mercoledì, Novembre 5, 2025

Alla Cop30 l’UE rischia di arrivare col fiato corto sul clima, tra dubbi e frenate sugli obiettivi al 2040

Le contraddizioni dell'Unione Europea sul clima si fanno sempre più evidenti. E potrebbero esplodere prima della prossima Cop30 in Brasile. Nei primi giorni di luglio la Commissione Europea dovrebbe indicare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2040. Ma gli Stati vanno già in ordine sparso

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Mentre proseguono i bombardamenti tra Israele e Iran, e gli Stati Uniti valutano di scendere anch’essi in guerra, può apparire fuorviante chiedersi che posizione intende assumere l’Unione Europea alla prossima Cop30, la 30esima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), che si terrà a Belém, in Brasile, nel novembre 2025.

Se si estende la “guerra mondiale a pezzi”, l’azzeccata espressione resa celebre dall’ex papa Francesco, e gli Stati dimostrano di essere sempre più divisi (come ha dimostrato il G7 in Canada), come si potrà parlare di emissioni e politiche climatiche in Brasile, dove in teoria dovrebbero vigere la diplomazia e la cooperazione? Come scrive sui social il giornalista ambientale Ferdinando Cotugno, “le Cop delle Nazioni Unite sono uno strumento pensato per tempi di pace, possono reggere in tempo di guerra?”.

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Foto: Rafa Neddermeyer/Cop30 Amazônia

Una domanda alla quale, almeno per il momento, i 27 Paesi membri dell’Ue non sembrano intenzionati a rispondere. Nel corso del Consiglio Ambiente del 17 giugno, infatti, i ministri con deleghe al clima e all’ambiente si sono limitati a uno scambio di “opinioni sui preparativi per la 30esima Conferenza delle parti”. Nel frattempo a Bonn, in Germania, da lunedì 16 giugno i delegati dei quasi 200 Stati che saranno presenti a Belém si sono incontrati per i lavori preparatori della Cop30. Sul tavolo, come racconta Valori, diversi temi: dall’adattamento climatico al rilancio del multilateralismo, dai piani nazionali per la riduzione delle emissioni alla sede della prossima Cop31. 

In questo scenario così complesso quale ruolo intende ritagliarsi l’Unione Europea? Dalla scorsa Cop29 molte cose sono cambiate anche all’interno delle istituzioni UE: le scorse elezioni, infatti, pur lasciando alla guida della Commissione la tedesca Ursula von der Leyen hanno infatti rafforzato le varie destre nazionaliste e sovraniste, col risultato che da un anno l’UE sta ridimensionando il Green Deal e le ambizioni ambientali. Avverrà lo stesso col clima e l’autodesignata guida alle Cop?

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Tra gli annunci sul clima e le azioni c’è ancora un’enorme differenza

Negli scorsi giorni tanti analisti ambientali hanno salutato con favore, quasi con entusiasmo, la notizia, giunta dalla Commissione durante la valutazione dei Piani Nazionali per l’Energia e il Clima, che i 27 Stati membri dell’Unione Europea sarebbero sulla buona strada per tagliare le emissioni nette di gas a effetto serra del 54% entro il 2030, sfiorando il target del 55% – rispetto ai livelli del 1990 – così come stabilito dal piano Fit for 55. Tali analisti, però, hanno dimenticato di sottolineare che tale taglio arriva in un contesto di generale declino industriale (moda e automotive su tutti). D’altra parte l’unico Stato a crescere in maniera soddisfacente è la Spagna, mentre l’Italia ad esempio da 25 mesi consecutivi registra un calo industriale. 

