdesse il 7% d’acqua).

Inoltre più energia si autoconsuma e più si riducono i costi di alcune componenti variabili della bolletta (oneri di trasmissione, oneri di sbilanciamento). Cioè si riduce lo “stress” del sistema elettrico nazionale, consistente in una continua attività di bilanciamento della rete (pareggio tra energia prodotto e energia richiesta) che viene gestito tramite attività e servizi che costano miliardi ogni anno e che sono pagati appunto con le bollette di tutti.

A ciò va infine aggiunto, nell’ottica dell’economia circolare, che si creerebbe lavoro per le imprese del settore della progettazione, produzione, installazione, gestione e manutenzione di impianti fotovoltaici e di accumulo.

Collaborare in maniera circolare

Quello delle comunità energetiche e dell’autoconsumo colllettivo è un’applicazione dell’economia collaborativa (sharing economy): è un modello economico basato sulla condivisione di beni e servizi, una delle strategie alla base dell’economia circolare, che permette di superare l’attuale sistema che produce sprechi e rifiuti.

Vi consigliamo infine di consultare la pagina ad hoc creata dal GSE, il Gestore Servizi Energetici, dove trovate tutti i documenti e gli aggiornamenti utili.

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