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venerdì, Novembre 15, 2024

Siccità, inondazioni ed eventi estremi. Così la crisi climatica pesa di più sulle donne

I cambiamenti climatici sono responsabili di molti fenomeni metereologici estremi e sono le donne a pagarne il prezzo più alto in termini di salute, sicurezza, istruzione e sopravvivenza. E, mentre le istituzioni riconoscono la necessità di intervenire, le donne non restano con le mani in mano

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Se ormai è acclarato come le conseguenze della crisi climatica si abbattano maggiormente sulle donne, meno scontato è capire come ciò possa avvenire e in che modo l’Europa ed il mondo si pongono nei confronti di un problema annoso che colpisce e colpirà, con l’acuirsi della crisi climatica, sempre più donne e ragazze.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli effetti dannosi dei cambiamenti climatici possono essere avvertiti a breve termine attraverso la manifestazione di fenomeni naturali come frane, inondazioni e uragani, e a lungo termine attraverso un più graduale degrado dell’ambiente. Gli effetti negativi si fanno già sentire in molti settori, in relazione ad agricoltura, sicurezza alimentare, biodiversità ed ecosistemi, risorse idriche, salute, migrazione, energia, trasporti e industria; e soprattutto in aree con condizioni socio-economiche difficili.

In molti di questi contesti, sono proprio le donne ad essere più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico rispetto agli uomini. In primo luogo, in quanto costituiscono la maggioranza dei poveri del mondo. Aspetti sociali, economici e barriere politiche limitano poi la loro capacità di far fronte alle situazioni di pericolo. Ma non solo.

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Agricoltura, risorse naturali e disuguaglianza di genere

Disuguaglianza di genere sì, ma anche sociale: la crisi climatica va infatti ad incidere maggiormente sulle popolazioni delle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo, fortemente dipendenti dalle risorse naturali locali per il loro sostentamento.

Il riscaldamento globale è infatti uno dei maggiori fattori che contribuisce alla fame nel mondo, alla malnutrizione, all’esposizione a malattie e alla diminuzione dell’accesso all’acqua. In particolare, le donne, spesso incaricate della responsabilità di procurarsi acqua, cibo e combustili per cucinare e riscaldarsi, devono affrontare le sfide più grandi.

Quando, a causa del cambiamento climatico, il raccolto diventa più imprevedibile e scarso, sono proprio le donne a subire le ripercussioni peggiori perché spesso è la loro unica fonte di cibo e reddito.

Le donne che si occupano di agricoltura attualmente rappresentano dal 45 all’80 per cento di tutta la produzione alimentare dei Paesi in via di sviluppo, a seconda della regione: circa i due terzi della forza lavoro femminile nei Paesi in via di sviluppo e oltre il 90 per cento in molti Paesi africani è impegnato in lavori agricoli.

Inoltre, nelle comunità povere della maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, le donne e le ragazze sono responsabili della raccolta dei combustibili come il legno, un compito estenuante che può richiedere da due alle venti ore a settimana. Di conseguenza, le donne hanno meno tempo per sbrigare le faccende domestiche, guadagnare denaro, impegnarsi in politica o altre attività pubbliche, imparare a leggere o acquisire altre abilità, o semplicemente riposarsi. Anche le ragazze rimangono spesso a casa per aiutare. Infine, quando il degrado ambientale costringe a cercare risorse più lontano, le donne e le ragazze possono essere soggette a ferite dovute al trasporto di carichi pesanti su lunghe distanze, e affrontano anche un aumento del rischio di molestie, aggressioni e violenze sessuali.

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Divario di genere e gestione dell’acqua

Secondo il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2021 Il valore dell’acqua, non avere facile accesso ad acqua pulita e potabile ha diverse implicazioni sociali ma pesa soprattutto sulle donne: in 61 Paesi, donne e ragazze sono responsabili del trasporto di acqua in otto famiglie su dieci.

E periodi di siccità possono spingere sempre più lontano le donne nella ricerca quotidiana di acqua con un dispendio di tempo, risorse e probabilità di subire aggressioni e violenze: già circa 230 milioni di persone, per lo più donne e ragazze, impiegano più di 30 minuti a viaggio per raccogliere l’acqua da fonti lontane da casa. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) ha calcolato che il tempo che le donne e le ragazze trascorrono trasportando acqua ogni giorno equivale a 22.800 anni.