Soprattutto va considerato che le stime della Commissione derivano dagli annunci delle politiche degli Stati membri, e sappiamo bene la distanza siderale che spesso esiste tra le promesse e le pratiche. Una prova in questo senso è arrivata dal recente Consiglio Energia di Bruxelles, dove i ministri di Ambiente e Clima hanno dimostrato la mancanza di una visione comune. In particolare:

  • è stato sì confermato lo stop alle importazioni di gas russo ma fino a questo momento gli Stati hanno aggirato l’ostacolo ricorrendo al GNL russo (più caro, più impattante e con più emissioni); ora la Commissione ha indicato “l’abbandono per fasi del gas da gasdotto e del gas naturale liquefatto (GNL) di origine russa o esportati direttamente o indirettamente dalla Federazione russa”. Bisognerà verificare se questa sarà la volta buona, anche se i tempi indicati (dal primo gennaio 2026 sarà vietato firmare nuovi contratti, gli accordi a breve termine già in corso dovranno terminare entro il 17 giugno 2026, mentre quelli a lungo termine entro il 31 dicembre 2027) lasciano presagire ulteriori maglie larghe.
  • Sul nucleare si continua ad andare in ordine sparso; l’Italia è lo stato che preme di più per un ritorno dell’uso a livello industriale e si allinea a Francia, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia, con la Grecia e la Germania che sembrano anch’esse interessate. Ma i tempi, val la pena ripeterlo, si preannunciano lunghissimi (il ministro Fratin ha parlato del ritorno del nucleare “entro il 2050”).

Ma è un’altra la notizia principale che più fa immaginare cattivi presagi sulle ambizioni climatiche dell’Unione Europea. E proviene ancora una volta dal Consiglio Energia.

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I magheggi sul conteggio delle emissioni da parte dell’Unione Europea

Previsto per il 2 luglio il nuovo obiettivo climatico per l’Unione europea. A indicarlo sarà la Commissione, e l’intenzione – annunciata da tempo – è di raggiungere una riduzione del 90% delle emissioni di gas serra entro il 2040, rispetto al punto di partenza del 1990. Se, come abbiamo visto, i timori per l’obiettivo 2030 (-55%) sono concreti, ancora più incertezza c’è per l’orizzonte dei prossimi 15 anni, che dovrebbe preparare il terreno poi all’obiettivo “zero emissioni nette” al 2050. Innanzitutto non è un caso che finora proprio l’obiettivo del -90% al 2040 non sia mai stato fissato ufficialmente: in tempi così complessi come quelli attuali, tra pandemie e guerre, la pianificazione a lungo termine è stata continuamente rinviata.

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Al Consiglio Energia alcuni Stati membri, tra cui l’Italia e la Polonia, hanno già detto chiaramente che l’obiettivo al 2040 risulta essere troppo ambizioso e che serve un’adeguata flessibilità. “Diversi ministri – si legge nella sintesi del Consiglio Energia -hanno avvertito che gli obiettivi NDC (cioè quelli indicati nei Piani Nazionali per l’Energia e il Clima, nda) non dovrebbero ostacolare la competitività dell’industria europea. Altre delegazioni hanno ricordato l’importanza di combattere la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (con strumenti come il meccanismo di adeguamento alle frontiere del carbonio – CBAM) e di garantire alle imprese la certezza a lungo termine di effettuare gli investimenti necessari e di beneficiare delle opportunità della transizione verde. Molti ministri hanno insistito sul fatto che gli NDC devono prendere in considerazione le conseguenze sociali della transizione climatica, in particolare per i cittadini vulnerabili e per i settori più colpiti come l’agricoltura o le piccole e medie imprese”.

Di più: secondo un’anticipazione di Politico, per il 2 luglio la Commissione Europea intenderebbe presentare una proposta, su suggerimento di Stati come Francia, Germania e ancora una volta l’Italia, che “consentirebbe l’uso limitato di crediti di carbonio da progetti in altri Paesi per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE”. Se confermato, i 27 Stati membri dell’Unione Europea potrebbero “scaricare” fino al 3% delle proprie emissioni attraverso progetti di compensazione in Paesi terzi, attraverso i contestati crediti di carbonio (ne avevamo scritto qui).

Non proprio il massimo della credibilità in vista di una Cop dove i Paesi del Sud globale, vista la presidenza del Brasile, intendono rovesciare i rapporti di forza che li hanno visti finora messi in secondo piano.

Leggi anche: Cosa c’è da sapere sulla Cop30: le priorità climatiche, quelle del Brasile e il ruolo dell’Italia

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