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sabato, Luglio 6, 2024

Quel che c’è da sapere sul pasticcio Ue delle etichette digitali sui vini

Dall'8 dicembre le etichette dei vini dovranno riportare la lista degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale. A stabilirlo un regolamento europeo risalente al 2021. Ma le spiegazioni fornite dalla Commissione lo scorso 24 novembre rischiano di far saltare i piani dell'industria vinicola italiana

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Un regolamento europeo che viene contestato dall’industria italiana: se vi sembra di aver sentito questa storia, non parliamo degli imballaggi ma delle etichette sui vini. Questa volta, però, gli esiti potrebbero essere molto diversi. Ma partiamo dall’inizio. Dall’8 dicembre entrerà in vigore per i 27 Stati membri dell’Unione europea il regolamento n°2117, pubblicato il 6 dicembre 2021, che impone alle bottiglie di vini e prodotti aromatizzati di pubblicare la lista completa degli ingredienti, compresi gli allergeni, e la dichiarazione nutrizionale, compreso il valore energetico, da apporre appunto tramite un’etichetta, cartacea o digitale.

Si tratta di un obbligo già applicato a diversi altri settori industriali – alimentare, cosmetico – e che a partire da domani dovrebbe applicarsi a un settore, quello vinicolo, per il quale il mese di dicembre è cruciale per via delle festività natalizie. Ma il verbo al condizionale è d’obbligo. Data la lunga mole di informazioni da allegare, e considerato che per l’industria vinicola esiste già l’obbligo dell’esposizione delle informazioni ambientali, la legislazione comunitaria dà ai produttori la possibilità di rendere disponibile la dichiarazione nutrizionale completa e l’elenco degli ingredienti per via elettronica (cioè l’etichetta digitale con un Qrcode da scannerizzare). A patto di mettere le “informazioni” in evidenza. E qui sorgono i problemi.

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Le difficoltà di una I sulle etichette

Fino a metà novembre le associazioni italiane di categoria hanno premuto sulla Commissione europea affinché nel QRcode fosse inserita, al centro dell’etichetta, una semplice I in maiuscolo, che sottintendesse sia le informazioni che gli ingredienti a cui poi poter accedere. Era un escamotage che intendeva bypassare un passaggio del regolamento del 2021 in cui  veniva invece specificato che accanto al Qrcode ci deve essere una dicitura specifica per ognuno dei Paesi di commercializzazione del vino, ciascuno ovviamente nella lingua usata in quel specifico Paese (e dunque “informazioni” in italiano, “information” in francese”, e così via). Ciò avrebbe significato un discreto costo aggiuntivo per i produttori, che avrebbero dovuto stampare etichette diverse per ogni Paese. Invece la scelta di una I universale, in teoria, avrebbe fatto contenti tutti, anche perché poi comunque si rinvia al QRcode, che può essere multilingue e avere tutte le info nelle 24 lingue comunitarie. Così, pur senza un documento scritto ma con un accordo di massima raggiunto a livello informale, i produttori italiani si sono mossi con largo anticipo, come è normale che sia, per il decisivo imbottigliamento natalizio.

Ma il 24 novembre sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la Commissione pubblica un lunga comunicazione in cui “fornisce risposte tecniche alle domande ricevute dai servizi della Commissione e discusse con gli esperti degli Stati membri in relazione all’applicazione delle norme in materia di etichettatura dei vini introdotte dal regolamento (UE) 2021/2117”. All’art.2 la Commissione scrive in maniera generale che le nuove informazioni obbligatorie, cioè la dichiarazione nutrizionale e l’elenco degli ingredienti, “devono figurare sul recipiente nello stesso campo visivo delle altre indicazioni obbligatorie, devono poter essere lette simultaneamente senza dover girare il recipiente, devono essere apposte in caratteri indelebili e devono essere chiaramente distinguibili dall’insieme delle altre indicazioni scritte e dei disegni”. Successivamente si aggiunge che ad esempio la parola “ingredienti” deve comparire sull’etichetta posta sulla bottiglia di vino, così come per la dichiarazione nutrizionale. Una scritta che fa saltare i piani delle aziende italiane. Che, come già successo col regolamento imballaggi, si fanno sentire.

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Le proteste e i sospetti dell’industria italiana 

Negli scorsi giorni ha preso una posizione dura l’Unione Italiana Vini, che rappresenta 709 aziende, più di 150.000 viticoltori, più del 50% del fatturato italiano di vino e oltre l’85% del fatturato export di vino. In un comunicato stampa del 30 novembre UIV scrive che “sono oltre 50 milioni le etichette di vini italiani già stampate secondo il modello inizialmente condiviso e poi sconfessato dalle linee guida della Commissione Ue”.