Oltre ad essere carente e poco accessibile, l’acqua molto spesso è anche contaminata, ed i rischi per la salute delle donne sono tanti: a livello globale l’11% delle morti per parto, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito, sono causate da infezioni legate a condizioni antigieniche durante il travaglio ed il parto, a casa o presso le strutture ospedaliere, e a cattive pratiche igieniche nelle sei settimane successive alla nascita del bambino. Le infezioni associate a condizioni di scarsa igiene durante il parto possono causare più di un milione di decessi ogni anno nel mondo.

Inoltre, in molti Paesi, da cui non sono esenti le società occidentali, le mestruazioni sono ancora un tabù. Per le donne è invece fondamentale avere strutture MHM (Menstrual hygiene management), dove gestire in privacy e sicurezza la loro igiene mestruale. Ma nel mondo più di 500 milioni di donne e ragazze non vi hanno un accesso adeguato, in particolare in luoghi pubblici, come scuole, strutture sanitarie e posti di lavoro, con un conseguente aumento dell’assenteismo a scuola e sul lavoro, che si traduce in costi economici e nella riduzione di opportunità per il loro futuro.

Istruzione acqua e servizi igienico-sanitari influiscono anche sulla frequenza scolastica e sui mezzi di sussistenza per le donne, anche per altri motivi. Se a causa della mancanza di acqua pulita, una persona si ammala non può frequentare la scuola o lavorare e guadagnare; ma se ad essere malato è un bambino o una persona anziana, c’è un’alta probabilità che anche una donna perda giorni di scuola o rinunci al reddito per fornire le cure necessarie.

Salute e diritti delle donne

Oltre alla carenza di acqua e alla sua contaminazione, altri fattori derivanti dai cambiamenti climatici possono provocare malattie e morte, come ondate di calore, inondazioni, tempeste, incendi e siccità. Il pericolo di contrarre gravi malattie è aumentato dai rischi ambientali, con una maggiore incidenza di malattie infettive come colera, malaria e febbre dengue, a causa dell’allungamento delle stagioni a rischio e della distribuzione geografica dei vettori di malattia, cioè di quegli organismi viventi che trasmettono un agente infettivo da un animale infetto all’uomo o a un altro animale, come zanzare o zecche.

Eventi climatici estremi

L’ONU ha identificato il degrado ambientale come una minaccia per la sicurezza umana. Tutti i Paesi postbellici devono affrontare gravi problemi ambientali che potrebbero minare i processi di costruzione della pace, se lasciati irrisolti, e colpire in modo specifico le donne che devono affrontare una combinazione di difficoltà.

L’esposizione delle donne ai pericoli derivanti da fenomeni estremi è maggiore per una serie di ragioni: dopo l’evento, le donne si ritrovano spesso in rifugi poco sicuri e sovraffollati, per mancanza di beni, come risparmi, proprietà o terreni. Ad esempio, nel contesto di cicloni, inondazioni e altri disastri che richiedono la necessità di spostarsi, vincoli culturali ai movimenti delle donne, o anche banalmente il vestiario che sono costrette ad indossare, possono ostacolare la loro tempestiva fuga, l’accesso a un rifugio o all’assistenza sanitaria. D’altra parte, le donne spesso evitano di utilizzare i rifugi per paura di violenze sessuali; inoltre, un ulteriore impedimento alla loro libera mobilità è data dal fatto di doversi occupare di bambini, anziani e altri membri della famiglia.

Inoltre, i cambiamenti climatici nei loro effetti più estremi spingono le popolazioni a migrare per la mancanza, di cibo, lavoro o acqua. Anche qui, donne e ragazze migranti possono essere vittime di violenze sessuali e molte volte i loro bisogni sanitari non sono rispettati.

Il ruolo delle donne nella gestione della crisi climatica

A dispetto del lavoro fornito per soddisfare ad esempio il bisogno d’acqua della famiglia e degli effetti disastrosi che la crisi climatica ha sulle donne, spesso, insieme ad altri gruppi come giovani o comunità indigene, le donne non vengono incluse all’interno di importanti processi politici e decisionali.

