Gli obiettivi di riciclo del PET posti dalla direttiva sulla plastica monouso (Single Use Plastics – SUP) e la proposta di regolamento sugli imballaggi presentata dalla Commissione impongono delle modifiche, degli aggiornamenti al nostro sistema di raccolta e riciclo degli imballaggi. Ce lo dicono due studi – entrambi non conclusivi, presentati il 14 marzo scorso durante l’incontro “Gestione dei rifiuti, economia circolare e PNRR: Le nuove sfide e l’impatto per i Comuni” organizzato da Anci e CONAI – che iniziano a valutare l’impatto di sistemi di raccolta selettiva sul modello italiano di raccolta differenziata e riciclo.
Il primo – “Modalità innovative di raccolta differenziata, raccolte selettive e sistemi a cauzione” – realizzato dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA) del Politecnico di Milano; il secondo – “Valutazione delle opportunità dei Deposit Return Systems (DRS) per il riciclo dei rifiuti da imballaggio in Italia” – dal GREEN, Università Bocconi di Milano. Entrambi enfatizzano le prestazioni dei sistemi di deposito su cauzione (Deposit Return Systems – DRS) ma invitano a riflettere sull’aspetto dei costi.
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Obiettivi di riciclo degli imballaggi in plastica, il contesto
Oltre al Pacchetto economia circolare, il futuro della gestione dei rifiuti da imballaggio in plastica è tracciato dagli obiettivi della direttiva SUP (“molto ambiziosi”, sottolinea Mario Grosso, del Politecnico di Milano, durante la presentazione all’incontro Anci-CONAI): quelli di raccolta differenziata delle bottiglie in plastica (77% entro il 2025, 90% al 2029) e quelli per il contenuto di materiali riciclato nelle bottiglie in PET (25% al 2025, 30% entro il 2030). Poi c’è la recente proposta di regolamento europeo sui rifiuti da imballaggio: se venisse approvata così com’è, i Paesi europei dovranno implementare un sistema di deposito su cauzione per bottiglie in plastica e lattine, a meno che non dimostrino di aver raggiunto (nel 2026 e 2027) un tasso di raccolta del 90%.
Partendo da dati CONAI, il Politecnico calcola che oggi nel mercato italiano vengono annualmente immesse 13 miliardi di bottiglie in plastica (contenitori per bevanda-CPL: che con un peso medio di 33 grammi fanno 450 mila tonnellate di PET). Partendo da qui, lo studio calcola cosa significherà raggiungere gli obiettivi della SUP e della bozza di regolamento.
Al 2025, secondo il Politecnico, per avere il 25% di plastica riciclata in tutte le bottiglie sul mercato italiano avremo bisogno di 112.500 tonnellate di PET riciclato (rPET); 135 ne serviranno entro il 2030. La raccolta selettiva di bottiglie dovrà raggiungere le 346.500 tonnellate entro il 2025, per arrivare a 405.000 tonnellate entro il 2029. “Numeri che possono spaventare”, sottolinea Grosso.
Squadra che vince non si cambia?
Per arrivare a queste cifre, “come può evolvere sistema come quello italiano che è già molto avanzato?”, si chiede il professore del politecnico. Il tema che sottende entrambi gli studi è propri questo: il sistema, con performance tra le migliori in Europa, deve evolvere per raggiungere gli obiettivi stabiliti in Europa, ma come?
Grosso si chiede se imporre uno specifico modello di raccolta non sia “una forzatura che rischia di tradursi nella perturbazione di un sistema già assodato e performante, che in Italia si basa sulla stretta collaborazione tra Comuni e consorzi di filiera”. “Non dobbiamo fare conservatorismi – sottolinea – ma dobbiamo avere ben chiare tutte le criticità quando si interviene su una macchina che funziona bene”. Proprio questo è l’obiettivo delle ricerche che illustreremo e che, in entrambi i casi, sono studi preliminari, senza pretesa di esaustività né conclusività, “un modo per lanciare un primo sasso nello stagno su questo tema”, per usare ancora le parole di Grosso.
