Contenuto in abbonamento
Ho partecipato all’evento “Ecodesign, competenze, circolarità” dello scorso 20 settembre a Roma, seguendo con interesse sia la conferenza del mattino alla Camera dei deputati sia i tavoli lavori pomeridiani.
È stato arricchente condividere la mia esperienza e quella di FAAM – SERI Industrial con esponenti del mondo dell’impresa, della ricerca e formazione, delle istituzioni, dei media e del design. Tanti punti di vista concentrati su un tema così rilevante non possono che far progredire la riflessione e, auspico e credo, l’azione comune.
Quando qualcuno mi dice “hai avuto successo”, mi piace rispondere che il successo è successo, mentre il nostro obiettivo di ogni giorno è guardare a quello che succederà. Ecco, il 20 settembre il nostro sguardo rivolto al futuro ne ha incontrati tanti altri orientati nella stessa direzione.
Leggi anche: “Ecodesign chiave di lettura delle nuove competenze”. Voci e idee dall’evento su ITS Academy e circolarità
La sfida è coniugare benessere delle persone e ambiente
Nel futuro bisogna innanzitutto volerci andare, ma in questo volere non c’è soltanto una generica intenzione. C’è un progetto fatto di determinazione, visione e capacità di attrezzarsi. E il primo attrezzo di cui abbiamo bisogno è il senso di responsabilità verso la nostra comunità di oggi e verso quella di domani. Da qui il richiamo, oserei dire automatico, all’articolo 4 della nostra Carta costituzionale, sia nella parte in cui riconosce l’effettività del diritto al lavoro, sia in quella che pone in capo a ogni cittadino “il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Finché ci si è impegnati e spesso anche battuti per rendere effettivo questo diritto e reale e diffusa la pratica di questo dovere, l’Italia ha potuto vantare importanti primati, sedendo tra le grandi potenze del Pianeta. La domanda che mi pongo oggi, invece, è se davvero ci sia ancora una comunità di persone animata dall’intenzione di attuare l’articolo 4 della Costituzione e di realizzare un futuro di prosperità e di riequilibrio tra le attività economiche umane e la delicata fragilità degli ecosistemi.
È su questi due piani che si gioca la partita più difficile del nostro tempo: coniugare il benessere delle persone, di tutte le persone, con quello dell’ambiente in cui vivono. La transizione energetica è uno dei primi banchi di prova che abbiamo davanti: una criticità che con un approccio basato sull’ecodesign si può e si deve trasformare in opportunità. Per farlo è necessario riprogettare le competenze e il modo in cui le trasferiamo, parallelamente a una necessaria riprogettazione dei processi industriali e dei prodotti.
Servono persone in grado di orientarsi nella complessità
Dal nostro osservatorio possiamo dire che ripensare le batterie dalla culla alla culla passando per la tomba si può. Nel caso delle batterie al piombo questo approccio è già realtà e, grazie alla ricerca, lo sarà sempre più anche per gli altri materiali. I prodotti a fine vita sono storicamente la nostra miniera e la crisi delle materie prime, il loro sovrasfruttamento e il loro costo per forza di cose sempre più elevato fa sì che i processi industriali debbano necessariamente ricorrere alle cosiddette “miniere urbane”.
La formazione è una delle leve principali di questo indispensabile balzo in avanti: la nostra impresa, già attiva nella produzione di anodo, catodo, celle, moduli e batterie LFP (litio-ferro-fosfato), dopo il progetto Teverola 1, che ha una capacità produttiva di 330 MWh l’anno di accumulatori al litio, ha avviato gli investimenti per la realizzazione del progetto Teverola 2, con un capacità produttiva di 8 GWh.
Grazie al supporto ricevuto dal Programma IPCEI (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) nascerà così a breve la prima Gigafactory italiana, con un elevato fabbisogno di personale qualificato. E non siamo certo i soli ad avere la necessità di assumere decine, centinaia di persone in grado di orientarsi nella complessità di questa “nuova era” e al tempo stesso di portare nelle aziende competenze elevate, con una forte attenzione alle ricadute ambientali e sociali delle loro attività dentro e fuori dall’azienda.
“Nessuno di noi è forte come tutti noi”
Serve responsabilità, dicevamo. Ma non sono soltanto le nuove generazioni, né le imprese da sole a doverla mettere in campo. La competitività non la possono garantire né singole competenze né singoli comparti industriali, la competitività dipende da quanto noi tutti e tutte saremo in grado di sentire forte la corresponsabilità, quella per gli errori commessi in passato e soprattutto quella di costruire un futuro diverso e migliore.
In questo “noi” ci sono le famiglie per il loro ruolo educativo, la scuola che deve tornare a essere innanzitutto scuola di cittadinanza e poi fucina di competenze, e infine le istituzioni, che devono legiferare e governare in virtù di un’idea di Paese, non di una miope convenienza elettorale.
Davanti alle difficili sfide che abbiamo davanti dobbiamo prendere tutti coscienza che “nessuno di noi è forte come tutti noi”. Non è retorica dire che ecodesign, competenze e circolarità sono le doti tecniche che vanno allenate e non possono mancare, ma per vincere la partita bisogna mettere insieme tutti gli attori in campo tornando a fare squadra.
Leggi anche: “Ecco i lavori del futuro circolare”. Report dal workshop ‘Ecodesign, Competenze, Circolarità
© Riproduzione riservata