Eppure, renderle partecipi delle questioni legate alla crisi ambientale è fondamentale per assicurargli le conoscenze, le informazioni e le tecnologie per fronteggiare i rischi dei fenomeni climatici, senza contare i vantaggi di una visione ampia e diversificata, che sappia usufruire di competenze e idee innovative.

Il tema è già da alcuni anni sotto la lente delle Istituzioni europee e mondiali, ma basterà a portare dei concreti cambiamenti per così tante ragazze e donne? Nel 2018 la Commissione Diritti delle donne e uguaglianza di genere del Parlamento europeo ha adottato La relazione su donne, genere e cambiamento climatico per chiedere una maggiore attenzione al genere nello sviluppo di politiche legate al clima.

Nel giugno 2021 a Parigi, il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) ha organizzato il Generation equality forum. Nel contesto dell’evento è stato avviato un percorso d’azione di cinque anni per raggiungere dei risultati verso l’uguaglianza di genere, con 40 miliardi di dollari di impegni finanziari. Il fine dell’iniziativa è accelerare l’azione e gli investimenti per la parità di genere entro il 2026.

È stata inoltre lanciata la Coalizione per l’Azione femminista per la giustizia climatica, con in programma una serie di iniziative dal valore complessivo di 139 milioni di dollari.

Il 9 novembre, in occasione del Gender Day, la giornata della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Leggi il nostro speciale sulla Cop26) dedicata ai diritti delle donne nell’azione climatica, gli Stati membri hanno definito nuove misure per garantire che l’azione per il clima sia sensibile al genere e per migliorare la leadership delle donne. Questi nuovi obiettivi si basano su impegni già assunti nei confronti della Coalizione per l’Azione femminista per la giustizia climatica, convocata dalle Nazioni Unite.

Sempre nel corso del Gender Day, diversi Paesi si sono dimostrati sensibili alla tematica, promettendo ingenti finanziamenti: in particolare, un impegno di 14 milioni di dollari (12,1 milioni di euro) da parte degli Stati Uniti per il Gender Equity and Equality Action Fund e un investimento di 3 milioni di dollari per sostenere le donne contadine dell’Africa orientale nell’adattarsi agli impatti climatici.

Inoltre, diversi Paesi hanno anche delineato piani per politiche climatiche più sensibili al genere, tra cui Bolivia, Canada, Ecuador, Germania e Svezia.

Tra tutti gli interventi della giornata, uno è rimasto simbolicamente impresso. Sul palco, insieme all’attivista per il clima samoana Brianna Fruean, è salita Little Amal, una bambola gigante che rappresenta una bambina siriana simbolo dei giovani rifugiati di tutto il mondo, che è arrivata a Glasgow dopo aver percorso circa 8mila chilometri attraverso l’Europa.

L’attivista samoana ha sottolineato che, nonostante tutti i presenti alla Cop26 provenissero da luoghi differenti, sono accumunati dal fatto di vivere in “un mondo distrutto che ha sistematicamente emarginato donne e ragazze, in particolare provenienti da comunità vulnerabili”, che “meritano di più e di meglio da questo mondo”.

Cop26 Amal
L’attivista Brianna Fruean e ‘Little Amal’ sul palco della Cop26

Leggi anche: Gli attivisti per il clima alla preCop: chi sono e che cosa chiedono

Non solo vittime

E dove le istituzioni non arrivano donne e ragazze hanno dimostrato di sapersi riappropriare da sole dei propri spazi. Dai piccoli villaggi alle politiche internazionali, le donne non solo sono soggette ai cambiamenti climatici, ma sono parte attiva del cambiamento in relazione alla mitigazione, all’adattamento e a nuovo modo di comunicare.

Giovani donne si sono fatte portavoce dell’incapacità e del disinteresse della classe politica di prendere sul serio ciò che sta avvenendo in tutto il mondo: dalla nota Greta Thunberg all’attivista ugandese Vanessa Nakate sino alle attiviste di casa nostra che in Italia combattono ogni giorno per la giustizia climatica, come Martina Comparelli portavoce del movimento Fridays For Future Italia e Marica Di Pierri, insieme a tutte le attiviste di A sud.

Le donne alzano la voce, dunque, anche per chi non può farlo, e i benefici non possono che essere collettivi.

Leggi anche: Al via la prima causa contro lo Stato italiano per inazione climatica

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