“Gli obiettivi raggiunti in Italia con i modelli EPR sono estremamente importanti”, sottolinea Edoardo Croci, della Bocconi, che si chiede se passare ad un sistema di deposito su cauzione scardinerebbe l’attuale sistema EPR italiano. “La mia risposta è no – afferma – ma certamente lo porrebbe di fronte ad un cambiamento importante in termini di riorganizzazione logistica, operativa e finanziaria non indifferente”. Quindi, prosegue, “è logico interrogarsi, a fronte di un sistema che funziona, con risultati importanti: si deve andare avanti nella stessa direzione o si deve cambiare il modo di operare?”.
I risultati che descriveremo, dunque, vanno presi come spunti di riflessione oggetto di dibattito.
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Raccolta selettiva e DRS
Nello studio del politecnico vengono messi a confronto due opzioni per provare a capire in che modo potremmo raggiungere gli obiettivi SUP: la raccolta selettiva tramite eco-compattatori (o macchinette mangiaplastica) e i sistemi di deposito su cauzione.
Entrambi i sistemi, sottolinea il docente del PoliMi, “sicuramente aumentano le quantità avviate a riciclo; permettono di bypassare alcune parti del sistema: cioè gli impianti di selezione. Ed entrambi i sistemi permettono il riciclo chiuso, da bottiglia a bottiglia”. Promuovere dei modelli di raccolta mirata delle bottiglie per liquidi alimentari, leggiamo infatti sul sito del Politecnico di Milano, ha il vantaggio di creare un flusso separato di imballaggi post consumo che, essendo ad uso alimentare, “possono essere avviati a processi di riciclo closed-loop, ossia che permettono di produrre materiali riciclati nuovamente adatti al food-contact e che quindi potrebbero contribuire agli obiettivi della direttiva SUP, nonché al risparmio di materie prime vergini”.
La raccolta selettiva, tuttavia, a differenza del deposito su cauzione (cui EconomiaCircolare.com ha dedicato diversi approfondimenti) “non prevede un riconoscimento economico diretto. Al cittadino non ritorna denaro (come nel caso della cauzione, ndr) ma una scontistica, dei punti per la spesa, dunque qualcosa che non necessariamente è così stimolante nei confronti della totalità dei cittadini”, precisa Grosso. Insomma la restituzione del deposito costituisce una leva maggiore per la riconsegna delle bottiglie e delle lattine.
In entrambi i casi, sia nella selettiva con le mangiaplastica che nei sistemi di deposito su cauzione, è richiesto un cambiamento nelle abitudini dei cittadini-consumatori: “Il cittadino, in tutte sue incombenze quotidiane deve ricordarsi, quando va a far la spesa, non solo del sacco riutilizzabile ma anche delle bottiglie da restituire”. “Una riflessione più ampia – leggiamo sul sito del PoliMi – deve tener conto delle variabili comportamentali dei consumatori che vanno ad influire sui modelli di raccolta mirata che si basano su meccanismi incentivanti di diverso tipo. Quindi, al di là delle implicazioni a livello di costi e qualità dei materiali, non è facile prevedere come i consumatori, che nella pratica corrispondono al primo anello della catena di gestione dei rifiuti, potrebbero accogliere e quindi partecipare con più o meno attenzione al tipo di raccolta messa in campo”.
Quanto ai sistemi con deposito su cauzione, Grosso ricorda da una parte che i DRS garantiscono tassi di raccolta potenzialmente anche superiori al 90%. Dall’altra che hanno dei limiti. Primo, i costi: “Le macchinette costano molto. E perché il sistema funzioni devono essere tantissime”. Poi le possibili frodi: “Quando iniziano a girare i soldi la frode è dietro l’angolo”. Infine il tema della prevenzione: “Questo sistema molto efficiente non incentiva la prevenzione, come prevede invece la gerarchia europea dei rifiuti. Si dice che il miglior rifiuto da gestire è quello non prodotto. Questo sarebbe possibile, ad esempio, consumando acqua di rete invece che acquistando acqua in bottiglie di plastica. Ci si chiede quindi se nel momento in cui verrà fatto passare il messaggio che le bottiglie restituite verranno inviate a riciclo con alta efficienza il cittadino dimenticherà che l’azione migliore è quella della prevenzione”.