Altrettanto duro anche un articolo su Repubblica risalente all’1 dicembre: nel pezzo si parla di “milioni di etichette di vino già stampate” che “rischiano di andare al macero”: dalle bottiglie del celebre spumante Asti all’altrettanto noto Prosecco. “Questo è un argomento rilevante, il vino è il principe dell’agroalimentare e in Europa devono stare attenti a non bloccare il settore  – avvertiva in quell’occasione Lamberto Frescobaldi, presidente dell’UIV, interpellato da ilGusto – Per rompere un giocattolo che funziona così bene, bisogna avere un bel coraggio: non possiamo dimenticare che si sta andando verso un 2024 che non sarà una passeggiata tra rincari e frenata dell’export”.

Più in generale secondo Unione italiana vini (UIV) e il Comitato europeo delle aziende vitivinicole (Comité Vins – CEEV), che hanno seguito i lunghi tavoli di confronto con le istituzioni europee, la nuova interpretazione fornita dalla Commissione si presta a diverse violazioni, a partire dal testo legislativo, poiché non spetterebbe alla Commissione apportare nuove norme a livello di orientamento interpretativo. In aggiunta viene avanzata anche una possibile violazione dei principi generali dell’Ue, come la certezza del diritto e la proporzionalità. C’è poi, secondo le due organizzazioni, una violazione delle norme procedurali: imporre una diversa interpretazione del regolamento a pochi giorni dall’adozione della norma lede infatti il principio comunitario inserito nel programma di lavoro della Commissione che ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi inutili.

Al di là delle valutazioni, quel che emerge dalle risposte fornite dalla Commissione europea è un depotenziamento delle etichette digitali: a che serve caricare tutte le info in formato elettronico se poi comunque le etichette cartacee devono avere tante applicazioni quante sono le lingue parlate negli Stati membri? Probabilmente tale “cavillo” è stato inserito per sostenere singoli comparti nazionali – non va dimenticato che tra meno di un anno ci sono le elezioni europee. Ma questo possibile “protezionismo” danneggia comunque tutti. Non solo i produttori, ovviamente, ma soprattutto i consumatori e ancor prima l’ambiente: ristampare le etichette, infatti, comporterà in ogni caso un impatto ambientale aggiuntivo che, di questi tempi, sarebbe stato meglio evitare.

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Come andrà a finire? Il precedente degli imballaggi

Per una volta potrebbe finire all’italiana? Nel momento in cui scriviamo la Commissione europea non ha risposto ai tanti appelli italiani, provenienti anche dal mondo politico. In particolare nelle critiche all’UE si è distinta la Lega, partito che ha difeso soprattutto le esigenze del comparto veneto (la terra del Prosecco) e piemontese (Barolo, Asti). La critica maggiore deriva dal fatto che a modificare l’applicazione del regolamento sia una comunicazione, sotto forma di domanda e risposta, a pochi giorni dall’applicazione della normativa europea. Mentre la richiesta comune è quella di una deroga, di sei mesi o di un anno, che possa consentire alle aziende di adeguarsi alle nuove disposizioni. In mancanza di indicazioni precise da parte dell’Ue, in teoria dovrebbero essere gli Stati membri a vigilare sull’applicazione del regolamento sulle etichette dei vini. Ma è scontato che il governo Meloni, a fianco dell’industria vinicola e da tempo impegnato in un lungo scontro con l’Unione europea sui temi ambientali – il più clamoroso riguarda il già citato regolamento sugli imballaggi – lascerà correre. Col risultato che negli anni futuri l’Italia potrebbe incappare nell’ennesima procedura di infrazione da parte dell’UE.

Un risultato già scritto? Per capirlo si può far riferimento a un caso abbastanza simile a questo, cioè l’etichettatura degli imballaggi. Dal 1° gennaio 2023 sono infatti entrati in vigore nuovi obblighi in materia di etichettatura ambientale degli imballaggi immessi al consumo sul territorio nazionale. Una misura che era stata immaginata su base volontaria dalla Commissione nel lontano 1997 e che in Italia è entrata in vigore dopo una serie di proroghe. Era stato il decreto legislativo n°116 del 3 settembre 2020 a stabilire che “tutti gli imballaggi siano opportunamente etichettati, secondo le modalità stabilite dalle norme UNI applicabili, per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, nonché per dare una corretta informazione ai consumatori sulla destinazione finale degli imballaggi”.

Soltanto a settembre 2022 il ministero dell’Ambiente, con il decreto n°360 del 28 settembre 2022, aveva poi disposto l’adozione delle Linee guida tecniche per l’etichettatura ambientale degli imballaggi. Insomma: le etichette dei vini potrebbero non andare al macero e, invece, ci sarà tempo per le aziende per adeguarsi, anche se ancora nulla è definito in tal senso, con un possibile sovraccarico di costi che verrà spostato al 2024. Comunque sia un pasticcio prenatalizio, per nulla gustoso.

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