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sabato, Novembre 30, 2024

End of waste rifiuti da costruzione e demolizione: filiera in allarme

La critica di ANPAR, ANEPLA, Nadeco: lo schema di decreto è “un errore che rischia di bloccare non solo la filiera del riciclo, ma anche quella delle costruzioni”. Al centro della polemica i limiti per solventi e IPA

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Atteso da anni e previsto entro il 30 giugno, ma non ancora pubblicato, dopo il consueto passaggio alla Commissione europea e il parere consultivo del Consiglio di Stato, il decreto end of waste (EoW) per i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D) continua a far discutere. EconomiaCircolare.com si è già occupata del tema con un intervento di Laboratorio REF Ricerche che lanciava già un primo campanello d’allarme. L’allarme, ormai, è conclamato.

Il Pnrr

“Stiamo chiudendo come target del PNRR al 30 giugno il decreto end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione, che costituisce un primo passo per poter ampliare le modalità di gestione di questi rifiuti”, ha detto il 23 giugno Laura D’Aprile, capo dipartimento Sviluppo Sostenibile del Ministero della Transizione ecologica, intervenendo al Senato alla presentazione del Rapporto rifiuti speciali Ispra. Il testo dell’EoW dei rifiuti da costruzione e demolizione (C&D) è già stato notificato alla Commissione Europea e sono già trascorsi i 90 giorni per eventuali osservazioni: il decreto potrebbe essere dunque pubblicato in Gazzetta.

Nonostante l’annuncio del capo dipartimento del MiTe e la data indicata nel PNRR il decreto non è ancora arrivato.

Il parere del Consiglio di Stato

Un primo motivo ‘istituzionale’ di riflessione sul testo lo ha fornito il parere consultivo fornito lo scorso 10 maggio dal Consiglio di Stato. Nel parere non vengono sollevati rilievi sulla legittimità dello schema di decreto, ma una serie di osservazioni sulla “adeguatezza delle soluzioni prescelte rispetto alle finalità indicate dal legislatore”. Il tema posto dai giudici è l’equilibrio tra l’obiettivo della norma – favorire un impiego crescente dei materiali ottenuti dal riciclo di questa tipologia di rifiuti – e la sacrosanta tutela della salute pubblica.

I parametri stabiliti per gli aggregati inerti da riciclo, in particolare quelli relativi ai limiti di concentrazione per cloruri e solfati, secondo i giudici potrebbero avere “un’incidenza non marginale sull’efficacia applicativa della nuova disciplina”. Infatti “pur trattandosi di parametri che hanno una potenziale incidenza sulla salute umana e sull’ambiente, per i quali, dunque, appare ragionevole assumere posizioni di assoluta prudenza, resta aperta l’esigenza di un’attenta valutazione, da parte dell’Amministrazione, degli effetti concreti di tali limiti prudenziali sull’efficacia del meccanismo di economia circolare attivato dalla presente regolamentazione affinché siano scongiurati effetti di forte riduzione dei quantitativi di rifiuti del genere in trattazione effettivamente avviati al recupero“. Con i limiti indicati, dunque, ci potrebbe essere il rischio che invece di favorire il mercato lo si affossi: meno riciclo più discarica. Altro dubbio della Corte è l’esclusione dal perimetro dell’EoW delle macerie da terremoti, fatto che, evidenziano i giudici, “sembrerebbe imporre l’avvio in discarica di queste notevoli masse di materiali”.

Leggi anche: La gestione dei rifiuti da C&D è veramente circolare?