Gli scenari
Partiamo dalla raccolta selettiva con gli eco-compattatori (ECP) che affianca la differenziata tradizionale. Gli scenari ipotizzati dal Politenico di Milano prendono le mosse dallo “scenario base” relativo al 2021.
Una premessa da fere è che la raccolta degli eco-compattatori è una parte “assolutamente trascurabile” (parole di Grasso) della raccolta complessiva, che arriva per la stragrande maggioranza dalla differenziata convenzionale della plastica. Nel 2021 gli eco-ecompattatori hanno raccolto solo o,5% del totale delle bottiglie in PET avviate a riciclo (e, a sua volta, il PET ha rappresentato il 19% del totale della plastica raccolta). Nello specifico Coripet (che ha il 43% del mercato del PET), coi suoi 442 eco-compattatori (ECP), nel 2021 ha raccolto 2.109 tonnellate (4,8 ton/ECP/anno).
Due gli scenari – “abbastanza conservativi” sottolinea Grasso – ipotizzati, ma qui ci limiteremo a considerare solo quello più ambizioso. Entro il 2026 Coripet programma di mettere in campo in tutto 5.000 ECP, per 24.000 tonnellate di raccolta prevista. Corepla (57% del mercato del PET) ha installato di recente circa 100 ECP (480 t/anno la raccolta complessiva prevista). Coi 27 milioni di euro complessivi stanziati dal Ministero dell’ambiente (MASE) fino al 2024, avremo, spiega Grosso, 1.800 ECP comunali (costo medio per ECP attorno ai 15mila euro) per un totale di 8.640 tonnellate l’anno di raccolta. Certo, “nulla vieta che si possa arrivare a numeri più alti”, precisa il professore.
Complessivamente, nello scenario prospettato dal Politecnico, si arriverebbe dunque a 6.900 eco-compattatori e 33.120 tonnellate di raccolta selettiva di CLP PET, pari ad un tasso di raccolta mirata del 7,4%.
Messi a confronto con gli obiettivi della SUP, i numeri sono impietosi. Il deficit di rPET per rispettare gli obiettivi del 25% (112.500 tonnellate necessarie) ammonterebbe a quasi 80mila tonnellate (79.380); 101.880 le tonnellate mancanti per l’obiettivo del 30% (135mila t necessarie).
Quanto ai target di raccolta selettiva delle bottiglie, rispetto al 77% (346.500 tonnellate) previsto per il 2025 mancheranno all’appello oltre 313mila tonnellate; rispetto al 90% del 2029 (405mila tonnellate in tutto) ne mancheranno oltre 370 mila (per raggiungere i quali servirebbero, calcola il PoliMi, tra 65 e 77 mila eco-compattatori). “Una prospettiva di questo tipo – sintetizza Grasso – è ancora moto lontana dal garantire sul mercato italiano la quantità necessaria di rPET”.
Grosso presenta lo scenario immaginato per il DRS come uno scenario “gettare il cuore oltre l’ostacolo”: il tasso di raccolta delle bottigliette in PET viene fissato al 90%, e il restante andrebbe nella differenziata. Si ipotizza, dunque, di azzerare il littering delle bottigliette in plastica e insieme il loro conferimento nell’indifferenziata.
Questo scenario, che poggia sulle altre sperienze europee, mostra come raggiungibili i target della direttiva SUP. “L’obiettivo di raccolta selettiva dei CPL PET (77% al 2025 e 90% 2029) è raggiunto negli scenari con DRS ma non in quelli di raccolta selettiva basati solo sulle attuali prospettive di installazione di ECP”, sinterizza Grosso.
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DRS e dati economici
Complessivamente, per gestire potenzialmente la totalità delle 450.000 tonnellate annue di contenitori per liquidi in PET, calcolando che ogni RVM (Reverse Vending Machines, le macchine che raccolgono le bottiglie e restituiscono il deposito) può trattare 4,7 t/anno, servirebbero 96.000 macchine su tutto il territorio nazionale (1,6 RVM/1000 ab), stima il Politecnico. A prezzi di mercato di circa 15.000 € per ogni RVM, servirebbero investimenti pari a 1,4 miliardi di euro, più il 10% (144 milioni l’anno) per la manutenzione.
