Attivista e ambientalista boliviano, Pablo Solón è l’ex direttore esecutivo del Focus on the Global South. Si è unito alla lotta contro la privatizzazione dell’acqua a Cochabamba e La Paz all’inizio degli anni 2000 e ha coordinato il movimento boliviano contro l’accordo di libero scambio delle Americhe.
Ambasciatore straordinario della Bolivia per l’integrazione e il commercio dal 2006 al 2008 si è distaccato dal presidente Evo Morales in seguito alla repressione da parte della polizia di una marcia dei popoli indigeni.
Inizia la sua carriera all’Onu nel 2009 e partecipa alle Cop di Cancun e Copenaghen dove denuncia la necessità di contrastare il cambiamento climatico. Come ambasciatore dello Stato Plurinazionale della Bolivia presso le Nazioni Unite Solón ha guidato con successo le trattative che hanno portato a importanti risoluzioni per l’accesso all’acqua, per la difesa della natura e dei diritti delle popolazioni indigene.
A Glasgow lo abbiamo intervistato al termine del processo all’Unfccc organizzato dal tribunale dei diritti della natura all’interno del People’s Summit, il controvertice di attivisti, comunità e movimenti provenienti da tutto il mondo. Tenutosi nel Glasgow Film Theatre, l’iniziativa ha dato vita a una quattro giorni di discussioni e confronti per dare spazio alle voci rimaste inascoltate all’interno dei padiglioni blu della Conference of the Parties numero 26: un processo simulato del Tribunale dei diritti della natura dove le vittime sono i popoli e la natura mentre l’imputato è rappresentato dall’UNFCCC.
Durante il People’s Summit Pablo Solón si è detto deluso dalla Cop26. “Come ambasciatore della Bolivia per le Nazioni – ha affermato – non ho visto progressi rispetto ai negoziati delle Cop di Copenaghen e Cancun. Il tribunale e questo controvertice sono stati creati per sperimentare un diverso tipo di negoziazione in cui le parole dei popoli sono davvero ascoltate”.
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In che modo è importante il verdetto del Tribunale dei diritti della natura contro l’UNFCCC?
Rispetto alle Cop di dieci anni fa di Copenaghen e Cancun, la società civile si è resa conto che il sistema del Forum per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite è un fallimento. Non si può tornare indietro, ormai anche tra i negoziatori all’interno della Cop26 c’è la convinzione che il processo sia irreversibile.
Il tribunale dei popoli ha dimostrato la necessità di un sistema di negoziazione differente: non si tratta di chiedere soluzioni al sistema attuale perché è stato concepito male e non porterà a niente di nuovo.
Abbiamo bisogno di creare un meccanismo multilaterale di negoziazione sul tema del cambiamento climatico che non sia in mano a politici o imprese e che riesca a canalizzare la partecipazione delle organizzazioni della società civile.
Non possiamo risolvere la crisi climatica secondo una mera visione antropocentrica: se non accogliamo la prospettiva della natura non sarà possibile ristabilire un equilibrio con essa.
Come porterete, se lo porterete, questo verdetto verso le istanze Onu?
La coalizione della società civile crede davvero in quello che fa e nella necessità di ricostruire il meccanismo di negoziazione. Credo che la cosa fondamentale sia far conoscere questo verdetto al sistema dell’UNFCCC. È l’unico modo per evitare una catastrofe già iniziata.
Ciò significa condividere il verdetto sul piano della segreteria esecutiva della Convenzione quadro sul cambiamento climatico e nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quella emersa dal Tribunale dei diritti della natura è un’accusa molto grave: questo sistema sta provocando un ecocidio e preannuncia un genocidio. Stiamo parlando della vita di altri esseri viventi, delle vite dei popoli indigeni, vite impattate da un sistema di negoziazione fallimentare
Negli ultimi anni si sono sviluppate molte climate litigation/uso di strumenti legali esistenti nei sistemi giuridici, per fare pressione affinché gli impegni per il clima siano rafforzati. Cosa ne pensa?
Partendo dalla prospettiva dei diritti della natura, dieci anni fa furono riconosciuti nella costituzione ecuadoriana e nella legislazione boliviana.
Oggi ci sono circa 300 casi nel mondo a livello municipale, statale, federale e nazionale in cui la giustizia ordinaria si è pronunciata a favore dei diritti della natura. Anche laddove ancora non c’è un riconoscimento legale di questi diritti abbiamo riscontro positivo. Nel caso della Colombia, un gruppo di giovani ha portato un’istanza legale davanti alla corte che ha riconosciuto l’Amazzonia come soggetto di diritto.
Da questa prospettiva c’è un avanzamento, si intravede una strada non solo all’interno di un quadro giuridico ma anche all’interno dei movimenti di lotta e di resistenza. C’è da considerare anche l’altra faccia della medaglia. Abbiamo una crescente quantità di casi di imprese che ricorrono allo Stato quando questo prende misure per ridurre i sussidi ai combustibili fossili o tentano di preservare i territori indigeni.
Siamo di fronte a una situazione in cui sta crescendo anche la conflittualità: se da un lato la società civile sta cercando di apportare un cambiamento normativo per colmare le lacune giudiziarie rispetto ai propri diritti e conquistare nuovi spazi, dall’altro anche le imprese cercano di usare il sistema legislativo a proprio favore.
Intervista realizzata in collaborazione con A Sud Onlus
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