L’allarme della filiera

A seguito del parere del Consiglio di Stato, l’associazione nazionale dei produttori di aggregati riciclati, ANPAR, ha chiesto di rivedere lo schema di decreto predisposto dal ministero della Transizione ecologica “in base alla logica di proporzionalità tra il mezzo ed il fine che il Consiglio di Stato ha fatto propria, e in particolare che siano rivisti i limiti dei parametri soprattutto in funzione della destinazione d’uso a cui i materiali che hanno cessato di essere rifiuti sono destinati, anche in linea con le scelte adottate da altri Paesi europei”. In assenza di risposte, il 29 giugno scorso, alla vigilia della data indicata nel PNRR, è arrivato il comunicato stampa: “Da gennaio impianti chiusi e intera filiera bloccata”. Firmata da ANPAR (Assoambiente), ANEPLA (Associazione Nazionale Estrattori Produttori Lapidei e Affini) e Nadeco (Associazione Nazionale Demolizione ed Economia Circolare per le Costruzioni) la nota denuncia che “la normativa sui rifiuti da costruzione e demolizione in arrivo rischia di passare alla storia non come l’atteso Decreto End of Waste per i materiali inerti, ma come il Decreto che sancirà la fine delle attività che consentono ogni anno di riciclare circa 40 milioni di tonnellate di questi rifiuti”. Infatti, prosegue il comunicato, “se non si porrà rimedio tempestivamente a quanto oggi previsto nello schema di decreto inviato alla Commissione europea, da gennaio del prossimo anno (quando, dopo un periodo di transizione, il decreto sarebbe pienamente vigente, ndr) gli impianti del settore resteranno chiusi e si bloccheranno le attività di riciclo e di riutilizzo in tutta la filiera, oggi ancor più strategica in considerazione del piano di opere straordinarie che prenderanno avvio con il PNRR”.

Leggi anche: Dai rivenditori dei materiali una spinta all’economia circolare dell’edilizia

I criteri per i controlli

A determinare la situazione di allarme sono soprattutto i criteri fissati per i controlli da effettuare sui prodotti delle lavorazioni, indicati nelle tabelle allegate al decreto, e in particolare i valori di concentrazione limite di solventi e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

“La presenza negli aggregati di recupero di IPA o del cromo esavalente è legata principalmente a costituenti dei rifiuti in ingresso al processo di recupero (che quindi si ritrovano necessariamente negli aggregati riciclati), come il conglomerato bituminoso o il cemento”, sostengono le tre associazioni. I relativi limiti di concentrazione che il futuro decreto end of waste per i rifiuti da costruzione e demolizione imporrebbe “sono stati evidentemente ricavati dalla tabella relativa agli usi dei suoli sottoposti a bonifica destinati a zone residenziali o a verde – ipotizzano le associazioni –:  ma, anche qualora si intendesse impropriamente ‘assimilare’ i prodotti riciclati ai suoli, questi valori non corrispondono affatto all’impiego prevalente degli aggregati riciclati, che sono utilizzati per oltre il 90% in opere infrastrutturali (in rilevati, sottofondi, etc.). Anche volendo seguire la logica di assimilazione ai suoli, quindi, per tali usi dovrebbero essere fissati limiti molto più elevati, prendendo a riferimento la tabella relativa alle aree industriali/commerciali”. Come risultato dei limiti del futuro decreto sarebbe, secondo le associazioni, si avrebbe che i materiali riciclati non avendo diritto allo status di prodotti resterebbero rifiuti da portare in discarica.

La scelta dei limiti sarebbe dunque secondo ANPAR, ANEPLA e Nadeco, “un errore che rischia di bloccare non solo la filiera del riciclo, ma anche quella delle costruzioni, da cui provengono i rifiuti in questione e a cui sono in parte destinati gli aggregati da recupero”. Aggravando quindi i costi per i cantieri.

Obiettivi diversi?

Dalle dichiarazioni degli attori in campo si potrebbe forse cogliere un obiettivo solo parzialmente condiviso. Mentre ANPAR fa riferimento al mercato degli aggregati riciclati quale è oggi, quindi con la stragrande maggioranza di prodotti destinati a riempimenti, le parole del capo dipartimento Sviluppo Sostenibile del MiTe indicano l’ambizione di un cambiamento di scenario alternativo al downgrading dei rifiuti da costruzione e demolizione: “Sicuramente con le misure del Superbonus ci sarà un incremento della produzione di rifiuti da demolizione e costruzione – ha segnalato ancora al Senato D’Aprile-. Questo incremento deve chiaramente corrispondere a un’idonea tracciabilità e a una valorizzazione maggiore di quello che sono i rifiuti da costruzione e demolizione che vengono recuperati”. E arriviamo al punto: “Abbiamo visto che per la maggior parte vengono recuperati come sottofondi stradali ma noi siamo in condizione, come Paese, di recuperare questo tipo di rifiuti anche per la creazione di manufatti e aggregati riciclati che servono per l’edilizia“. Saremo in grado di farlo?

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