È ormai evidente che la crisi climatica non si abbatta su tutte e tutti allo stesso modo. Alcune aree del mondo sono colpite in maniera più violenta da siccità, inondazioni e degrado ambientale, e sono le classi sociali più svantaggiate a subirne gli effetti. Quando a rischio è la sicurezza della propria casa, e l’approvvigionamento di acqua e cibo, a fare la differenza sono le disponibilità economiche che permettono, almeno in un primo momento, di mettere un filtro tra i disastri climatici e la propria sopravvivenza.
Allo stesso modo sono le donne a pagare il prezzo più alto dei fenomeni meteorologici, in termini di salute, sicurezza, istruzione e sopravvivenza. Ma le donne rappresentano anche la spinta e la propulsione necessaria perché ci si muova nella giusta direzione.
Perché le donne sono più esposte ai rischi della crisi climatica
Come riportato dal World Economic Forum, tra i motivi per i quali le donne sono più esposte ai rischi climatici, c’è, in primo luogo, una maggiore presenza nelle fasce più povere della popolazione. Secondo il rapporto Women Business and the Law 2022 della Banca Mondiale, quasi 2,4 miliardi di donne a livello globale non godono degli stessi diritti economici degli uomini. Il rapporto rileva che il divario tra i guadagni previsti per la vita di uomini e donne a livello globale è di 172.000 miliardi di dollari, quasi due volte il PIL annuale del mondo.
In secondo luogo, i mezzi di sussistenza femminili dipendono maggiormente dal clima. Soprattutto nei contesti rurali, le donne sono le principali responsabili dell’approvvigionamento di acqua ed energia per cucinare e riscaldarsi e producono tra il 60 e l’80% del cibo nei Paesi a basso e medio reddito.
Di conseguenza, tra le persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici, circa l’80% sono donne. E, quando i disastri climatici colpiscono, le donne che sopravvivono perdono le loro case, i raccolti, la possibilità di avere un’istruzione e i mezzi di sussistenza necessari. A quel punto, risulta più difficile cercare alternative attraverso, ad esempio, la migrazione, dove rischiano di essere vittime di violenze sessuali e che i loro bisogni sanitari non vengano rispettati.
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Parte della soluzione
Oltre a subire il modo particolare tutti i disastri e i disagi legati alla crisi climatica, le donne possono essere, lo dicevamo, vettori del cambiamento.
Ad esempio, le agricoltrici sono più propense degli uomini ad adottare pratiche di agricoltura rigenerativa, aumentando la diversità delle piante e integrando la gestione dei parassiti e delle erbe infestanti per migliorare la qualità e la produzione dei raccolti.
Un maggior interesse nel proteggere l’ambiente si riscontra anche nel mondo aziendale: le organizzazioni con un maggior numero di dirigenti e membri del consiglio di amministrazione di sesso femminile hanno prestazioni ambientali migliori. Secondo lo studio di FP Analytics “le aziende con una maggiore diversità di genere nei consigli di amministrazione dal 2013 al 2018 avevano il 60%, 39% e 46% in più di probabilità rispetto a quelle senza, di ridurre rispettivamente l’intensità del consumo di energia, le emissioni di gas serra e il consumo di acqua”.
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Empowerment femminile e ESG
Puntare su un maggiore partecipazione delle donne nelle imprese sociali per arrivare a redditi più equi e a tecniche di agricoltura più ecologiche sta entrando nell’agenda di diverse aziende in modo da implementare la propria strategia ESG (environmental, social and governance).
Alcuni esempi sono contenuti nel rapporto Local Solutions from the Global South, che documenta il lavoro dei membri di Catalyst 2030, movimento globale di persone e organizzazioni impegnate a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (in inglese Sustainable Development Goals – SDGs) delle Nazioni Unite, lanciato al World Economic Forum di Davos nel gennaio 2020.
Fairtrasa, ad esempio, supporta i piccoli agricoltori e i lavoratori agricoli del Perù nell’abbracciare l’agricoltura rigenerativa. Nell’impianto di lavorazione dello zenzero di Satipo, le donne occupano i due terzi dei posti di lavoro, e per molte di loro rappresenta l’unico reddito in casa. Secondo quanto riportato dal report, gli agricoltori coinvolti nei programmi Fairtrasa avrebbero registrato una crescita del reddito del 10-30% e hanno visto fiorire la biodiversità nelle loro aziende: api, insetti, farfalle e uccelli sarebbero tornati nei loro campi e l’equilibrio ecologico sarebbe stato ripristinato per la prima volta dopo molti anni.
In Nigeria il programma Advancing Local Dairy Development (ALDDN) – oggetto anche di un caso studio dell’Università di Harvard – organizza le allevatrici in gruppi formali, fornisce formazione e servizi di supporto, tra cui l’adozione di buone pratiche e l’accesso a mangimi di qualità, aiutandole a posizionare la loro attività sul mercato.
Tuttavia, è necessario porre attenzione affinché quella delle donne non diventi per le aziende, piccole o grandi, una casella da spuntare all’interno di un sistema che invece non vuole cambiare. Tra i diversi esempi citati all’interno del rapporto ve ne sono alcuni che si fondano su partnership con multinazionali tristemente note per opere di deforestazione. Senza nulla togliere alle buone intenzioni e alla riuscita dei programmi avviati, è necessario rimanere vigili perché quello del lavoro delle donne e di un loro inserimento più equo nei processi decisionali delle comunità locali non diventi la passata di spugna per pulire l’immagine più o meno opaca di un’azienda.
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