Grosso ricorda che il costo o profitto del sistema DRS dipende da diverse variabili, in particolare il valore del PET riciclato sui mercati e il tasso di intercettazione delle bottigliette. Nel caso di intercettazione dell’80% delle bottiglie (quindi col 20% dei depositi che restano a disposizione del gestore) il Breakeven point (punto di pareggio tra costi e ricavi) viene fissato per un valore dell’rPET pari a 804 €/ton. Nell’ipotesi, invece, che il 90% delle bottiglie venga restituito, il Breakeven point arriverebbe con l’rPET venduto a 1.705 €/ton. Insomma, il tema su cui riflettere, secondo il PoliMi, è quello dei costi.
Infine, aggiunge Grosso, dal punto di vista ambientale il sistema DRS “meriterebbe di essere affrontata con un’analisi del ciclo di vita, che potrebbe essere oggetto di ulteriori studi: qual è l’impatto ambientale – in termini di consumo di energia e di materiali, e in termini di emissioni – della costruzione di 100mila eco-compattatori? Una LCA permette di avere queste valutazioni”.
Gli scenari secondo la Bocconi
Edoardo Croci, nella relaziona che sintetizza lo studio della Bocconi presentato all’’incontro Anci-Conai, restituisce tre diversi scenari (“scenari che vanno comunque considerati preliminari, perché stiamo sviluppando analisi più avanzate”).
Uno primo scenario, quello dell’attuale sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR “BAU”, Business as Usual, nel grafico), che non porterebbe al raggiungimento degli obiettivi della SUP.
Un secondo scenario (EPR ‘target’), in cui la raccolta differenziata raggiunge il 90% senza integrazione di eco-compattatori: “Scenario meramente ipotetico – ci spiega – dal momento che usiamo una relazione semplificata tra performance e raccolta. Tuttavia esistono rilevanti barriere difficilmente superabili per spingere la raccolta oltre una certa soglia”. Insomma, raggiungere quegli obiettivi “con attuale sistema è pressoché impossibile”, chiarisce il docente.
Il terzo scenario messo in campo è quello legato all’implementazione di un sistema DRS, in cui si ipotizza di raggiungere una raccolta media del 90% “che è la performance media in Europa”. Per arrivare a questo risultato – è l’assunto della Bocconi, in linea con quella del PoliMi – servirebbero circa 100.000 Reverse Vending Machine, per raccogliere 434mila tonnellate /anno di bottiglie in PET”. La densità ipotizzata (una macchina ogni 580mila abitanti) è in linea con quella europea, sottolinea il professore, anche se la densità varia in base alle caratteristiche del Paese (dove la popolazione è più dispersa, una RVM serve meno abitanti; dove ci sono grandi aree urbane, bastano invece meno macchine). Ovviamente, come evidenziato anche dal Politecnico di Milano, questa dotazione impiantistica comporterebbe “costi di investimento importanti – ricorda Croci – che nel nostro scenario abbiamo ipotizzato vengano ammortizzati in 6 anni, ipotesi che può variare ma realistica”. Ovviamente, le variabili in campo sono numerose.
Come il valore della cauzione, legato da una relazione direttamente proporzionale ai risultati della raccolta: u valore medio di 20 centesimi, secondo i ricercatori, garantirebbe un tasso di raccolta del 90%
Anche in questa analisi, il tema centrale è quello degli investimenti. Secondo la Bocconi, mentre i costi annuali di gestione dell’attuale sistema EPR ammontano a 106 milioni di euro l’anno, un sistema di deposito su cauzione che raggiunga gli obiettivi della SUP comporterebbe una spesa di 579 milioni di euro (+546%).
Una variabile importante di cui tenere conto, sottolinea Croci, sono i depositi non riscossi, che vanno a creare una sorta di fondo di rotazione inversamente proporzionale al successo della raccolta. Tema, sottolinea, da approfondire “anche nella valutazione legale, fiscale, di bilancio”.
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