Cronache di rabbia è un podcast bisettimanale che indaga con lente femminista fatti di cronaca e più in generale questioni del presente. È un progetto editoriale autoprodotto da cinque giornaliste: Sofia Centioni, Ylenia Magnani, Chiara Scipiotti, Nikol Ceola e Ludovica Brognoli che in ogni puntata partono da un interrogativo o da un tema e lo esplorano in compagnia di un’interlocutrice che aiuta ad approfondire.
La libertà di Cronache di rabbia si respira nell’impostazione degli episodi: le autrici si misurano con i temi a dibattito nei femminismi senza paura di approfondire, con un podcast curato che fluisce e che non vuole intrattenere. In questo c’è tutta l’indipendenza di chi questo podcast lo pensa e lo fa, non ci sono le storie, non ci sono gli esempi, non c’è il bisogno di portare tutto alla prossimità, non ci sono dispositivi narrativi: sono chiacchiere tra secchione femministe. C’è un respiro ampio, lungo, che serve a dare complessità alle questioni trattate. Lo scrivo con cognizione di causa per aver partecipato alla puntata sui dati femministi, ma Cronache di rabbia parla anche di molto altro: linguaggio, antispecismo, scienza, sono alcuni dei temi affrontati.
In particolare, la quinta puntata è dedicata alla domanda “Ecologia e femminismo: cosa hanno in comune?” a condurla Ludovica Brognoli e con lei Irene Sorrentino, dottoranda di semiotica all’Università di Bologna ed esperta di ecologia politica.
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Cosa hanno in comune ecologia e femminismo?
Per presentare questo episodio su eco-femminismi Ludovica Brugnoli dice: “Inteso come una filosofia politica materialista, il femminismo è la metodologia che, per eccellenza, mette in crisi il sistema di sfruttamento messo in atto dal mercato neoliberale. Prima di tutto perché riconosce il legame strutturale che lega ogni tipo di sfruttamento alla stessa matrice – il sistema produttivo e riproduttivo capitalista. In secondo luogo, perché denuncia la storicità di quello stesso sistema, che per tutelarsi si autorappresenta come l’unica condizione possibile di organizzazione dei rapporti sociali, privi di genesi e dunque immodificabili”.
Nella puntata vengono messe a fuoco quelle che sono le domande di un’ecologia femminista: quando e perché è iniziato lo sfruttamento economico delle donne e della natura? In cosa consistono il green e il pink washing e perché sono delle narrazioni funzionali alla legittimazione del mercato? Chi infine si rivolge all’ecofemminismo?
Per rispondere Ludovica e Irene, ripartono da Padova dal collettivo internazionale femminista, dalle sue fondatrici Silvia Federici e Mariarosa Dalla Costa e dalle loro riflessioni intorno al lavoro riproduttivo svolto dalle donne e al porto di Marghera mettendo in luce come nel paradigma capitalista donne e natura siano associate al caos e questo caos viene contrapposto alla razionalità dell’uomo bianco giustificando il dominio da una parte e l’oggettivazione dall’altra.
Il pensiero femminista irrompe nelle varie discipline non solo per legittimare il pensiero –anche razionale – delle donne, ma per affermare il valore di tutto ciò che è stato reso oggetto, delle forme di conoscenza e di sapere negate o messe ai margini. “L’ecofemminismo, quindi, non è una disciplina astratta che si rivolge solo alle persone direttamente interessate ai diritti dell’ambiente o delle donne. Un’ecologia femminista, infatti, è una pratica necessaria a ricordare che la difesa di un uguale accesso alle risorse è un dovere di tutte le persone” dice Irene Sorrentino.
La discussione passa a come il mercato usa la retorica green per orientare e aumentare i consumi, spostando su un piano di azione individuale circoscritta al mercato le possibilità di cambiamento, un cambiamento che sostanzialmente non mette in discussione lo status quo, anzi, incanala una richiesta, quella di una maggiore sostenibilità, inglobandola. Questa dinamica è alimentata dal catastrofismo e dalla mancanza di un orizzonte trasformativo, che invece possa incanalare il desiderio di giustizia e la rabbia verso una nuova etica collettiva.
“Infine – dice Ludovica Brognoli – un femminismo radicalmente materialista non può che tradursi in una critica complessiva del sistema-mondo neoliberale, lottando al di là dei catastrofismi per una giustizia sociale e economica. La rivoluzione riproduttiva, per questo tipo di impostazione, non può verificarsi senza una rivoluzione climatica e viceversa, perché entrambe sottendono lo stesso presupposto: la possibilità di scegliere un’alternativa rispetto al vigente modello economico”.
Sulle principali piattaforme ogni due settimane una nuova puntata, nel frattempo dopo la quinta su ecologia femminista è uscita la nuova puntata su come il femminismo ha cambiato il modo in cui parliamo di scienza.
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